di Cesare Sacchetti Se si parla del movimento LGBT, bisogna aprire le pagine del passato e...
I misteri della Cattolica: dall’omicidio di Simonetta Ferrero al “suicidio” del rettore Anelli
di Cesare Sacchetti
Il 24 luglio del 1971 sembrava destinato ad essere un sabato come tanti.
A Milano, da lì a pochi giorni ci sarebbe stato il consueto esodo agostano che caratterizzava i decenni del dopoguerra segnati dal boom economico che stava esplodendo in quegli anni.
Simonetta Ferrero quel giorno doveva fare soltanto alcune commissioni prima di andare in vacanza con i suoi in Corsica.
Simonetta era una ragazza di 26 anni che aveva completato gli studi in Scienze Politiche due anni prima, ed era stata assunta subito dalla Montedison, l’azienda leader dell’energia e del chimico prima che questa venisse smembrata e consegnata tristemente nelle mani dei francesi della Électricité de France.
La giovane quel giorno passa dall’estetista nei pressi di piazza Sant’Ambrogio, e si reca poi alla sua ex università anche se ancora oggi non se ne conoscono bene le ragioni.
Non è mai stato chiarito se la Ferrero avesse un appuntamento con qualcuno quel giorno, ma sta di fatto che la 26enne milanese entra nell’ateneo e si reca al piano mezzanino dove c’è il bagno delle donne, scelta che potrebbe spiegare la decisione di Simonetta di entrare all’università.
Lì Simonetta è attesa da un tragico destino. Un misterioso omicida, probabilmente un uomo, la colpisce ripetutamente con 42 coltellate fino a quando la ragazza non crolla a terra, riversa in un lago di sangue.
Il bagno della Cattolica dove è stata uccisa Simonetta
La Ferrero ha provato a difendersi come poteva. Sulle sue braccia ci sono ripetuti segni della lama che l’ha colpita con una determinazione e una ferocia implacabile.
L’assassino sembra aver sfruttato al meglio la situazione che gli si è presentata.
Quel sabato di fine luglio l’università era molto poco affollata, e al piano di sotto c’erano degli operai che stavano lavorando con un martello pneumatico che copriva ogni rumore, comprese le probabili urla disperate della giovane che avrà certamente gridato aiuto.
L’assassino forse sapeva tutto questo. Sapeva che quel giorno era ideale per compiere un delitto del genere che è stato sì feroce ed efferato, ma forse non dettato dall’istinto, dalla improvvisa voglia di uccidere una ragazza senza una ragione precisa, se non quella di soddisfare un irrefrenabile istinto omicida.
A scoprire il corpo due giorni dopo perché l’università chiuderà il giorno dopo, domenica, sarà un giovane seminarista di 21 anni, Mario Toso, oggi vescovo di Faenza, che passava nel corridoio attiguo al bagno per verificare la data di un appello, ma qualcosa improvvisamente attira la sua attenzione.
Monsignor Toso oggi
Toso sente che dal bagno delle donne l’acqua scroscia in continuazione.
Il rubinetto è stato lasciato volontariamente aperto dall’assassino che forse voleva far scoprire il cadavere in questa maniera oppure, preso dalla fretta, dopo essersi lavato ha lasciato l’acqua aperta e si è dileguato nei corridoi della Cattolica, non visto apparentemente dai bidelli che lavoravano lì quel giorno.
Toso finisce subito tra i sospettati. A lasciare perplessi gli inquirenti è la sua “sfrontatezza”, per così dire, di entrare nel bagno delle donne, nonostante il suo percorso da giovane aspirante sacerdote avrebbe forse suggerito una maggiore pudicizia, ma il commissario Antonino Orlando lo toglierà presto dal taccuino degli indiziati perché il giovane seminarista sembra fosse un maniaco dell’ordine e della precisione.
Se c’era qualche sedia fuori posto in qualche aula, o se c’era qualcosa in terra, lui si chinava per raccoglierla e rimetterla al suo posto, e la decisione di entrare nel bagno delle donne sembra essere stata dettata, a detta degli inquirenti, sempre da questa sua voglia di lasciare in perfetto ordine il luogo nel quale lui studiava filosofia.
