di Cesare Sacchetti

Monsignor Carlo Maria Viganò torna a parlare e questa volta lo fa in occasione del secondo festival di Filosofia tenutosi a Venezia ieri e dedicato alla memoria di monsignor Antonio Livi. Viganò durante la farsa pandemica è stato un punto di riferimento per molti cattolici smarriti. Una roccia alla quale aggrapparsi durante la tempesta che ha sconvolto il mondo intero e alzato ancora di più, se possibile, il fumo dell’apostasia in Vaticano. Mentre il mondo cadeva preda di una morsa autoritaria senza precedenti, dietro le Mura del Vaticano non si condannava questo folle e criminale piano per instaurare una dittatura mondiale.

Al contrario, se c’era qualcuno che era pronto a tessere le lodi del Nuovo Ordine Mondiale quello era proprio Jorge Mario Bergoglio. Dall’altra parte invece si ergeva calma e ferma la voce di monsignor Viganò che denunciava questo disegno imperialista e denunciava i cospiratori che vi avevano preso parte, sia nelle istituzioni civili sia in quelle ecclesiastiche. Se molte persone sono riuscite a preservare la propria fede, lo devono probabilmente anche a tutti gli sforzi profusi dall’ex nunzio apostolico negli Stati Uniti che si è battuto costantemente e instancabilmente per tenere viva la tradizione della vera Chiesa Cattolica.

In questa sua ultima lettera però Viganò fa notare un elemento nuovo. Il piano, così come lo avevano concepito gli architetti di Davos e del Gruppo Bilderberg, non è riuscito. Il mondo non è entrato in una morsa autoritaria globale così come avrebbero voluto gli uomini più influenti delle sfere del mondialismo. La farsa pandemica si è interrotta praticamente ovunque. Le restrizioni sono state via via sollevate persino in Italia, il Paese che ha subito l’attacco più feroce da questi poteri per via della sua storia e della sua cultura inestricabilmente legate alle radici cattoliche e greco-romane; radici profondamente detestate dagli ambienti massonici dal momento che queste incarnano tutto ciò che invece la religione massonica disprezza.

Il mondo è entrato in nuova fase che si può definire di de-globalizzazione. Piuttosto che accentrarsi su un piano sovranazionale il potere sta tornado gradualmente agli Stati nazionali. Il consolidamento dei BRICS e il disimpegno degli Stati Uniti dalla globalizzazione iniziato sotto l’era Trump, e mai interrottosi, sta riportando indietro le lancette dell’orologio della storia. E monsignore coglie questo cambiamento scrivendo del “fallimento delle élite” che hanno visto andare in fumo i loro propositi originari.

Sono gli stessi membri del campo globalista a prendere atto della loro sconfitta e a riconoscere che oramai la storia ha preso un’altra direzione. Viganò però esorta ad utilizzare questo periodo di quiete per ricostruire ciò che è stato distrutto nei decenni precedenti. Una volta che si abbandonerà il liberalismo che è stato la causa del mondo senza valori che è avanzato dal Vaticano II in poi fino a raggiungere il suo “apogeo” durante l’operazione terroristica del coronavirus – nella quale si è assistito a una disumanizzazione delle istituzioni politiche e sanitarie senza precedenti – avrà inizio quel naturale processo di risanamento del Paese e delle sue istituzioni. Il colpo di Stato pandemico è stato possibile solamente perchè si è creato un vuoto di valori, che, soprattutto nel caso dell’Italia, sono i valori del cattolicesimo e della cultura dell’antica Roma.

Se l’Italia avesse preservato la sua religione, la sua identità, la sua cultura e la sua morale, tutto questo non avrebbe mai avuto luogo. Ed è questo l’insegnamento che Viganò esorta a trarre dagli ultimi due anni. Ravvedersi degli errori e dei peccati commessi e iniziare il cammino verso una graduale rinascita. E questa rinascita, nota Viganò, non può non passare dal “rimettere Dio al centro della nostra vita”. Una volta intrapreso questo cammino, “tutto il resto verrà da sè”. Monsignore ha tracciato la via. Non resta che seguirla. Queste sono le parole per intero del suo ultimo intervento.

