Il vero volto del mostro di Firenze è quello dell’ufficiale dell’esercito americano Joe Bevilacqua?

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Categorie: Economia

05/06/2025

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di Cesare Sacchetti

Dal caso del mostro di Firenze sono passati quasi 40 anni, da quando quel maledetto giorno del 7 settembre del 1985, il mostro ancora una volta entrava in azione, e colpiva con la sua metodica e brutale sistematicità le coppie di giovani che decidevano di appartarsi o sostare nella sua zona di azione privilegiata.

Il mostro aveva una sua peculiarità.

La sua mente malata provava apparentemente una grande soddisfazione, probabilmente di carattere sessuale, nell’asportare il pube delle vittima femminile che diventava così’ il suo trofeo, da utilizzarsi poi con ogni probabilità sia in deviati atti sessuali o peggio in riti di carattere esoterico, considerati soprattutto i personaggi che fanno parte di questa macabra vicenda.

Nel contributo della volta passata, si era passato in esame la catena di delitti del mostro che secondo la casistica ufficiale sarebbe iniziata a Castelletti di Signa, nel 1968, quando una misteriosa mano uccise Barbara Locci e Antonio Lo Bianco, due amanti appartatisi in macchina per consumare un amplesso, qualcosa alla quale la Locci era molto abituata, data la sua nota promiscuità sessuale, tollerata dal tardo marito, Stefano Mele.

Le carte di quel processo affermano che il colpevole sarebbe proprio il marito della donna che avrebbe agito per motivi di gelosia, nonostante l’oligofrenico Mele non avesse alcuna gelosia nei confronti della sua consorte, alla quale non solo consentiva di avere tutte le scappatelle che voleva, ma sembrava quasi compiaciuto dall’essere un marito becco, tanto che serviva e riveriva anche gli amanti di sua moglie.

Quel delitto però non è con ogni probabilità stato compiuto dalla mano del mostro.

Quel fatto di sangue è nato probabilmente in ambienti della criminalità sarda che avevano deciso di intervenire contro i due amanti, diventati apparentemente d’intralcio o pericolosi per gli interessi dell’Anonima che si era stabilita da qualche tempo in Toscana.

Stefano Mele era appunto il colpevole perfetto.

Il suo ritardo mentale lo rendeva perfetto per essere manovrato da una macchina ben più potente di lui, e metterlo così dietro le sbarre, nonostante il pover’uomo quando aveva dovuto mostrare agli inquirenti come avesse ucciso sua moglie con una pistola Beretta calibro 22, non riuscisse nemmeno a tenere in mano l’arma.

C’era dunque una volontà chiaramente sia da parte dell’Anonima sarda di utilizzare Mele come capro espiatorio sul quale far ricadere la colpa del delitto, ma al contempo c’era anche una volontà da parte delle autorità investigative dell’epoca di lasciare che al marito della Locci venisse addossata la responsabilità del delitto.

Uno dei ricercatori più attenti e documentati sul caso del mostro di Firenze, il dottor Carlo Palego, ipotizza che già all’epoca possa esserci stato uno scambio di favori tra la delinquenza sarda e gli uomini di Gladio, l’esercito clandestino della NATO, per permettere poi agli apparati atlantici che governavano l’Italia di servirsi in un secondo momento della malavita sarda.

Non è affatto una pagina nuova della storia d’Italia del dopoguerra.

I rapporti tra mafia, massoneria e servizi costituiscono quella triade che ha avuto in mano le redini del potere in questo Paese da quando le chiavi della sovranità sono state consegnate ad altri padroni che si trovano al di fuori dei confini nazionali, in particolar modo la cosiddetta anglosfera, la quale non esitava e non esita a servirsi delle mafie per preservare il suo potere.

Un esempio di tale sodalizio è quello dello sbarco in Sicilia degli alleati, che per mettere in atto il loro piano militare hanno pensato di rivolgersi ai capi della mafia siciliana che sotto il fascismo avevano vita alquanto dura per via della loro deportazione forzata attraverso l’uso del confino.

