Il mistero dell’omicidio Pecorelli, il ruolo di Israele e il memoriale di Aldo Moro

o

07/11/2025

Iscriviti al blog tramite email

Inserisci il tuo indirizzo e-mail per iscriverti a questo blog, e ricevere via e-mail le notifiche di nuovi post.

di Cesare Sacchetti

Il suo nome è associato ai misteri della Prima Repubblica e forse è stato uno degli uomini più vicini ai veri segreti del sistema politico sorto a Cassibile, nel 1943.

Si tratta di Mino Pecorelli, avvocato molisano nato nel 1928 a Sessano del Molise e trasferitosi a Roma già al conseguimento della maturità.

Pecorelli al principio della sua parabola professionale aveva intrapreso la carriera di avvocato, fino a diventare giornalista verso la fine degli anni’60, un periodo nel quale inizia il suo primo periodo nel mondo dell’editoria presso la rivista Nuovo Mondo Oggi, una pubblicazione già molto scomoda all’epoca.

Sulle pagine di Nuovo Mondo Oggi venne pubblicato un servizio, poi ritirato per le forti pressioni dell’Ufficio Affari Riservati, sugli affari molto opachi nei quali era invischiata l’università Pro Deo, fondata dal frate belga Felix Morlion, che sotto il saio da frate in realtà indossava i panni di una spia americana al servizio dell’OSS, il precursore della famigerata CIA.

A permettere a Morlion di giungere a Roma nel 1943 fu proprio l’OSS che si servì del “buon” frate per iniziare sulla carta una campagna anti-comunista che in seguito nemmeno si rivelerà tale, come si vedrà meglio in un istante.

Alla Pro-Deo si affollano personaggi ambigui, tra i quali c’era il vescovo Carlo Ferrero, zio della celebre Simonetta, la ragazza uccisa nel bagno della Cattolica, ancora oggi per motivi ignoti, anche se si fosse letto il servizio della rivista presso la quale Pecorelli collaborava si sarebbero potuti trovare alcuni elementi interessanti al riguardo.

Già nel 1968, Nuovo Mondo Oggi scriveva che il “buon” monsignore sarebbe stato coinvolto in attività alquanto sordide, tra le quali c’era quella di rilasciare lauree facili agli iscritti dell’ateneo, e, ancora peggio, c’era anche quella di avere dei rapporti sessuali con alcune delle sue studentesse.

Lo zio di Simonetta era un personaggio che meritava di essere guardato da vicino dopo l’inchiesta dell’omicidio della Ferrero, che si perde subito nei meandri delle improbabili piste dei maniaci sessuali, nonostante il delitto della Cattolica non presentasse elementi di maniacalità.

Morlion collaborava a fianco di un altro personaggio molto interessante, quale Federico Umberto D’Amato, un altro di quei nomi che evoca tutti i misteri della Prima Repubblica, perché la sua figura si incontra in diversi buchi neri e stragi di quel tormentato periodo ispirate dalla cabina di regia atlantica che voleva destabilizzare l’Italia per tenerla fermamente nel recinto della NATO.

D’Amato è proprio presso la NATO che muove i suoi primi anni di carriera prima di approdare all’Ufficio Affari Riservati del Viminale, e di gestire assieme al citato monsignore tutta una serie di dossier su vari personaggi della politica italiana, compresi quelli del partito comunista, che non verranno utilizzati per colpire gli esponenti di Botteghe Oscure, sempre protetti dai servizi e dagli ambienti angloamericani.

Ad alcuni tale circostanza potrà suscitare perplessità, ma in realtà il patto di non belligeranza, anzi di collaborazione, che c’era tra elementi atlantisti e comunisti spiega molto bene come la cosiddetta guerra fredda facesse parte di una logica della contrapposizione controllata tra i due blocchi, esauritasi dopo che negli anni’80 venne deciso dai vari membri del gruppo Bilderberg che il comunismo non serviva più agli scopi della governance globale e che andava liquidato.