 

 

Intervento di Mons. Carlo Maria Viganò

Al IIº Festival di Filosofia “Antonio Livi”

Sabato 25 Giugno 2022

 

                                                                                                                                                    Laqueus contritus est,

                                                                                                                                                     Et nos liberati sumus.

                                                                                                                                                                      Ps 123, 7

 

Sono lieto di poter inviare questo mio saluto ai partecipanti della seconda edizione del Festival di Filosofia dedicato alla cara memoria di Mons. Antonio Livi. La vostra presenza in questo giorno dimostra che gli auspici formulati a Luglio dello scorso anno iniziano a concretizzarsi con l’impegno e la collaborazione di tante persone volenterose. A tutte loro, così come agli organizzatori del Festival, va il mio incoraggiamento e l’assicurazione delle mie preghiere.

 

Questa mia riflessione – a più di due anni dall’inizio della grande farsa psicopandemica e del colpo di stato del Great Reset – non avrà tuttavia le fosche connotazioni del mio intervento precedente, e sarà anzi improntata ad una valutazione degli eventi che per semplificare potremmo definire realistica, in senso positivo. Non è propriamente ottimismo, perché questo esagera in positività ciò che il pessimismo eccede in negatività. Realismo mi pare più corretto e corrispondente al vero.

 

Il primo motivo di questo “realismo positivo” è fondato sulla virtù teologale della Speranza: sappiamo con filiale fiducia che il Signore ci accorda tutti i mezzi necessari per meritare il Paradiso, e che non ci espone ad alcuna prova, se non a quelle che con la Sua Grazia possiamo superare. La nostra piccola vittoria sulla tentazione al peccato è una vittoria di Dio: omnia possum in eo qui me confortat, tutto posso in Colui che mi dà forza (Fil 4, 13). Non parliamo quindi di un sentimento umano basato su un’illusione, ma di una consapevolezza fondata sulla promessa del Salvatore: sufficit tibi gratia mea, ti basta la mia grazia (2Cor 12, 9).

 

Il secondo motivo per guardare con positività al presente è forse più soggettivo, ma a mio parere da non sottovalutare. Questi due anni di delirio globale ci hanno mostrato il vero volto dell’avversario, svelando chi ha agito per sete di potere, chi per lucro, chi seguendo un piano criminale contro Dio e contro l’uomo. Sappiamo bene quali scandalosi conflitti di interesse si celino ai vertici dell’autorità; conosciamo bene chi si è venduto al globalismo neomalthusiano, sostenendo una narrazione tanto palesemente falsa quanto delirante; abbiamo tutti ben presente chi, dai seggi del Parlamento, dalle redazioni dei media, dagli Ordini professionali, dai sindacati e finanche dalle chiese si è reso complice di innumerevoli violazioni dei diritti naturali, oltre che responsabile della morte di milioni di persone in tutto il mondo. E conosciamo per nome coloro che con freddo cinismo hanno pianificato la pandemia per poter inoculare un siero genico che compromette irreparabilmente il sistema immunitario, rende sterili uomini e donne, provoca aborti nelle gestanti e fa morire i giovani di infarto. Gli orrori del Nazismo e del Comunismo impallidiscono dinanzi alla spietata crudeltà dei teorici della depopolazione mondiale, secondo i quali – Cingolani in testa – dovrebbero essere eliminati quattro miliardi di esseri umani. Non è pensabile che un tale crimine, compiuto ovunque con le medesime azioni coordinate e sotto un’unica supervisione, rimanga impunito. E se certamente sarà punito per mano dell’Altissimo, al Cui cospetto gridano giustizia le vittime dell’eugenetica globalista, è auspicabile che anche su questa terra i popoli sapranno condannare i responsabili a pene esemplari.