Altro esempio di come l’anglosfera avesse già iniziato a servirsi della criminalità mafiosa risale già al secolo XIX, quando il primo ministro britannico, Lord Palmerston, potente massone, decise di servirsi della mafia siciliana, all’epoca ancora fenomeno prettamente rurale, per favorire non tanto l’Unità d’Italia, ma per liberarsi della Chiesa Cattolica, vera e propria bestia nera della libera muratoria.

Gli elementi presenti nella storia del mostro sono, in altre parole, gli stessi che si trovano nelle dinamiche che hanno portato alla colonizzazione dell’Italia e alla fenomenologia nota come strategia della tensione.

Allora per comprendere appieno cosa è accaduto in questo sanguinario e macabro capitolo della storia d’Italia, bisogna ripartire da tutti quegli elementi che gli inquirenti per incompetenza o complicità, come si vedrà a breve, hanno trascurato.

1982: gli uomini dei servizi corrono in soccorso del mostro

L’elemento in particolar modo che aiuta a comprendere quali siano i poteri dietro la triste vicenda del mostro di Firenze è quello relativo al depistaggio del 1982.

Firenze e la Toscana all’epoca erano già in preda alla cosiddetta “mostrofobia”.

Il mostro aveva ucciso dall’74 in poi otto persone, ma nell’ultimo assalto, quello ai danni di Paolo Mainardi e Antonella Migliorini, le cose non erano andate come previsto e il mostro era stato costretto a fuggire senza compiere il suo macabro rituale di escissione del pube.

E’ in quei momenti che arriva sul tavolo del giudice istruttore, Vincenzo Tricomi, una lettera anonima che invita a guardare il fascicolo del processo di Stefano Mele relativo al citato omicidio del 1968 ai danni di Barbara Locci e Antonio Lo Bianco.

Tricomi è su tale pista che si indirizza dopo che il tenente colonnello dei Carabinieri e uomo del SISMI in Toscana, Olinto dell’Amico, gli aveva suggerito di guardare in tale direzione, e una volta che si apre quel fascicolo saltano fuori, magicamente, i bossoli e i proiettili che il mostro di Firenze avrebbe sparato nel 1968 contro Barbara Locci.

Olinto Dell’Amico

Tale pista però, come si è visto in precedenza, è da scartarsi perché i bossoli trovati in quel fascicolo non potevano essere quelli usati nel delitto del 1968 per la semplice ragione che i secondi avevano delle caratteristiche diverse dai primi.

Si è visto in precedenza come i bossoli utilizzati dal mostro presentassero un segno distintivo su di essi, impossibile da non vedere per un perito balistico, mentre quelli del delitto Locci-Lo Bianco, non mostravano alcun segno del genere.

C’era stato molto semplicemente un machiavellico e raffinato depistaggio da parte del mostro stesso che aveva sparato proiettili e bossoli con la sua pistola, e poi li aveva inseriti nel fascicolo Mele, segno che questo personaggio aveva anche una certa facilità di accesso agli uffici giudiziari, una circostanza che chiaramente associa il suo profilo a quello di un uomo di apparato, un uomo vicini a certi ambienti istituzionali.

Sono però proprio questi ambienti che si muovono in quell’anno per tirarlo fuori dai pasticci nei quali si stava mettendo, visto il fallimento dell’ultima azione.

Nella sua analisi su quell’episodio, Palego spiega come gli uomini chiave che si mossero per depistare le indagini furono proprio quelli appartenenti ai servizi segreti militari e alla rete clandestina della Gladio che avevano tutto l’interesse a far sì che l’autore di quegli efferati crimini restasse incolpevole e continuasse a uccidere indisturbato.

Sono i nomi del citato Dell’Amico, ma anche quelli del colonnello Spampinato e del colonnello Federigo Mannucci Benincasa, capocentro del SISMI a Firenze.