Pecorelli e OP: le entrature nei servizi

Pecorelli iniziò così la sua esperienza nel giornalismo, ma Nuovo Mondo Oggi durò poco, come si accennava in precedenza, per le pressioni degli ambienti dei servizi di D’Amato, e allora ecco che dopo la sua chiusura nasce Osservatorio Politico.

OP può definirsi come una sorta di deposito delle veline dell’intelligence che Pecorelli riceveva.

Il giornalista molisano si era costruito una formidabile rete di contatti tra i vari apparati dei servizi, e la sua funzione sotto certi aspetti era quella di far trapelare quei segreti che parte della intelligence italiana voleva venissero alla luce, probabilmente anche in opposizione al patto atlantico, non troppo gradito da alcuni agenti per le limitazioni di sovranità e le logiche del terrore che esso imponeva.

Pecorelli però andò anche oltre la costruzione delle fonti.

Il giornalista decise di entrare direttamente in uno dei luoghi principali che gestivano il vero potere in Italia, ovvero la loggia massonica P2, della quale si è parlato in un precedente contributo.

Licio Gelli

Nella divulgazione generale, si pensa che la P2 sia una creatura nata dopo il dopoguerra e la sua nascita viene associata alla figura di Licio Gelli, ma in realtà tale falsa narrazione serve ad occultare il fatto che la P2 esisteva dai tempi dell’Unità d’Italia ed era già allora uno dei piani privilegiati e riservati della massoneria italiana.

A mettere fine alla sua esistenza fu soltanto il governo fascista nel 1925, che comprese subito che non ci sarebbe stato alcun reale margine di sovranità nel Paese se prima non si fosse tolta dalla scena la quinta colonna massonica, controllata soprattutto dalla libera muratoria angloamericana.

Gelli entra in scena nel dopoguerra come gestore della rediviva loggia perché lo stato profondo di Washington vuole la massoneria e i suoi livelli privilegiati per controllare meglio il Paese da dietro le quinte e tenerlo saldamente nel recinto dell’anglosfera.

La decisione di Pecorelli di entrare nelle fila della massoneria appare ad alcuni come un atto di spregiudicatezza, eppure, se si leggono con attenzione i servizi di OP, si trovano già delle pesanti stoccate contro la libera muratoria, soprattutto nel 1977-78, quando il direttore della rivista pubblica un servizio intitolato “Gran Loggia Vaticana” nel quale rivela una serie di nomi di prelati iscritti alla massoneria ecclesiastica.

Nella lista ci sono nomi di assoluto rilievo nella Chiesa.

Si trova il nome del cardinal Bea, segretario di papa Giovanni XXIII, e una delle menti del famigerato documento Nostra Aetate, attraverso il quale la Chiesa tolse l’accusa di deicidio agli ebrei, assieme al cardinal Suenens, porporato belga tra i registi della rivoluzione liberale del Vaticano II, e il cardinal Villot, segretario di Stato sotto Paolo VI e Giovanni Paolo I, accusato di essere proprio uno dei mandanti dell’omicidio di papa Luciani.

Giovanni Paolo I

La lista arriva sulla scrivania di Giovanni Paolo I che sembra intenzionato a risolvere il problema dell’infiltrazione massonica in seno al Vaticano, ma papa Luciani non fa in tempo a fare nulla perché muore soltanto dopo 33 giorni di pontificato in circostanze mai realmente chiarite.

La Gran Loggia Vaticana della quale parlava Pecorelli assomiglia molto ad uno di quei piani riservati della libera muratoria come lo era la P2 e l’ipotesi che la prima fosse un distaccamento vaticano della seconda è forte, considerati i legami tra gli iscritti ecclesiastici e i vari piduisti.

Gelli è alquanto stizzito, non gradisce che Pecorelli inizi ad attaccare la massoneria e forse la sua affiliazione è stata uno sbaglio, una leggerezza di chi non ha saputo valutare bene quella che forse era la volontà di infiltrarsi in una delle zone riservate dei grembiulini.

