di Cesare Sacchetti Sulle pagine degli organi di stampa italiani ed europei, non è uscito...
Il piano per sostituire la Meloni con Calenda non decolla: la paralisi dello stato profondo italiano
di Cesare Sacchetti
A palazzo Chigi, è da qualche settimana che si susseguono frenetici e fitti incontri a porte chiuse di vari personaggi della politica italiana riunitisi per discutere di uno scenario.
Se ne era parlato già nel mese di giugno quando a Cernobbio si tenne un’anticipazione segreta del famoso, o famigerato, Bilderberg italiano, sulla quale gli organi di stampa italiani non dissero una parola.
Allora i vari peones dello stato profondo italiano si diedero appuntamento con diversi rappresentanti dei servizi inglesi e francesi per discutere di un avvicendamento governativo in Italia che avrebbe dovuto mettere sulla poltrona di premier Carlo Calenda al posto di Giorgia Meloni.
Cernobbio già espresse all’alba delle elezioni politiche del 2022 il suo gradimento per l’ex ministro dello Sviluppo Economico, non perché il politico Calenda spicchi per doti che non ha e mai ha avuto, ma soprattutto per la sua spregiudicatezza e sfrontatezza nel voler provare a difendere ciò che è rimasto dell’eurocrazia e della cosiddetta anglosfera.
Calenda sembra il più allarmato, il più preoccupato da un cambio di status quo che nel giro di pochissimi anni sta spazzando via equilibri consolidati, stabiliti molto tempo prima a Yalta dal suo amato massone Winston Churchill, ancora oggi assoluto feticcio dell’establishment liberale europeo.

Carlo Calenda
Giorgia Meloni semplicemente non viene ritenuta abbastanza ferma e decisa nel voler provare a difendere l’Unione europea, non perché Lady Aspen coltivi qualche inesistente velleità sovranista, ma piuttosto perché il presidente del Consiglio ha adottato sin dal principio una strategia di deresponsabilizzazione riguardo all’incarico che ricopre.
Meloni è il presidente del Consiglio degli eterni viaggi, che sotto la sua gestione sono arrivati ad un ritmo tale da far impallidire i vari predecessori di palazzo Chigi, e l’interminabile tour meloniano non è certo dovuto alla costruzione di una qualche politica estera, ma alla vetrina, alle strette di mano insignificanti che nulla spostano, utili però per starsene il più lontano possibile da Roma.
I vari esponenti dell’establishment sono profondamente scontenti, e non è certo un segreto.
Tra i più irritati, c’è proprio lui, Sergio Mattarella, il presidente che sta di fatto tentando di riempire il vuoto governativo attraverso una interminabile serie di dichiarazioni che sono dettate chiaramente dalla volontà di difendere a tutti i costi l’ultimo flebile baluardo della governance globale, l’Unione europea,e di alzare le tensioni con Mosca, sempre alla disperata e folle ricerca di un casus belli contro Mosca, nella speranza, o meglio nell’illusione, che Washington si schieri al fianco di Bruxelles.
Mattarella già a suo tempo richiamò la Meloni.
La invitò ad essere più decisa, a non lasciarsi andare al “pacifismo”, per spingerla di fatto verso un ulteriore aumento della tensione con la Russia.
Lady Aspen fece e fa tuttora orecchie da mercante, e allora ecco che i vari esponenti della liberal-democrazia italiana si sono messi al tavolo per studiare soluzioni alternative nella speranza di avere un capo di governo che vesta i panni del kamikaze politico, un po’ come hanno fatto i vari Starmer e Merz, ormai impegnati in quotidiane provocazioni contro Mosca.
Alcuni ancora evocano il nome di Mario Draghi, soprattutto dalle parti del Foglio, ma nella redazione dell’elefantino, si è probabilmente aperta una dimensione temporale alternativa, una nella quale Draghi non si è dimesso nell’estate del 2022, ma è ancora presidente del Consiglio e garante dell’esecuzione del Grande Reset di Davos in Italia.

Un Mario Draghi sempre più “sciupato” nelle sue recenti uscite pubbliche
La classe politica italiana, semplicemente, non sa cosa fare.