Sono loro che portano gli inquirenti su un binario morto ingenerando l’apertura di una falsa pista, quella sarda appunto, che creerà non pochi problemi anche ai vari ricercatori che si sono interessati al caso del mostro, alla caccia di un uomo, l’autore del delitto del’68, che non è il mostro, o almeno non è il capo di quella che era a tutti gli effetti una banda o una organizzazione.

Si può parlare senza timore di smentita di banda o organizzazione perché se Gladio e i servizi segreti militari italiani si sono mossi per correre in soccorso del mostro, allora è del tutto evidente che l’assassino agiva indisturbato perché un tale apparato glielo consentiva.

Il volto del mostro è quello di Joe Bevilacqua?

Il profilo dell’assassino del resto non è chiaramente quello di uno sbandato maniaco.

Il mostro aveva una abilità molto elevata nello sparare, mostrava forza, lucidità e sicurezza nei suoi agguati, oltre ad una conoscenza del territorio e delle varie via di fuga che non era da tutti.

Negli anni passati, già diversi ricercatori avevano ipotizzato che il mostro potesse essere un appartenente alle forze dell’ordine o un militare, e difatti ci erano andati vicinissimi, soprattutto alla luce di quanto emerso negli anni più recenti.

Il giornalista Francesco Amicone nella sua inchiesta sul mostro è riuscito con ogni probabilità a identificare l’uomo in questione, questo freddo assassino che agiva indisturbato nelle campagne nei pressi di Firenze.

Si tratterebbe di Joe Bevilacqua, un militare dell’esercito americano di stanza in Italia negli anni’60 presso la base di Camp Darby, a Pisa, per poi essere assegnato ad un incarico amministrativo presso il cimitero americano di Falciani, vicino Firenze, nel 1971.

Joe Bevilacqua negli anni 2010

Amicone inizia la sua indagine e scopre nel 2017 che il profilo di quest’uomo assomiglia molto a quello dell’ipotetico mostro.

Ha inizio così una sorta di partita a scacchi tra i due, perché una volta che Amicone avvicina Bevilacqua per condurre una presunta ricerca storica sul Vietnam, l’uomo sembra avere subito paura, come se sapesse sin dal principio qual era la vera ragione per la quale il giornalista italiano lo stava avvicinando.

Dopo aver terminato il suo incarico al cimitero americano presso Firenze, a Bevilacqua viene assegnato un altro incarico come direttore del cimitero militare americano nei pressi di Nettuno, sul litorale romano, ed è non molto distante da qui che l’ex militare americano abita.

Una volta che Amicone entra in contatto con lui, Bevilacqua si mostra subito diffidente, intimorito, fino a quando nel corso dei loro colloqui, l’ex militare avrebbe ammesso apertamente di essere lui l’assassino delle coppie, e avrebbe anche chiesto al giornalista se era il caso di portare l’arma dei delitti, la famigerata Beretta calibro 22, ai Carabinieri come prova della sue responsabilità.

Nel corso della loro conversazione telefonica durante la quale il presunto mostro avrebbe fatto tali rivelazioni accade un fatto irrituale, una sorta di “interferenza” esterna, come se qualcuno fosse lì all’ascolto per sentire cosa si stessero dicendo i due, nel timore forse che la confessione di Bevilacqua avrebbe potuto provocare un probabile effetto domino.

Difatti in seguito l’ex custode del cimitero militare di Firenze, cambierà la sua versione e dirà di non essere lui l’autore dei delitti.

Amicone intanto lo denuncia presso i carabinieri di Monza, si mette apparentemente in moto la macchina della giustizia, ma “singolarmente” la pista del giornalista non viene giudicata attendibile, nonostante ci fossero diversi elementi che facessero pensare ad un pesante coinvolgimento di Joe Bevilacqua nella vicenda, morto in seguito nel 2022.

L’ex militare, come detto, gestiva il cimitero americano di Falciani, a due passi dai luoghi nei quali sono avvenuti almeno due delitti, quali quelli ai danni dei tedeschi Horst Wilhelm Meyer e Jens-Uwe Rüsch, e dei due francesi, Jean – Michel Kraveichvili e Nadine Mauriot trucidati dal mostro nella piazzola degli Scopeti.