La falsa pista dei maniaci sessuali
La polizia sembra prendere subito la pista dei maniaci sessuali che già al principio sembrava destinata ad essere un binario morto.
Vengono interrogati alcuni sospetti, alcuni di essi chiaramente affetti da turbe psichiche, ma nessuno di essi è l’assassino di Simonetta.
Il delitto non presentava degli elementi che facessero pensare alla maniacalità. Simonetta aveva indosso tutti i suoi vestiti.
Sul suo corpo non c’erano tentativi di violenza sessuale.
L’assassino, chiunque fosse, aveva quel giorno soltanto il proposito di uccidere quella ragazza che forse lui stava sorvegliando da qualche tempo a questa parte nei suoi spostamenti, fino a quando non si è presentata l’occasione ideale per colpire quel sabato del 24 luglio nei corridoi semi-deserti dell’università dove Simonetta aveva studiato.
Negli anni a venire, si sono avanzate delle ipotesi che facessero pensare che la 26enne milanese possa essere stata la vittima di un assassino seriale in quegli anni probabilmente attivo a Milano.
Tra il 1969 e il 1975 vengono uccise alcune donne a colpi di coltello, prevalentemente però prostitute con una vita a dir poco “movimentata”, e molto lontana da quella regolare che conduceva invece Simonetta.
Simonetta era figlia di un ragioniere, Francesco, anche lui dipendente della Montedison, e di Liliana Pretti, laureata in chimica.
Le sue sorelle, Elena e Betty, erano rispettivamente una assistente di chimica presso la Statale di Milano, e una studentessa di biologia.
La vita di Simonetta non sembra avere un doppiofondo nascosto, fatto di spasimanti turbati e pretendenti maniaci che la molestavano.
Nulla del genere si trova nella vita di questa giovane di 26 anni che passava ancora le vacanze con la sua famiglia, e veniva considerata da tutti molto seria e giudiziosa.
Il parente “scomodo” di Simonetta legato ai servizi: monsignor Ferrero
Tra i parenti della dipendente della Montedison, ce n’è uno però che forse avrebbe meritato maggiore attenzione.
Si tratta di monsignor Carlo Ferrero, fratello del padre di Simonetta, Francesco, che in quegli anni era un docente di diritto ecclesiastico dell’università Pro Deo.
La Pro Deo era nata qualche anno prima, nel 1966, su impulso di un personaggio molto particolare come padre Felix Morlion.
Padre Morlion
Padre Morlion nasce nel 1904 in Belgio, nelle Fiandre Orientali, e sin dai primi anni della sua carriera ecclesiastica coltiva subito un interesse per la comunicazione e il giornalismo.
A padre Morlion sembrano stare molto a cuore i moderni mezzi di comunicazione, il cui padroneggiamento è essenziale per gestire la propaganda che gli apparati vicini a questo sacerdote volevano trasmettere.
Morlion infatti è molto vicino ai servizi segreti angloamericani e lontano invece dal papato di Pio XII che non è mai stato particolarmente gradito dall’anglosfera e dalla massoneria ecclesiastica, all’epoca già purtroppo in espansione dentro il Vaticano.
Il frate delle Fiandre giunge a Roma nel 1944, e a consentirgli di sbarcare in Italia non sono certo i buoni uffici del Vaticano, ma l’OSS, il servizio segreto degli Stati Uniti, l’antenato della CIA che gli consegna un passaporto americano per far sì che il religioso diventasse un operativo della intelligence americana.
C’erano dei piani ben definiti per il prete belga. Nel 1945, Morlion fonda la sua scuola di giornalismo, ma è nel 1966 che viene data vita al suo progetto più ambizioso, ovvero l’università Pro Deo.
L’ateneo è il primo cattolico in Italia che nasce nel secondo dopoguerra, e viene fondato ufficialmente per contrastare la propaganda comunista e mantenere vivo lo spirito cattolico, anche se, come si vedrà a breve, nella Pro Deo non c’era né il primo né il secondo proposito.
