di Cesare Sacchetti

Il ministro dell’Economia, Giovanni Tria, e il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, hanno lasciato Bruxelles lo scorso venerdì.

La trattativa tra le istituzioni europee e il governo giallo-verde sulla manovra italiana non si è ancora conclusa.

L’ultima, e probabilmente fin troppo generosa, concessione di Roma nei confronti della Commissione UE sul deficit ha portato ad uno sforbiciamento del deficit di 0,36 punti percentuali, facendo scendere l’iniziale obbiettivo del 2,4% al 2,04%.

Da quel che trapela dalle ultime cronache di questa estenuante trattativa, alla Commissione questo taglio non basterebbe. Bruxelles chiederebbe un ulteriore calo del deficit italiano fino a giungere alla soglia del 1,98%.

Il governo giallo-verde su questo è stato chiaro. Il presidente del Consiglio ha fatto capire chiaramente che non ci saranno ulteriori concessioni e che il saldo di deficit non si discosterà dal 2,04% proposto.

A questo punto, sorgono seri dubbi sulla reale volontà di chiudere un accordo da parte della Commissione UE. Se si prendono in considerazione le dichiarazioni di Moscovici a questo proposito, si intuisce una volontà di chiedere altri tagli alla manovra italiana.

A Bruxelles, sanno perfettamente che il governo italiano non può concedere un abbassamento ulteriore del deficit, pena un danno politico troppo ingombrante da digerire per il duo Salvini-Di Maio, specialmente se si considera quanto sta accadendo in Europa.

La rivolta contro le istituzioni europee sta dilagando difatti in molti Paesi europei.

I gilet gialli francesi sono stati solo il principio di un malessere contro l’Unione europea che si è diffuso in tutto il Nord Europa e che mostra per la prima volta una coesione dei popoli europei contro le istituzioni comunitarie, mai vista prima d’ora. 

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                                       Il raduno dei gilet gialli a Parigi dell’ultimo sabato

La sensazione quindi è che la Commissione UE stia tirando la corda di proposito proprio per impedire che si giunga ad un accordo. La ragione è da ricercarsi nella strategia che sembrerebbe orientare Bruxelles.

L’UE vorrebbe, in altre parole, fare dell’Italia un esempio per tutti gli altri Paesi europei che potrebbero ribellarsi contro le politiche imposte dall’eurocrazia.

Non ci sarebbe, in questo caso, una vera volontà di trattare quanto la semplice ricerca di un pretesto per arrivare al redde rationem contro il governo giallo-verde e provocarne quindi la sua successiva capitolazione.

Il governo al bivio: cedimento o scontro con Bruxelles?

E’ una fase questa di estrema delicatezza. Se Salvini e Di Maio decideranno di cedere ulteriore terreno alla Commissione UE sul deficit, pagheranno un elevato costo politico che potrebbe pregiudicare seriamente il loro cammino verso le elezioni europee di maggio.

Altre concessioni poi ai diktat di Bruxelles non escludono affatto che la Commissione alzi ancora di più la posta e chieda un deficit ancora più basso.

A questo punto, la coppia leader del governo giallo-verde ha in mano non solo il destino dell’esecutivo, ma quello dell’intera nazione.

Se decideranno di cedere completamente ai desiderata dell’UE, sarà alquanto complicato mantenere le promesse fatte in campagna elettorale, e il rischio di essere associati al tradimento consumato da Tsipras nei confronti del popolo greco, sarebbe piuttosto elevato.

Se invece decideranno di resistere e di non garantire altre concessioni sulla manovra, si metterà in moto un meccanismo pressoché irreversibile.

La Commissione UE passerà con ogni probabilità all’apertura di una procedura di infrazione contro l’Italia,”colpevole” di aver rispettato i parametri di Maastricht, e questo potrebbe portare ad un innalzamento considerevole dello spread.

I tecnici comunitari avrebbero già stimato la soglia di tolleranza massima di spread per il Paese in quota 400, e non è escluso che in un simile contesto ci si giunga piuttosto rapidamente.

Inoltre c’è da considerare un dato importante. Il 31 dicembre finirà ufficialmente il QE, il quantitative easing, il programma di acquisto dei titoli di Stato dei Paesi dell’eurozona sul mercato secondario praticato fino adora dalla Bce.

La Bce reinvestirà comunque i profitti guadagnati dai titoli di Stato italiani in acquisto di nuovi Btp, ma le recenti modifiche sulle quote detenute dalla Banca d’Italia dell’istituto presieduto da Mario Draghi, dimezzeranno di fatto l’ammontare degli acquisti.

In un simile contesto, l’ipotesi che i rendimenti dei BTP italiani aumentino consistentemente non è affatto remota.

Ci si trova quindi di fronte ad un bivio.

Se si decide di resistere e di andare allo scontro fino in fondo contro Bruxelles, si deve essere pronti a ricorrere a tutte le armi a disposizione.

Tra queste armi, si dovrà prendere in seria considerazione quella di un’uscita unilaterale dall’euro. Il governo giallo-verde, a questo proposito, ha di fronte a sè una congiuntura internazionale irripetibile.

Non solo può farsi forte del sostegno di Washington da un lato e di Mosca dall’altro, ma può anche divenire canale di trasmissione del malcontento dei popoli europei contro Bruxelles.

Molti sono i nemici esterni che vogliono la fine di questo Paese, e altrettanti sono quelli interni, anche dentro il governo, che vogliono favorire il raggiungimento di questo fine.

Il compromesso, in questo scenario, non pare possibile. Il conflitto invece sembra essere l’unico modo per salvare l’Italia dalle mani della Troika.

La parola ora passa a Salvini e Di Maio. Spetta a loro decidere il destino di una nazione e di 60 milioni di italiani.