Il cimitero americano dove lavorava Bevilacqua si trova nella zona di azione preferenziale del mostro: Immagine presa dal blog Ostellovolante.com

Il personaggio Bevilacqua non era però del tutto sconosciuto al pubblico che seguì il caso del mostro.

Era già comparso infatti nel 1994, quando testimoniò al processo contro Pietro Pacciani, il contadino di Mercatale, accusato dalla procura di Firenze di essere lui l’autore dei delitto.

Bevilacqua afferma di aver visto Pacciani aggirarsi intorno agli Scopeti il pomeriggio del giorno nel quale sarebbe poi avvenuto l’omicidio, e quando gli viene chiesto se conosceva il contadino fiorentino accusato dei fatti rispose di no.

Eppure non è ciò che disse nel 1992 davanti ai Carabinieri, ai quali dichiarò che già conosceva Pietro Pacciani e non è ciò che riferirà la moglie Bevilacqua, Meri Torelli, la quale ha dichiarato che suo marito aveva dato a Pacciani il permesso di cacciare nella zona attorno al suo cimitero.

Al minuto 20 circa la falsa testimonianza di Bevilacqua

Bevilacqua aveva, in altre parole, reso falsa testimonianza in aula così come aveva detto il falso sul fatto che lui il giorno dopo il delitto degli Scopeti avrebbe sentito la mattina alla radio della notizia dell’assassinio dei due francesi, circostanza impossibile perché l’assassino dei due francesi verrà scoperto dalle autorità, soltanto il pomeriggio successivo al delitto.

Sarebbe stato opportuno indagare subito, già nel 1994 su Bevilacqua che aveva depistato gli inquirenti sul delitto degli Scopeti e sarebbe stato opportuno capire come faceva l’ex militare a sapere il giorno dopo che i due francesi erano stati uccisi, se in quel momento il fatto non era ancora noto all’opinione pubblica.

Sul luogo del delitto era stato avvistato effettivamente un uomo, e lo vide il testimone Giovanni Uras che fornì un identikit alle autorità.

Identikit dell’uomo avvistato prima del delitto degli Scopeti

Joe Bevilacqua

Se lo si guarda con attenzione, si nota una spiccata somiglianza con l’aspetto di Bevilacqua, ma le autorità né all’epoca né oggi mai hanno preso in considerazione il profilo di quest’uomo, nonostante sia un fatto accertato che abbia mentito in aula e depistato le indagini, e nonostante vivesse a due passi dai luoghi dei delitti.

Si spiegherebbe così la cosiddetta inafferrabilità del mostro, il fatto che egli riusciva sempre a dileguarsi senza lasciare alcuna traccia dietro di sé, e il fatto che diversi uomini dei servizi segreti italiani abbiano agito per proteggerlo.

Joe Bevilacqua era un intoccabile.

Il suo status di ex appartenente al Criminal Investigation Department delle forze armate americane, e la sua appartenenza alla rete clandestina di Gladio lo rendevano come un agente americano privilegiato sul territorio italiano.

Bevilacqua sarebbe stato uno dei leader di Gladio in Toscana e in Italia, e le sue efferate azioni vanno forse lette nel novero di una strategia più raffinata e criminale, che va al di là del “semplice maniaco” seppur ben infiltrato nelle istituzioni che si muove per deviati scopi sessuali.

L’ex membro del CID e veterano della guerra del Vietnam avrebbe fatto parte di un programma più esteso nel quadro della strategia della tensione.

In quegli anni, e ancora oggi, gli apparati atlantici non esitavano a servirsi di militari e paramilitari che avevano delle caratteristiche da psicopatici per attuare attentati terroristici sempre volti a destabilizzare la popolazione, a incuterle timore per farla vivere sotto la costante presenza di una minaccia esterna, necessaria per rinchiudere le persone comuni in uno stato di paura permanente  e di arrendevolezza verso gli apparati politici e militari che all’epoca, come oggi, avevano in mano l’Italia.