Alla Pro Deo ci sono personaggi legati ai servizi segreti americani.
L’ateneo sembra essere chiaramente sin dalle prime battute una stazione della CIA sotto la copertura di un’università cattolica, ideale per poter condurre determinate operazioni, soprattutto quelle che riguardavano la trasmissione di informazioni riservate sia alla segreteria di Stato, presieduta dal 1969 fino al 1979 da un personaggio come il cardinale Jean Marie Villot, porporato opaco e presente negli elenchi della massoneria ecclesiastica pubblicati da Mino Pecorelli nel 1978.
Sembra che la CIA sia affezionata alle linee fondamentali del suo manuale di infiltrazione nei vari Paesi Occidentali.
I servizi segreti americani non sono nuovi a ricorrere all’uso di scuole e università per infiltrare un Paese, e tra i vari esempi di tale strategia c’è sicuramente quello della famigerata Hyperion, la scuola di lingue della CIA in Europa Occidentale nella quale erano attivi personaggi come Corrado Simioni, il cui ruolo mai è stato approfondito a dovere dagli inquirenti che indagarono sul caso Moro.
Alla Pro Deo si incontrano le stesse dinamiche, ma nel 1968, l’ateneo finisce sotto la lente giornalistica della rivista Mondo d’Oggi che aveva condotto una inchiesta molto dettagliata su questa università e le sue relazioni con l’intelligence americana.
A parlare di questo servizio è stata un’altra rivista, La Peste, che nel 1995 scrisse che l’inchiesta di Mondo d’Oggi sulla Pro Deo dal titolo “Chi sono e cosa fanno questi signori” fu annunciata e poi ritirata.
Sembra che vennero fatte forti pressioni sulla rivista che chiuse non molto tempo dopo l’annuncio di questo servizio che, secondo alcuni, fu scritto da Mino Pecorelli, all’epoca dipendente della rivista, ma non ancora pienamente attivo nella carriera giornalistica che invece intraprese negli anni successivi tramite la sua rivista, Osservatorio Politico, molto ben introdotta negli ambienti dei servizi.
Tra i personaggi che erano passati in rassegna nell’inchiesta c’è proprio lui. C’è monsignor Ferrero.
Dalle pagine del servizio, esce un ritratto a tinte fosche del vescovo.
Ferrero viene descritto come un personaggio sordido, un ecclesiastico che invece di dedicarsi alla vita religiosa intratteneva rapporti sentimentali con giovani studentesse, e che non disdegnava nemmeno affari illeciti, dai quali scaturì l’accusa di traffico di diplomi falsi verso la Pro Deo.
Monsignor Ferrero aveva un ruolo fondamentale nell’ateneo.
Sulla sua scrivania passavano tutti i dossier da trasmettere poi alla segreteria di Stato e ai servizi americani.
Sua era la responsabilità di dirigere questo flusso di informazioni che veniva catalogato e selezionato in base all’argomento del dossier.
Alla politica estera, ad esempio, veniva assegnato il colore rosa, agli affari di politica interna, il colore bianco, e alle analisi che riguardavano il partito comunista il colore giallo.
Federico Umberto D’Amato: il piduista che informava la Pro Deo
A passare le informazioni al centro informazioni diretto da Ferrero era un personaggio come Federico Umberto D’Amato.
Federico Umberto D’Amato
D’Amato già ai tempi della seconda guerra mondiale era come don Morlion una spia al servizio dell’OSS, ed era sotto le dirette dipendenze di James Angleton, capo del controspionaggio della futura CIA.
D’Amato dopo la guerra fa presto carriera nei ranghi della NATO, tanto da divenire il sovrintendente speciale del Patto Atlantico, un ruolo ponte tra il governo e la NATO, ed entra anche nei ranghi dell’Ufficio Affari Riservati del Viminale dove entrerà nel 1959 per divenire capo della struttura nel 1969.
Il nome di D’Amato uscirà successivamente negli anni’80 negli elenchi degli iscritti della loggia massonica P2.