Draghi era pressoché “ perfetto” perché consentiva a tutti di ripararsi dietro questo parafulmine tecnico, sottranedo alla politica ogni responsabilità, una condizione ideale dal 2020 in poi perché i partiti da allora non godono più di alcuna fiducia presso il popolo italiano.
L’uomo del Britannia comprese però che qualcosa era cambiato.
Venute meno le condizioni minime per proseguire l’agenda del mondialismo, tolse il disturbo, e da quel preciso istante sembra posseduto da un raptus logorroico che lo porta a ripetere in continuazione che occorre compiere il salto successivo verso gli Stati Uniti Europa, nella speranza che il mantra finalmente funzioni e tolga le castagne dal fuoco al fragile sistema politico italiano.
La Meloni è stata di conseguenza una scelta obbligata.
Una volta caduto il governo Draghi, era a capo del partito che in quel momento aveva più consensi, ma l’apparato resta insoddisfatto, vorrebbe altro, in particolare un premier più agguerrito verso la Russia e Trump, e allora il nome di Calenda resta in cima alla lista.
Secondo fonti della presidenza del Consiglio, ci sono state diverse riunioni nelle scorse settimane nei vari palazzi e case dei potenti, e in queste c’era proprio Carlo Calenda, il quale avrebbe ribadito ancora una volta la sua disponibilità a bere “l’amaro calice”, ma si fa fatica a trovare la quadra.
Sulla carta, un governo Calenda dovrebbe essere una riedizione in salta politica delle larghe intese montiane volute da Giorgio Napolitano nel 2011, vera e propria quinta colonna dell’Unione europea e del gruppo Bilderberg, soltanto che stavolta di tecnici non ce ne sarebbe nemmeno uno, soprattutto perché dalla fine del governo Draghi hanno tutti tagliato la corda, consci che ormai non c’erano più le precedenti sponde sovranazionali.
A fare da sherpa per queste manovre di larghe intese, sarebbe Matteo Renzi, l’ex rottamatore caduto in disgrazia e giunto sul finire della sua artificiale carriera politica, sempre più preoccupato tra l’altro per le evoluzioni della inchiesta sullo Spygate negli Stati Uniti che ha rinviato a giudizio l’ex direttore dell’FBI, James Comey, e che presto potrebbe arrivare proprio all’ex presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, accusato di aver ordinato il golpe del 2016 ai danni del presidente Trump.
Renzi veste così i panni del pontiere di questo eventuale governo allargato che avrebbe l’appoggio del centrodestra, sempre più vicino a Calenda, e di pezzi del cosiddetto “campo largo” del PD e del M5S, ormai sempre più insignificanti e prosciugati come tutti dalla emorragia dell’astensionismo.
Eppure non c’è ancora il “habemus Calenda”.
Si fa fatica a chiudere un accordo che dovrebbe accompagnare fuori dalla porta una Meloni praticamente impalpabile che non avrebbe difficoltà a lasciare palazzo Chigi, purché le si dia qualche incarico, preferibilmente all’estero o presso la Commissione europea.
Gli equilibri sono fragilissimi.
Ci sono alcuni politici e altri esponenti dell’establishment che temono che se si arrivasse ad un avvicendamento al governo, la strada per comporre un nuovo esecutivo si farebbe inevitabilmente sempre più in salita, per via delle fragilità e divisioni dei vari partiti.
La crisi è generale e sistemica.
Non si tratta di un qualche male passeggero della disgraziata Seconda Repubblica, ma qualcosa di più profondo che affonda le sue radici nell’impalcatura stessa della repubblica di Cassibile, dei suoi tradimenti e delle sue garanzie americane che oggi sono sparite.
Se si muove qualcosa, c’è soltanto il rischio di aggravare ancora di più una situazione già delicatissima per i vari peones che temono di non sopravvivere a questa nuova fase della storia.
Va in scena così lo stallo.
Nonostante il Quirinale abbia già dato la sua approvazione per le larghe intese calendiane, i partiti non riescono a mettersi d’accordo.