Bevilacqua è il figlio di questa guerra psicologica scatenata ai toscani e agli italiani che inermi e inconsapevoli non sapevano che qualcuno in qualche base militare e nelle sedi dei servizi stavano giocando con la loro vita.

Si comprendono così alla perfezione sia il citato depistaggio del 1982 a favore dell’assassino, e si comprendono così tutte quelle strane chiamate minatorie contro i parenti delle vittime e i testimoni dei delitti, a dimostrazione che dietro questa vicenda c’erano poteri molto più forti e in alto dello stesso mostro, seppur dotato di coperture eccellenti.

Gli stessi Carabinieri del RIS scrivono di lui in un rapporto del 2018 sulla sua biografia che, a detta degli uomini dell’Arma, è “costellata da episodi potenzialmente rilevanti sotto tale profilo”, e per tale profilo si intendono gli episodi maniacali commessi dal mostro.

Le autorità, come si vede, sanno perfettamente chi è il soggetto in questione.

I complici del mostro: Giampiero Vigilanti e Francesco Maria Narducci

Bevilacqua però, come si accennava in precedenza, non ha agito da solo.

Ha avuto certamente dei complici materiali in diversi delitti, tra i quali si pensa che tra questi ci fosse un ex membro della legione straniera francese quale Giampiero Vigilanti.

Giampiero Vigilanti

Vigilanti risultava avere un profilo altrettanto deviato come quello dell’americano.

L’ex legionario toscano e combattente del Vietnam negli anni’50 era stato già schedato dalla questura di Firenze per la sua pederastia e non deve sorprendere affatto che abbia stabilito un sodalizio con un personaggio come Joe Bevilacqua.

La sua partecipazione ai vari delitti risulta certamente compatibile con la sua deviata personalità, ma ciò non spiega comunque la perizia riscontrata nelle escissioni del pube delle povere vittime femminili.

Nella perizia eseguita dal 1981 dal dottor Maurri, si nota che l’escissione del pube di Carmela De Nuccio è stata eseguita da una mano veramente esperta nell’ambito chirurgico, non di certo quella di un dilettante o di qualcuno che si cimentava, seppure bene, con il coltello.

Nella storia dei delitti del mostro ci sono, come si è visto, molteplici piani coinvolti quali quello di Gladio ma anche quello della immancabile massoneria il cui ruolo emerse pienamente alla luce durante l’inchiesta dell’ex magistrato di Perugia, Giuliano Mignini.

Mignini nel corso della sua inchiesta scoprì che in questa scia di delitti era coinvolto il massone e medico chirurgo, Francesco Maria Narducci, morto presumibilmente il 13 ottobre del 1985, anche se il corpo che venne trovato sul luogo della sua presunta morte, il lago Trasimeno, non era certamente il suo.

Non corrispondeva l’altezza, 1,62 quella del cadavere trovato sul lago e 1,82 quella di Narducci, così come non coincideva minimamente l’aspetto del medico con il corpo dello sconosciuto, apparentemente un messicano.

Soltanto anni dopo, nel 2002, grazie all’inchiesta di Mignini, si scoprirà che Narducci, il cui vero corpo era stato messo nella sua bara, risultava essere, senza ombra di dubbio, stato ucciso attraverso uno strangolamento.

Francesco Maria Narducci

Tale sostituzione sarebbe stata impossibile se non ci fosse stata la partecipazione attiva delle autorità, e infatti il magistrato perugino nota come quel giorno sul lago Trasimeno c’erano uomini della Squadra Mobile di Perugia che non avevano alcun titolo ad essere lì, e nessuno, ancora oggi, ha approfondito su chi autorizzò la loro presenza come nessuno ha accertato le responsabilità della mancata autopsia sul cadavere che non era quello del medico di Perugia.

La messinscena del Trasimeno appare  comunque chiaramente legata ai fatti del mostro, soprattutto se si guarda con attenzione a determinati elementi.