D’Amato insomma le aveva tutte.
Massone, atlantista di ferro e barba finta che si muoveva in stretto coordinamento con gli ambienti della Pro Deo per gestire i dossier più delicati che non di rado, a seconda delle circostanze, venivano accantonati.
Ad avere un debito con D’Amato è proprio il PCI.
L’ex capo dell’Ufficio Affari Riservati ha fatto sparire non pochi fascicoli compromettenti su Botteghe Oscure che non mancava di esprimergli la sua gratitudine, e che lo ha sempre messo al riparo degli attacchi tanto che alla fine della sua carriera al Viminale, L’Espresso, storica rivista della sinistra progressista italiana, gli concederà persino una rubrica gastronomica nella quale lui scriverà i suoi articoli sotto lo pseudonimo di Federico Godio.
Si diceva in precedenza che Morlion aveva fondato la Pro Deo per perorare attività anti-comuniste, ma si è visto che nella pratica il suo ateneo non aveva interesse a colpire veramente il PCI, così come non ce l’aveva papa Roncalli, a sua volta vicinissimo alla CIA, che addirittura nella sua enciclica Pacem in Terris aveva aperto ad una collaborazione tra comunisti e cattolici.
Sembra dunque che l’anticomunismo viscerale di alcuni ambienti atlantici e “cattolici” fosse soltanto mera apparenza, poiché in realtà la massoneria ben presente, come si è visto, nei ranghi dei servizi e infiltratasi anche in Vaticano, non ha mai manifestato un vero e proprio interesse a perseguire una vera crociata contro il comunismo, considerato che questa ideologia anticristiana risponde in pieni agli scopi della libera muratoria.
A decidere quali informazioni passare e quali no erano sempre loro due.
Monsignor Ferrero e il massone Federico Umberto D’Amato, ma gli inquirenti a Milano non sembrano interessati a mettere sotto la loro lente investigativa l’ingombrante zio di Simonetta vicino alla massoneria e ai servizi americani, per cercare invece improbabili maniaci sessuali che si sono rivelati estranei al delitto.
La Pro Deo forse andava lasciata stare, e la pista che conduceva ad un possibile movente dell’omicidio della giovane donna per via dei rapporti dello zio è stata “sorvolata” dalla magistratura, anche perché quell’università da lì a pochi anni sarebbe diventata la moderna LUISS.
A rilevare la Pro Deo è stato un gruppo di imprenditori guidati da Umberto Agnelli, fratello di Gianni, ubiquo membro di un giro di club mondialisti, tra i quali il Bilderberg e il club di Roma, che fecero di questa università il principale polo, assieme alla Bocconi, dell’establishment liberale italiano così vicino alla massoneria e alla solita anglosfera.
L’altro mistero della Cattolica: il “suicidio” di Franco Anelli
Il mistero della morte di Simonetta resta ancora oggi irrisolto perché una pista che forse avrebbe potuto fare luce sull’esecutore materiale del delitto e sui suoi mandanti non fu mai battuta, ma a distanza di 54 anni, alla Cattolica continuano ad esserci altre vicende oscure, ancora non chiarite, come quella che riguarda l’ex rettore Franco Anelli.
Secondo la stampa e gli inquirenti, si tratterebbe di “suicidio” anche se non è emerso nulla ad oggi che confermi un qualche stato depressivo o tendenze suicidarie dell’ex rettore.
Il 23 maggio del 2024, Anelli rientrava presso la sua abitazione a via Illica assieme alla sua compagna.
Via Illica, la strada dove abitava il rettore Anelli
Il rettore dell’ateneo cattolico più importante d’Italia non era infatti sposato, ma convivente, una circostanza che in altri tempi non gli avrebbe nemmeno consentito di insegnare in quell’ateneo, ma nei tempi della moderna chiesa post-conciliare questa e altre aberrazioni sono diventate purtroppo realtà.
Anelli rincasa quella sera tranquillo assieme alla donna, che non nota apparentemente nessun particolare turbamento nel rettore.
