di Cesare Sacchetti Il cielo di Israele si è illuminato di nuovo, ma non erano le luci...
Il rapporto Durham: lo Spygate e l’inestricabile legame con l’Italia
di Cesare Sacchetti
Frode e tradimento. Sono le prime due parole che vengono in mente leggendo le pagine del corposo rapporto di 316 pagine redatto dal procuratore speciale John Durham. Durham fu nominato nel 2019 dall’allora ministro della Giustizia americano, William Barr, su richiesta del presidente Donald Trump.
Il suo mandato era uno solo. Quello di fare luce su quella che è stata definita dai media come la vicenda del Russiagate, una infondata, e falsa sin dal principio, teoria che voleva il presidente americano essere una sorta di agente russo sotto mentite spoglie.
Non era altro che una gigantesca montatura e il centro di tale intrigo non era certo Mosca. Il centro del complotto per screditare Donald Trump e arrivare ad una messa in stato di accusa contro di lui era la campagna elettorale della democratica Hillary Clinton.
Nel rapporto di John Durham c’è scritto a chiare lettere. Non ci sono molti giri di parole. Si afferma chiaramente come la campagna elettorale di Hillary Clinton avesse dato incarico ai suoi consulenti di mettere in moto tale macchina del fango per accusare falsamente Trump.
A pagina 98 del rapporto in questione si descrive il principio di quello che può essere definito come il più grave golpe realizzato ai danni di un candidato alle presidenziali americane divenuto poi il presidente degli Stati Uniti.
È il 1 aprile del 2016 quando uno studio legale che lavorava per la campagna della candidata democratica contatta Fusion GPS, una società investigativa di Washington, per chiedere di condurre delle indagini su Donald Trump.
Fusion GPS si rivolge a sua volta a Christopher Steele, l’ex famigerato agente dei servizi britannici, che redige un vero e proprio dossier patacca fatto di assurde e ridicole illazioni nelle quali addirittura è presente un fantomatico rapporto di Trump con prostitute russe a Mosca che avrebbero urinato sul letto di una suite usata dall’ex presidente Obama.
Questo è il tipo di “materiale” che è stato utilizzato per dare vita ad un’operazione eversiva che come si vede in diverse occasioni ha assunto i connotati della farsa.
A quel punto, e nei mesi successivi, l’FBI apre la sua inchiesta sulla base di quanto fornito da uomini che erano stati assoldati dalla campagna Clinton per screditare Trump.
Sembra assurdo, ma è quanto accaduto. L’ufficio federale investigativo più famoso d’America si è mosso praticamente su impulso di avversari politici non facendo le minime verifiche del caso sulle “informazioni” che erano contenute in quel dossier falso redatto su richiesta della campagna di Hillary Clinton.
Sono queste le basi che portano all’apertura della famigerata inchiesta dell’FBI contro Donald Trump denominata “Crossfire Hurricane” ed è tale inchiesta che mette illegalmente sotto sorveglianza l’allora candidato repubblicano e la sua campagna elettorale.
L’FBI inizia a spiare illegalmente Carter Page, consigliere della politica estera nella campagna Trump, e l’ex direttore della campagna stessa, Paul Manafort.
E il rapporto Durham non equivoca minimamente su ciò che ha portato a tale spionaggio. A pagina 100, si scrive chiaramente che la richiesta di sorveglianza nei riguardi di Page “non sarebbe stata autorizzata senza il rapporto di Steele.”
È il dossier spazzatura dell’ex agente dei servizi britannici reclutato dalla campagna Clinton che ha spinto l’FBI a spiare Trump e i suoi uomini.
E Durham lo scrive chiaramente nel suo rapporto quando afferma che “né le autorità investigative né la comunità dell’intelligence pare essere stata in possesso di prove di collusione all’inizio dell’indagine Crossfire Hurricane.”
Ad avere un ruolo decisivo nel consentire l’apertura dell’inchiesta oltre al famigerato dossier Steele è stato un altro ex consigliere di Trump, George Papadopoulos, che nel maggio del 2016 aveva fatto incaute rivelazioni ad un diplomatico australiano, Alexander Downer, molto vicino ai Clinton.