 

L’anno scorso il nostro sguardo era rivolto con grande apprensione all’evolversi degli eventi, che seguivano in modo apparentemente indefettibile l’agenda dei globalisti del World Economic Forum. Sempre più persone capivano di trovarsi dinanzi a un piano – anzi, chiamiamolo col termine appropriato: un complotto – ordito da cospiratori senza morale, ma si sentivano inermi e sopraffatti. Anche noi, che pure avevamo ben chiaro sin dall’inizio cosa stesse accadendo, avevamo molteplici ragioni per temere un inasprimento del regime dittatoriale che andava instaurandosi. E la crisi russo-ucraina di inizio anno sembrava confermare questa recrudescenza. Abbiamo avuto conferma, pochi giorni fa, nientemeno che da Bergoglio, che ben prima dell’inizio dell’operazione militare russa in Ucraina la NATO voleva provocare l’intervento di Mosca per avere un pretesto per imporre la transizione ecologica, a seguito delle sanzioni della comunità internazionale. La pandemia per il controllo sociale, la guerra e la crisi economica per la svolta green, il credito sociale, l’abolizione della proprietà privata, il reddito universale.

 

Questi globalisti sono così prevedibili, nei loro farneticanti deliri di dominio, da suscitare indignazione in chi li sente parlare di filantropia mentre sterminano, sterilizzano o rendono malati cronici milioni di persone; di solidarietà e giustizia sociale, mentre teorizzano lo sfruttamento della manodopera a basso costo e causano un aumento disastroso della disoccupazione; di ecologia, mentre inquinano il pianeta con miliardi di mascherine inutili o con le batterie al litio delle auto elettriche. E se ci fate caso, sembra che costoro pretendano un atto di sottomissione dai loro sostenitori, per cui quanto più assurde e illogiche o addirittura sprezzanti sono le ragioni che adducono per legittimare le loro decisioni, tanto maggiore dev’essere l’abdicazione della ragione e la sottomissione servile della volontà nei sudditi.

 

Eterogenesi dei fini: proprio quelli che ci hanno rintronato per decenni parlando di libertà, di scelta consapevole, di diritto di critica, di obiezione di coscienza e di disobbedienza civile oggi si mostrano zelanti esecutori delle più ridicole disposizioni sanitarie, delle più assurde regole igieniche, delle più vili discriminazioni. E con la stessa cieca obbedienza gli apostoli dell’antifascismo oggi vanno a braccetto con Pravij Sektor e il battaglione Azov, mentre i sinistroidi che ieri denunciavano l’imperialismo americano e la dipendenza dell’Italia dalla NATO ora esaltano le doti di governo di un attorucolo cocainomane asservito al deep state che inalbera simboli neonazisti e celebra come eroi nazionali dei criminali di guerra antisemiti.

 

Credo che molteplici elementi possano farci ritenere fallito l’assalto che l’élite globalista aveva in programma con l’Agenda 2030 e con il Great Reset. Ciò non significa che la guerra sia vinta, ma che la Provvidenza si è degnata di mutare il corso degli eventi quasi a volerci dare un’ultima chance di ravvedimento, un’opportunità per fare ammenda degli errori e dei peccati commessi, e per porvi rimedio. Certamente la pseudopandemia e la crisi ucraina hanno spinto molte anime a moltiplicare le preghiere e le penitenze, impetrando da Dio una tregua che permetta all’umanità di svegliarsi dalla narcosi in cui è sprofondata da decenni, se non da secoli.

 

Il fallimento dell’élite è confermato dalle ammissioni di molti suoi esponenti, che danno già per acquisita la fine del globalismo. I fanatici che ancora cercano di tenere insieme il pericolante edificio psicopandemico non hanno capito che i loro capi li stanno abbandonando a sé stessi; altri, con l’intuito tipico dei cortigiani, si affrettano a riposizionarsi in vista del cambiamento di narrazione ormai improrogabile. Tra poco si ammetterà che la pandemia e la crisi ucraina facevano parte di un piano eversivo globale, realizzato con la complicità di leader mondiali, di governanti, di capi di Stato, di politici, di giornalisti, medici, professori, magistrati, forze dell’ordine, ecclesiastici.