La compagna entra nell’appartamento che raggiungeva due piani dello stabile, il primo e il secondo, e il rettore senza una particolare ragione entra nell’ascensore e decide di salire al sesto piano dell’edificio.
Alla donna non è stato chiesto se Anelli avesse un appuntamento con qualcuno quella sera, e se le è stato chiesto, la stampa e gli inquirenti si sono guardati bene dal far uscire questa informazione, così come non è stata fatta uscire l’informazione che quello stabile era videosorvegliato.
Se qualcuno dopo il rettore è entrato ed uscito dal palazzo, le telecamere devono averlo certamente visto.
Una volta raggiunto l’ultimo piano del palazzo, giunge il drammatico epilogo per il rettore.
Anelli precipita improvvisamente di sotto.
Secondo gli inquirenti, Anelli prima di lanciarsi nel vuoto avrebbe mandato dei messaggi con il suo cellulare, ma non è mai stato detto se l’apparecchio fosse con lui al momento del lancio, oppure se lo abbia lasciato sul pavimento del sesto piano prima di essersi presumibilmente gettato nel vuoto.
Se il cellulare era con lui al momento dell’impatto, appare difficile che questo possa aver resistito all’urto dopo un volo di quasi 20 metri.
Il messaggio partito dal suo telefono resta a dir poco criptico.
“Game over, il gioco è finito”, senza dire o spiegare altro, e sembra francamente un po’ troppo poco per considerare questa coma una nota suicidaria, sempre ammesso che sia stato Anelli a scriverla e non qualcun altro.
Soltanto due giorni dopo poi va segnalato un fatto davvero singolare e sotto certi aspetti inquietante.
Sulla rivista, un tempo cattolica, Famiglia Cristiana, viene pubblicata una vignetta particolare.
Nella scena della vignetta si vede un tipo che viene buttato fuori dal suo posto di lavoro, e sotto c’è proprio la scritta “Game over”.
La strana vignetta di Famiglia Cristiana
Singolare la scelta di queste parole da parte del vignettista di Famiglia Cristiana, le stesse parole che sarebbero state scelte presumibilmente da Anelli o dal suo assassino quel 24 maggio.
Il rettore sembrava essere comunque un personaggio lontano dallo spirito della tradizione cattolica, e piuttosto vicino invece a quegli ambienti progressisti e globalisti che hanno indirizzato sin dal principio il papato di Francesco.
A volerlo come consultore del dicastero vaticano per la Cultura e l’Educazione fu proprio Bergoglio, ma c’è un altro episodio che forse aiuta ancora meglio a capire la filosofia che seguiva Anelli.
Nell’ottobre del 2023, nel cortile della Cattolica viene inaugurata una statua di Sant’Ambrogio realizzata dallo scultore Franco Paladino.
L’opera raffigura il Santo affianco ad un cavallo, probabilmente un riferimento all’immagine classica di Sant’Ambrogio che seduto sul suo cavallo scaccia gli ariani.
La controversa scultura di Paladino alla Cattolica
Si tratta di una raffigurazione che ha fatto storcere il naso ad alcuni, visto che il Santo è raffigurato come un efebo nudo, e nel monumento sembrano esserci dei riferimenti e delle atmosfere ben lontane dalla iconografia cattolica.
Anelli disse che in quest’opera ci sono “stratificazioni simboliche complesse”, che di certo non sembrano cristiane.
Ancora non si sono diradate le nebbie che avvolgono i misteri delle morti della Ferrero e di Anelli, che proprio nei giorni scorsi è stato ucciso un altro docente dell’università, Maurizio Rebuzzini.
Sembra impossibile trovare il bandolo della matassa di queste morti senza prendere in considerazione la guerra furiosa che si è aperta in seno alle logge dopo lo scisma consumatosi tra il GOI di palazzo Giustiniani e il Rito Scozzese di piazza del Gesù.
I massoni si minacciano apertamente di morte gli uni contro gli altri.
Sull’ateneo fondato da padre Gemelli continuano intanto ad aleggiare diverse ombre, e nessuna di queste sembra essere cattolica.
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