Quello della tempistica in particolar modo è particolarmente rivelatore.

Sono passati infatti soltanto 30 giorni dal brutale omicidio degli Scopeti, e arriva questa improvvisa falsa morte di Narducci, forse ucciso in un secondo momento, perché d’un tratto era sorta l’improvvisa necessità di fare uscire di scena un protagonista scomodo per questa inquietante storia.

Tale necessità forse era sia stata dovuta al fatto che un uomo delle forze dell’ordine, Emanuele Petri, risultava essere sulle tracce di Narducci per i crimini del mostro di Firenze.

Emanuele Petri

A rivelare che Petri stava indagando sui delitti del mostro sono stati almeno due testimoni quali Mariella Ciulli ed Enzo Ticchioni, sua conoscenza di vecchia data, e in particolare le indagini del poliziotto si stavano concentrando proprio su Narducci che, stando a quanto riferito dallo stesso Petri ai suoi interlocutori, aveva nella sua casa dei feticci umani femminili, probabilmente proprio quelli asportati alle povere donne vittime del mostro.

Anche la tempistica della morte del poliziotto Emanuele Petri, ucciso appena un anno dopo l’apertura dell’inchiesta di Mignini, da una sorta di nucleo delle nuove BR,  andrebbe forse letta in un’altra ottica, più vicina magari ai potenti ambienti che hanno concepito e protetto gli autori materiali dei delitti nelle campagne fiorentine.

Il mostro è quindi evidentemente una complessa vicenda stratificata su più livelli, che vede, come si diceva in precedenza, il ruolo di Gladio e servizi segreti in questi efferati delitti, ma, al contempo, si riscontra la partecipazione della massoneria perché tali crimini hanno sempre un qualche sfondo esoterico e satanico, perché alla fine la natura ultima di tale sistema e di ogni suo compartimento è intrinsecamente questa.

I grotteschi compagni di merende visti nei processi degli anni’90 dunque chi erano?

Era quella squallida umanità che si aggirava intorno alle coppiette per spiare, guardoni, pervertiti di vario genere che conoscevano il mostro e sapevano chi era, come lo stesso Mario Vanni, che in carcere aveva confidato a Lorenzo Nesi che l’assassino era proprio un americano, chiamato Ulisse, il nome in codice che veniva assegnato ai capi di Gladio.

Si comprende così come mai sui conti correnti di Pacciani e Vanni ci fossero delle elevate cifre, nonostante i due facessero dei mestieri, rispettivamente il contadino e il postino, che non gli consentivano di avere delle ingenti somme a disposizione.

L’organizzazione che ha gestito il mostro ha pagato il loro silenzio, fino a quando ha deciso di utilizzarli come capri espiatori per coprire i crimini di personaggi molto più potenti e molto più pericolosi.

Alla fine la vicenda del mostro di Firenze esprime al meglio, o al peggio, la perfetta natura della repubblica nata a Cassibile.

C’è dentro la NATO, ci sono dentro i servizi segreti italiani, c’è dentro la massoneria e c’è dentro la magistratura e in ogni singolo capitolo di questa sanguinaria storia si vede come ognuno dei vari apparati del sistema abbia agito per proteggere l’altro, procedendo poi alla eliminazione di quei testimoni e personaggi ormai scomodi, a partire dallo stesso Pacciani, fino alle varie morti collaterali di Renato e Milva Malatesta,  e di Francesco Vinci.

Il segreto sui mandanti e i protettori del mostro andava custodito ad ogni costo.

Adesso si parla di riaprire il caso su questi delitti sulla scia della riapertura del caso di Garlasco, a dimostrazione che i passati equilibri del silenzio oggi stanno venendo apparentemente meno perché la sommità del sistema, l’impero americano, si è oggi sfaldata.

Si spera che finalmente dopo tanti anni si possa fare luce su queste stragi e sul sangue versato da molte vittime innocenti per causa dei deviati poteri atlantici e delle solite criminali massonerie.