C’è il timore citato che se si sposta qualcosa, tutto possa precipitare definitivamente, ma giunti a tal punto, la differenza ormai è praticamente irrilevante.
L’establishment italiano è come uno scacchista che ha perduto i pezzi strategici, e che muove il re da una parte all’altra nel tentativo di salvarlo.
Lo scacco matto però è sempre più vicino.
E’ soltanto questione di poche mosse.
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….Lo scacco matto però è sempre più vicino……
speriamo !!!
Pensare se cerchiamo record Calenda sarebbe perfetto… rappresenterebbe per governi italiani… primato assoluto di insipienza… polverizzando persino chi finora pareva insuperabile come Di Maio!…!!…https://ilgattomattoquotidiano.wordpress.com/
La metafora del re che vaga per la scacchiera, cercando di evitare lo scacco matto, è bellissima. Chapeau Cesare e grazie come sempre per questi spicchi sempre più “pesanti” di verità.
Potrebbe ritenersi un atto disperato dell’ attuale classe dirigente la riforma costituzionale della Giustizia, sperando di poter controllare la magistratura inquirente nel momento in cui venisse giù tutta l’impalcatura che fin’ora ha protetto i privilegi dei politici, dei medici al soldo di Big Pharma, dei capi delle correnti della magistratura, dei professori universitari massoni, dei giornalisti della Propaganda…
Non credo proprio che al sistema interessi un Calenda. La Meloni fa già benissimo la velina del sionismo e del neoliberismo, motivo per il quale fu scelta dall’elite. A cosa servirebbe un Calenda? A nulla 🙂
Servirebbe ad alzare lo scontro. La Meloni è pressoché impalpabile. Stanno cercando qualcosa di ben più radicale.
Un paio di considerazioni.
1) E’ abbastanza noto (almeno a chi si occupa un po’ di politica) che quando vai al potere essendo stato eletto non puoi rivoluzionare quello che possiamo chiamare deep state all’americana, oppure “burocrazia degli uffici” all’italiana. La macchina statale è un brontosauro enorme, una specie di calderone in cui c’è di tutto, dal raccomandato fancazzista e al corrotto, ma anche i bravi tecnici dediti al loro lavoro e che son quelli che fanno funzionare la macchina “nonostante” quelli citati prima. Quando entri non hai la possibilità (e spesso nemmeno la capacità) di spostare lo status quo perchè troverai un muro di gomma contro il quale non puoi fare nulla. Allora che fare? Devi umilmente cominciare a “lisciare il pelo” alla bestia, per fartela amica prima e poi cominciare reindirizzare determinate abitudini o vizi. Non ci sono vie di mezzo, e se Meloni sta annaspando in mezzo al guado è perchè probabilmente se ne rende conto e suo malgrado è costretta a tenere il piede in due scarpe. Anche tenendo conto che l’evoluzione politica internazionale si è parecchio intricata.
2) C’è un altro fatto importante. Meloni ha preso voti dal popolo crescendo negli anni e creando delle aspettive che non soddisfatte la porterebbero a perdere voti, ma questo solo alle prossime elezioni. Un colpo di stato (perchè tale sarebbe) oggi come oggi come sarebbe visto dall’elettorato Meloniano? Non dico che potrebbe scatenare una guerra civile armata, ma sicuramente farebbe perdere all’establishment quel poco di credibilità che gli è forse rimasta. Anche se è vero che alla classe imprenditoriale italiana (cui Calenda appartiene o apparteneva) non frega niente dell’Italia, basta prendere soldi. Prenditori piuttosto che imprenditori, da cui non ci si può attendere una difesa degli interessi italici.
Poi, essendo Meloni “amica” di Trump, almeno pro-tempore, anche un golpe italiano avrebbe bisogno della benedizione americana, o no?
La Meloni gli elettori li ha già persi. No all’ultima domanda perché non c’è nessuna reale intesa tra Trump e Meloni.
..scusa se chiedo… “lo scacco matto è sempre più vicino” che cosa significa (+ o -)?
Mesi? Anni? Decenni?