In quella circostanza Papadopoulos aveva rilevato a Downer di essere in possesso di informazioni compromettenti sulla Clinton. L’ex consigliere di Trump aveva abboccato all’esca che gli era stata lanciata due mesi prima durante un suo viaggio in Italia dall’enigmatico professor Mifsud alla Link Campus University di Roma, ateneo molto vicino agli ambienti dell’anglosfera.
Mifsud risulta irreperibile ormai da diversi anni e secondo diverse fonti sarebbe protetto e nascosto dai servizi segreti italiani per il suo ruolo chiave in questa storia che è un vero e proprio intrigo internazionale.
Un intrigo nel quale l’Italia e il suo stato profondo hanno avuto un ruolo chiave come si vedrà a breve.
Obama era informato e autorizzò l’operazione contro Trump
Ora è necessario tornare a Crossfire Hurricane. Nell’estate del 2016 la macchina per incastrare Trump era stata già messa in moto e le agenzie di intelligence sapevano tutto di quello che viene definito nel rapporto Durham come il “piano di intelligence della Clinton”.
E tale piano eversivo ai danni di Trump viene discusso alla Casa Bianca il 28 luglio del 2016. All’ufficio Ovale si riuniscono l’allora presidente Obama assieme al suo direttore della CIA, Joseph Brennan.
Brennan informa Obama che la Clinton sta portando avanti un piano per accusare falsamente Trump di collusione con i russi e Obama non fa nulla al riguardo.
Al contrario, lascia che l’FBI continui a portare avanti le sue indagini illegali ai danni del candidato repubblicano.
Il ruolo dell’Italia nello scandalo
Alcuni mesi più tardi, ad ottobre, l’allora presidente del Consiglio, Matteo Renzi, si reca in visita alla Casa Bianca. Erano i mesi nei quali Renzi portava avanti la sua campagna fallita per il Si al referendum sulla modifica della Costituzione.
Obama si schiera apertamente per il Si in quella che è stata una chiara ingerenza negli affari della politica italiana ma secondo i protagonisti dello scandalo, Papadopoulos in primis, in quell’occasione Obama avrebbe chiesto a Renzi una diretta collaborazione per incastrare Trump.
Ed è qui che entrano in gioco i fratelli Occhionero, Giulio e Francesca. I fratelli Occhionero vengono accusati di spionaggio illegale contro molte personalità delle istituzioni italiane. I due finiscono dietro le sbarre su richiesta della procura di Roma nella nota inchiesta EyePyramid, e successivamente iniziano a denunciare quello che è un complotto ai loro danni.
Occhionero è un ingegnere nucleare con avanzate conoscenze informatiche e che operava anche negli Stati Uniti attraverso una sua società, la Westlands Security.
Occhionero scrive in una lettera rivolta all’allora ambasciatore americano, Lewis Eisenberg, e al Congresso americano di essere stato vittima di una macchinazione da parte della polizia postale italiana e della sua divisione informatica, la CNAIPC, che avrebbero hackerato i server delle sue società negli Stati Uniti.
Lo scopo della operazione era quello di piantare delle email classificate prese dai server della Clinton e poi successivamente associare tali email a Trump per via della vicinanza di Occhionero agli ambienti repubblicani americani.
L’ingegnere si è poi rivolto alla procura di Perugia per denunciare quanto stava accadendo a Roma. Nei giorni scorsi, la sorella di Giulio, Francesca Maria, ha scritto su Facebook che il procedimento a carico contro di lei e il fratello è stato definitivamente archiviato dopo ben 6 anni di indagini.
E non un rigo di tutto questo è finito sulle pagine dei quotidiani italiani che nel 2017 scrissero titoli a caratteri cubitali per descrivere la presunta rete di spionaggio dei due fratelli.
Occhionero dunque pare essere stato il classico agnello sacrificale utilizzato per giungere ad un altro scopo, ovvero quello di accusare illegalmente Donald Trump.