Pecorelli e i mandanti dell’omicidio Moro

Sul caso Moro, Pecorelli è forse l’uomo che pubblica i segreti più scomodi, più inconfessabili.

Una volta che l’onorevole della Democrazia Cristiana viene rapito da alcuni elementi delle BR, e da uomini ancora oggi mai identificati, alcuni è recentemente emerso appartenenti ai servizi, le Brigate Rosse iniziano a pubblicare una serie di comunicati, ma tra questI ce n’è uno, il famigerato numero 7, che riporta la morte di Moro , il cui corpo sarebbe stato lasciato presso il lago della Duchessa.

Pecorelli è tra i primi ad intuire che il comunicato è un falso, come effettivamente fu confermato dopo la folle idea di dargli credito e di andare a cercare il corpo di Moro in un bacino d’acqua nei pressi di Rieti che allora, nel mese di aprile, era ancora ghiacciato.

Anni dopo si scoprì che a scrivere il comunicato fu un falsario al servizio della Banda della Magliana e vicinissimo ai servizi segreti, Tony Chichiarelli, ucciso nel 1984 da personaggi ancora oggi rimasti ignoti.

Tony Chichiarelli

Nella storia del caso Moro i depistaggi sono molti e quello della Duchessa è certamente uno della serie, ma Pecorelli abituato nei rapporti con l’intelligence non ci cade, e nei mesi dopo il tragico omicidio di Moro, rivela che il presidente della DC era in realtà detenuto non nella fantomatica prigione di via Montalcini, nei pressi della Magliana, ma nel cuore di Roma, nel ghetto ebraico.

Nei giorni scorsi si è parlato nuovamente di un probabile coinvolgimento del Mossad nel rapimento e nell’uccisione di Moro, ma Pecorelli lo scrisse allora, nel 1978, e nel covo di Moretti sulla Cassia, il famigerato condominio di via Gradoli dove c’erano appartamenti dei servizi, si trovò un foglio scritto a mano con il numero di telefono di una società immobiliare che si trovava proprio nel Portico d’Ottavia.

Ogni passo che Pecorelli fa sembra essere un passo in più verso la verità fino a quando nel marzo del 1979 non si incontra assieme al suo informatore, il colonnello dei Carabinieri, Antonio Varisco, il generale dell’Arma, Carlo Alberto Dalla Chiesa e Giorgio Ambrosoli, commissario liquidatore della banca del piduista Sindona, in un luogo suggestivo e cruciale di Roma come piazza delle Cinque Lune.

Nessuno esce vivo da quell’incontro.

Pecorelli viene ucciso il mese stesso, il 20 marzo del 1979.

Giorgio Ambrosoli viene freddato l’11 luglio del 1979 da William Aricò, sicario di Cosa Nostra, su mandato di Michele Sindona.

Il colonnello Varisco viene ucciso dopo essersi dimesso dall’Arma il 13 luglio del 1979 in un agguato di tipo militare a Roma.

Carlo Alberto Dalla Chiesa viene ucciso a Palermo il 3 settembre del 1982.

L’incontro di piazza delle Cinque Lune sembra essere un crocevia di destini per questi quattro uomini che forse avevano qualcosa che li accomunava e li rendeva una potenziale minaccia per i vari architetti del sequestro Moro.

Un anno dopo l’omicidio di Pecorelli, viene fatto ritrovare su un taxi di Roma un borsello di proprietà proprio del citato Chichiarelli colmo di indizi ed evidenti riferimenti alla morte del giornalista e al sequestro Moro.

Nel borsello c’è persino la scheda dell’omicidio del direttore di OP redatta dai suoi esecutori che scrissero queste considerazioni dopo aver eliminato il loro bersaglio.

“Martedì 20 ore 21:40 giunta notizia operazione conclusa positivamente: recuperato materiale non completo, sprovvisto dei paragrafi 162, 168, 174, 177”.

Si pensa che i paragrafi in questione facessero parte del famoso memoriale di Aldo Moro, la cui versione integrale ed originale, non è mai stata ritrovata.