 

Ma proprio perché questo tradimento è ormai conclamato; proprio perché le menzogne che sono state diffuse si sono rivelate nella loro falsità e pretestuosità; proprio perché si è capito che è l’attuale autorità ad essere irreparabilmente corrotta e corruttrice, c’è da aspettarsi una reazione disperata, un colpo di coda: perché costoro non hanno più nulla da perdere, e sanno che quel che non ottengono oggi con un ultimo rantolo, non lo otterranno domani, quando la loro cospirazione sarà conosciuta universalmente e universalmente esecrata.

 

Non è, come dicevo, una vittoria: è una tregua che ci permette di compiere la nostra parte nel processo di ricostruzione che attende tutti noi. Un processo che dev’essere morale ancor prima che materiale, del cuore prima che della mente.

 

Il crollo della società globale e la fine del falso bipolarismo di matrice rivoluzionaria (destra/sinistra, USA/URSS, liberalismo/socialismo, progressismo/conservatorismo) renderanno necessario un impegno collettivo, nel quale la componente cattolica deve giocare un ruolo da protagonista, da leader. Ma per essere protagonisti, per competere nell’agone politico, occorre avere una solida formazione religiosa, morale, intellettuale e politica. Avere degli ideali, ideali santi ed eroici, animati dal desidero di ciascuno di santificarsi in qualsiasi ambito della propria vita, dallo studio al lavoro, dalla famiglia all’impegno sociale. E dico santificarsi, per essere graditi a Dio che a questo scopo ci ha creati e fatti a Sua immagine e somiglianza.

 

Bisogna ridare alla società la sua dimensione spirituale, sanando la secolare ferita inferta da laicismo, liberalismo e comunismo. Cristo Re deve regnare sugli Italiani ancor prima che sull’Italia. Il laicato cattolico è chiamato a dare testimonianza della propria Fede su due fronti: uno sociale, ricostruendo ciò che è stato distrutto, restaurando ciò che è stato lasciato crollare. Scuole, università, professioni, mestieri. Un patrimonio di civiltà intimamente cristiano.

 

L’altro fronte dev’essere quello della formazione di chi serve la comunità. Educhiamo i nostri figli ad essere buoni Cristiani e buoni cittadini, buoni padri e madri di famiglia, lavoratori onesti, esempio di edificazione per gli altri. Insegnamo loro a non vergognarsi di professarsi Cattolici, e a non considerare un disonore amare la Patria. Formiamo governanti che pensino al bene comune e non al proprio tornaconto; che compiano il proprio dovere sapendo di doverne rendere conto al Signore.

 

E non dimentichiamo quanti, in questi due anni di follia collettiva, non si sono piegati ai diktat di un’autorità asservita all’élite. Il loro esempio sia di sprone ai giovani, ai quali servono modelli di coerenza, e alla futura classe dirigente, che sarà chiamata a sostituire questa generazione di pavidi cortigiani e vili cospiratori.

 

Questo, in definitiva, è il vero cambiamento di questi ultimi mesi: aver scoperto che il progresso, la fraternità, l’inclusione, la resilienza, la sostenibilità sono solo menzogne che dietro a un’apparenza di solidarietà orizzontale celano un grande inganno, una frode, un piano criminale. Aver compreso che non vi può essere fratellanza dove non si riconosce il Padre comune; che non vi è solidarietà se non si ama Dio e il prossimo per amor Suo; che la vera libertà non è arbitrio né licenza, ma facoltà di muoversi all’interno dei confini del Bene; che lo Stato, in quanto società composta da cittadini chiamati ad esser figli di Dio mediante il Battesimo, non può professarsi ateo né aconfessionale, ma deve anzi riconoscere pubblicamente la sottomissione dell’autorità civile e di tutti i suoi membri alla suprema Autorità di Dio, e ad essa conformare le sue leggi. Perché questa è la volontà di Dio: Non chiunque mi dice: Signore, Signore, entrerà nel regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli. (Mt 7, 21).

 

Rimettiamo Dio al centro della nostra vita, al centro della famiglia e della società, al centro della Chiesa. Tutto il resto verrà da sé.

 

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