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16 Commenti

  1. Gaetano

    Grazie Dott. Sacchetti. Lei e’ l’unico vero giornalista d’ inchiesta audace

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  2. Giorgio De Martino

    Buondì Cesare, al solito, congratulazioni, bella sintesi, e mi viene un sospetto. Non è che da Joe “Zodiac” Bevilacqua si tratti di una complessa, perversa, satanistica rete internazionale (vedi Dutroux, Belgio eccetera) che da decenni produce sacrifici umani e omicidi rituali che arrivano fino a Garlasco? E se papà Cappa avesse, non necessariamente rendendosene conto, “venduto” le gemelle a chi sappiamo noi?

    Rispondi
    • La Cruna dell'Ago

      Ti ringrazio, Giorgio. Non so se possa esserci un collegamento diretto con la vicenda Dutroux, sulla quale ho scritto, ma certamente le menti che hanno concepito entrambi le stragi e gli abusi pedofili, sono le medesime.

      Rispondi
  3. max

    si ok, ma joe bevilacqua agiva per una sua devianza ed è stato coperto per non fare scandalo, o agiva per conto di qualcuno? ed a quale scopo?

    Rispondi
    • La Cruna dell'Ago

      Scusa, ma c’è scritto chiaramente nel pezzo che si trattava di un altro capitolo della strategia della tensione..

      Rispondi
  4. Frank

    Personale:

    Il modus operandi che racconti, e che non avevo mai approfondito, è relativo, in particolare, a due logge: Bohemian Grove americani e Bavarian tedeschi. Sono due delle logge “commerciali” che praticano e insegnano l’esoterismo sotto forma di pratiche di “magia nera”. Poi il fatto che Bevilacqua fosse un pederasta riconosciuto, mi chiude il cerchio: come premio ha sicuramente partecipato a una cerimonia oppure gli hanno consentito di fare “qualcosa” di suo gradimento, senza correre rischi. Che i pube dovessero essere prelevati da un chirurgo l’ho sempre dato per scontato perché, per esere utilizzabili in cerimonie di “magia nera” devono avere caratteristiche ben precise e con il coinvolgimento di bambini/e che, sicuramente, sono stati sacrificati durante la cerimonia. Serve dove è passata la vita, il pube, e chi è ancora incontaminato/a, il bambino/a.
    Sicuramente quei bambini/e sono stati portati a un livello di terrore assoluto e li hanno “vampirizzati” per recuperare due cose, l’adrenocromo e un’altra, mi fa schifo persino scriverlo, quindi evito.
    Il profilo di Bevilacqua è perfetto, unitamente a quello degli altri due. Servizi italiani, specialmente quelli militari del tempo, sicuramente coinvolti al 100%: normaloe per quegli ambienti. Non fosse così non scomparirebbero, in Italia, dai 15.000 ai 20.000 bambini/e ogni anno.

    Salute

    Rispondi
    • Nicola

      E qui il discorso può allacciarsi alla “grande discovery” del giudice Paolo Ferraro…