Se quindi tale ricostruzione è corretta, si vede che il complotto contro Trump sarebbe proceduto su due binari. Da un lato, quello americano della FBI che conduceva l’inchiesta Crossfire Hurricane, e dall’altro quello italiano della polizia postale che avrebbe coinvolto illegalmente Occhionero secondo quanto denunciato da lui stesso.
Nei mesi precedenti c’erano già tracce di una collaborazione tra le autorità americane e italiane e il nome di Occhionero viene citato in una lettera scritta l’11 aprile 2016 dall’allora addetto dell’FBI dell’ambasciata americana in Italia, Kieran Ramsey, a Nunzia Ciardi, dirigente della Postale.
La lettera di Ramsey alla Polizia Postale italiana
Il nome di Nunzia Ciardi si è poi sentito di recente quando la stessa fu ospitata sugli schermi televisivi di La7 nel 2021 in una puntata intitolata “Parla la direttrice della Polizia Postale che indaga sui No Vax”.
Non è chiaro ancora oggi quale sia stata la natura di tali “indagini”, chi le abbia autorizzate e a che titolo e soprattutto perché i “no vax”, termine giornalistico privo di significato, avrebbero dovuto essere indagati.
Ramsey comunque scrisse all’epoca per ringraziare la Postale di averlo aiutato a trovare la sede delle email di Occhionero in Germania.
Il nome dell’ingegnere quindi circolava già nella corrispondenza tra l’FBI e le autorità italiane molto prima che questo finisse sui quotidiani e mesi prima che la procura di Roma lo mettesse sotto inchiesta.
Occhionero ritiene probabile che il tipo di sofisticato hackeraggio ai suoi danni sia stato autorizzato dalle autorità governative perché sarebbe stato possibile solamente attraverso la collaborazione di un fornitore di servizi internet, TIM in questo caso.
A questo punto se quanto riferiscono le varie fonti vicine al caso, tra le quali gli stessi Occhionero e Papadopoulos, è corretto il complotto contro Trump avrebbe visto la sponda decisiva dell’Italia e del suo apparato istituzionale nel realizzarlo.
È da qui che si spiega la visita di Barr a Roma nel 2019 per fare luce sul caso ed è da qui che si vede quello che pare essere un legame inestricabile tra la sponda americana dello stato profondo di Washington e quella italiana di Roma.
E tale sponda sembra essere stata decisiva sempre in un nuovo tentativo di golpe contro Trump avvenuto nel 2020 e noto come Italiagate del quale si è parlato in anteprima su questo blog nel dicembre del 2020.
E questo legame sembra essere spiegabile solamente con i rapporti storici che legano l’establishment italiano agli Stati Uniti dal 1945. Un rapporto di subordinazione nel quale la parte “italiana” assume il ruolo di esecutore di trame eversive internazionali.
Trump era ed è una grave minaccia per questi poteri. Lo è sia per la parte americana sia per quella italiana. Trump è stato ciò che ha reciso quel cordone ombelicale che legava lo stato profondo italiano al governo parallelo di Washington.
In Italia, tutta l’attuale classe politica dipende strettamente dalla sopravvivenza delle élite che hanno controllato l’America per molti anni. L’estinzione di quest’ultime comporta l’inevitabile fine del sistema politico italiano privo di referenti e protezioni internazionali di peso.
È per questo che il rapporto Durham ha chiuso un ciclo. Un ciclo nel quale i responsabili di questi due gravissimi atti eversivi contro Trump non sembrano avere vie d’uscita.
La parte di Trump ha le prove del coinvolgimento di tutti. E questa è una prospettiva che non tormenta solo le notti di molti elementi americani che sono spariti dalle scene pubbliche da un po’. Tormenta anche le notti di molti membri dello stato profondo italiano.
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Non si può dire altro che: OTTIMO !
Anche quando Trump non mi piaceva per niente avevo capito che queste accuse erano una ridicola montatura. Incolpare il Satana di turno di qualcosa che non va come previsto: niente di più irrazionale e, appunto, ridicolo.