Gli assassini di Pecorelli avevano il compito di recuperare del materiale altamente compromettente nelle mani del giornalista, e stesso mandato avevano quasi certamente anche gli assassini del generale Dalla Chiesa che si premurarono di svuotare la sua cassaforte a Villa Pajno, subito dopo la sua morte.

Il generale Dalla Chiesa

Il filo rosso che lega queste morti è probabilmente quello del memoriale, ma né i media né la magistratura misero in relazione queste morti, i cui veri mandanti ancora oggi sono ignoti.

Si diede invece credito al pentito Buscetta che nel 1993 iniziò a dire che il mandante dell’omicidio Pecorelli fu Andreotti, nonostante la bocca di Buscetta mai disse nulla del genere a Giovanni Falcone e nonostante il presidente del Consiglio non fosse affatto in cattivi rapporti con il giornalista, come affermano fonti vicine all’ex leader della DC.

Negli anni’90, vanno in scena i processi più depistatori della storia e dopo il colpo di Stato di Mani Pulite, la magistratura, che non sfiorò il PDS nemmeno con un dito nonostante i fondi neri da Mosca, si premurò di screditare in ogni modo il politico che più di tutti criticò la NATO e che fu l’unico a rivelare l’esistenza di Gladio, l’esercito clandestino degli atlantisti nel 1990.

Andreotti era una minaccia.

Non accettava più che l’Italia dovesse restare nel patto atlantico, e allora si attiva una formidabile macchina del fango che lo accusa di essere mafioso, anche se i pentiti iniziano a contraddirsi gli uni con gli altri, tanto che i giudici del primo grado assolsero l’ex presidente del Consiglio, verdetto ribaltato dalla vergognosa sentenza di condanna in Appello, confermata e prescrittasi in Cassazione, secondo la quale, Andreotti sarebbe stato “colluso” con la mafia fino al 1980, per poi da quell’anno in avanti trovare misteriosamente la redenzione e iniziare invece a varare tutta una serie di dure leggi antimafia avversate invece dai parlamentari del PCI.

Sono le cronache della giustizia di Cassibile e delle toghe in mano alla libera muratoria, ma gli ambienti che concepirono il processo Andreotti sono gli stessi responsabili della stagione stragista in Italia.

I mandanti dell’omicidio Pecorelli sono gli stessi dell’omicidio Moro, così avversato da Henry Kissinger e dallo stato di Israele, che non gradiva affatto la sua politica filoaraba.

A distanza di 47 anni, si torna a parlare del ruolo dello stato ebraico nel caso Moro, segno che le verità nascoste negli armadi della repubblica di Cassibile non riescono più a restare al loro posto, vista la progressiva implosione del sistema politico italiano.

Forse i tempi sono maturi anche per sapere chi ha ucciso Mino Pecorelli, e si potrebbe partire da dove mai si partì.

Dalla massoneria che iniziava a considerarlo come una minaccia e dalla NATO che non poteva permettersi che in giro ci fosse un giornalista che dicesse la verità sull’assassinio di Aldo Moro.

Questo blog si sostiene con il contributo dei lettori. Se vuoi aiutare anche tu la libera informazione clicca qui sotto. Se preferisci invece sostenerci tramite versamento bancario, puoi versare il tuo contributo a questo IBAN: IT53J0200805047000105110952

2 Commenti

  1. Gianni

    Nn credo che verrà mai fuori la verità punto
    Vs articolo impressionante,ma purtroppo restano parole punto
    Avevo intuito che c’entrava il ghetto in tutto questo,cioè il Mossad punto

    Mai i ns servizi sono quelli di Cassibile
    Nn nostri punto

    Rispondi
    • La Cruna dell'Ago

      In realtà sta già venendo fuori. Non capisco questi “punto” ripetuti..

      Rispondi

Rispondi

Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.

Altro in notizie …

 

ISCRIVITI A LA CRUNA DELL' AGO 🔔

Inserisci il tuo indirizzo e-mail per iscriverti a questo blog, e ricevere via e-mail le notifiche di nuovi post.