      Rispondi
  5. Frank

    “E’ così che, a meno di non avere un’approfondita conoscenza dei Rosacroce è impossibile spesso riconoscere un Rosacroce da un Cristiano, ed è così che è stato possibile avere dei Papi Rosacrociani, come Paolo VI e Giovanni XXIII.
    Lo stesso simbolo dei Rosacroce, la Rosa e la Croce, fa pensare a simboli Cristiani. Ma dal punto di vista della Rosa Rossa, la Croce è invece un simbolo fallico, mentre la Rosa rappresenta l’organo sessuale femminile durante le mestruazioni.
    E’ un sistema geniale non c’è che dire. Il colpo di genio è soprattutto quello di aver creato un sistema difficile da smascherare, i cui più strenui difensori sono i cristiani stessi; perché se provate a dire a un cristiano che Paolo VI era un rosacroce, vedrete che il 90 per cento dei Cristiani non sa neanche chi siano questi Rosacroce. E quando glielo spiegate la sua reazione sarà immediatamente di rifiuto, cosicchè i migliori difensori di questo sistema sono le vittime stesse.
    In realtà tanto tempo fa, parlai con un prete molto colto, che mi disse una cosa illuminante: “figliolo, ma perché ti stupisci? Se il demonio deve colpire qualcuno o qualcosa, da dove dovrebbe cominciare secondo te, se non dal Vaticano? E’ il posto migliore dove può nascondersi il Diavolo, e proprio perché è così ben nascosto è difficile trovarlo. E ricorda che l’astuzia migliore del demonio è di dire che non esiste”.
    Questa è l’astuzia più grande dei Rosacroce e della Rosa Rossa in particolare. Che essa non esiste, ufficialmente. Ne avete mai sentito parlare in un Tg o su un quotidiano nazionale? No perché queste notizie possono trovarsi al massimo su qualche giornale locale sfuggito al controllo, o su Internet, o su qualche libro poco conosciuto.
    E se anche essi parlano apertamente, parleranno il linguaggio Cristiano, quindi nessuno li scoprirà.”

    Tanto per… Amen!

    Rispondi
  6. Zerodosato

    Un grande articolo che chiude i punti lasciati aperti dal precedente post sul Mostro di Firenze.
    Se non ricordo male dopo il 1985 continuano incidenti, suicidi ed omicidi che riguardano soggetti in qualche entrati nelle indagini o loro parenti.
    Non vorrei sbagliarmi, ma credo che l’ultimo dei delitti sia quello che riguarda la taxista Alessandra Vanni nel 1997.

    Rispondi
    • La Cruna dell'Ago

      Ti ringrazio. Sì, sono stati uccisi Milva Malatesta, Francesco Vinci, lo stesso Pacciani e anche la tassista che citi, anche se non so tra quest’ultima e le vicende del mostro ci sia un legame più o meno diretto.

      Rispondi
  7. Giovanni Sposito

    Come al solito “me quito la gorra!!” Superlativo!! Certo, nonostante ormai chi ha un minimo di conoscenza storiche reali e non di barberiana o scuratiana memoria non si stupisca più di nulla, resta sempre un amaro in bocca, un senso di impotenza che ti svilisce nel di dentro!! Prende la bocca dello stomaco soprattutto pensando ai cristi sacrificati dalla malvagità, infamia e miseria umana che contraddistingue la storia di questo pseudo stato! A sto punto la confessione del nipote di Michelangelo Virgillito riguardo Bevilacqua e Piazza Fontana è da vagliare alla grande, del resto uno dei pochi veri inquirenti in questo paese, il Col. Giraudo, la stava vagliando ma…….Amicone, Pelago, la Vecchione hanno trovato la chiave in questo torbido e macabro caso di Psyops che riflette la storia di questo infame paese a cui non mi sono mai sentito vicino, nonostante la carta d’identità mi sono sempre sentito un apolide o siciliano visto la mia terra di nascita, ma non italiano!! Marciume, menzogne, verità ufficiali spacciate per verità reali e se evidenzi il fatto viene preso per scemo, poi da siciliano potrei scrivere libri….quante ne abbiamo viste….con tutti i difetti caratteriali/antropologici che parte di un’etnia, popolazione, può avere!! Per carità!! Colgo l’occasione per rinnovare i miei complimenti per il suo grande lavoro!! Stia bene

    Rispondi
    • La Cruna dell'Ago

      Ti ringrazio, Giovanni. Approfondirò la questione della confessione di Virgillito. Da siciliano, sei italiano da millenni e sei di una regione importantissima per la storia d’Italia. Un saluto e a presto.

      Rispondi
  8. Frank

    Sicilia, la regione più bella d’Italia, dove andrei molto volentieri a vivere, non ci fossero le basi americane!

    Salute

    Rispondi
  9. Marco

    Molto interessante, ultimamente mi si stanno “aprendo” gli occhi e si uniscono i puntini. Forse proprio perchè l’ impero si sta sfaldando.
    Grazie per il suo lavoro.

    Rispondi

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