di Cesare Sacchetti Si è passati dalle negazioni più convinte e ostinate riguardo alla truffa...
Sogno di una sostituzione di mezza estate e gli ultimi valzer della Seconda Repubblica
Di Cesare Sacchetti
A Cernobbio, l’ultima volta si sono riuniti a giugno in gran segreto i vari esponenti dei governi europei e altri esponenti dell’alta finanza europea e internazionale.
E’ stato un incontro che si è tenuto nel riserbo più assoluto, perché, secondo fonti dei servizi italiani che si sono messe in contatto con questo blog, si sono in pratica delineate le strategie della governance mondiale, o meglio di ciò che resta di essa.
La crisi è indubbiamente profonda e molto acuta.
Dopo il fallimento della farsa pandemica, hanno iniziato a poco a poco ad uscire di scena i vari personaggi che l’hanno concepita per creare quell’evento catalizzatore necessario per dare vita al famigerato Grande Reset di Davos.
A farsi da parte è stato, tra gli altri, proprio lui, lo storico fondatore del World Economic Forum, Klaus Schwab, che nel 1971 scelse questa quieta e sconosciuta località tra le montagne svizzere, Davos, per creare uno dei vari circoli che si incaricano di trasmettere le varie direttive ai vari governi europei e internazionali.
Davos ha perso però la sua capacità di influire come una volta.
Già nel 2022, le sue consuete riunioni annuali hanno iniziato ad essere disertate dai personaggi che contano, tra i quali c’è l’ineffabile George Soros, mentre un tempo c’era la coda per partecipare, perché entrare lì significava avere un posto al sole nella gerarchia mondialista e la possibilità di avere un incarico di prestigio per partecipare alla costruzione del governo mondiale.
La situazione ora è del tutto cambiata.
Sono tramontati i tempi d’oro nei quali personaggi come David Rockefeller ringraziavano calorosamente la stampa internazionale, soprattutto quella anglosassone, per aver taciuto al grande pubblico gli incontri annuali che i vari “elitisti” conducevano nella segretezza più assoluta, perché in tali consessi si cospirava e si agiva contro i popoli e contro la sovranità delle loro nazioni.
Oggi, gli elitisti sono in grandissima difficoltà e sono costretti a riunioni di emergenza come quella tenuta a Cernobbio per provare ad arginare la frana che sta travolgendo 80 anni di ordine liberale internazionale.
Si sono così dati appuntamento nella lussuosa villa d’Este bagnata dalle acque del lago di Como vari esponenti dei governi europei che hanno discusso di vari argomenti, tra i quali la crisi dello stato ebraico, il papato di Leone XIV, alquanto sgradito a tali ambienti, e la politica estera di Trump che sta scavando un solco sempre più profondo tra l’Unione europea e gli Stati Uniti, soprattutto alla luce dei dazi in arrivo il 1 agosto e della possibile scelta della Federal Reserve Bank di chiudere i fondi alla BCE, una eventualità che lascerebbe l’istituto di Francoforte e le varie banche europee a corto di dollari necessari per onorare diverse obbligazioni finanziarie.
Tra gli argomenti in discussione però ce n’è uno in particolare che è allo studio e riguarda proprio l’Italia, scelta, purtroppo suo malgrado, come una delle ultime basi di questo decadente sistema di potere in declino, ed è la questione del governo di Giorgia Meloni.
La genesi del governo Meloni: a palazzo Chigi per forza
Giorgia Meloni è presidente del Consiglio suo malgrado.
Giorgia Meloni
Lady Aspen non avrebbe mai voluto varcare la soglia di palazzo Chigi, una circostanza che dentro e fuori i palazzi del potere è un po’ come il segreto di Pulcinella.
Già all’indomani della crisi del governo di Mario Draghi nel giugno del 2022, la pasionaria di FDI, nonostante quello che dichiarava ai media, voleva a tutti i costi che Mario Draghi restasse lì dove si trovava.
Sulla stessa lunghezza d’onda era Matteo Salvini, che soltanto fino a pochi anni prima apostrofava Draghi come traditore, per poi accoglierlo a braccia aperte nel marzo del 2020 tanto da salutarlo con un servile “benvenuto presidente”, soltanto per aver scritto un articolo sul Financial Times, che di “sovranista” non aveva in realtà proprio nulla.
Al centrodestra, come al resto della politica italiana, andava più che bene l’idea che a palazzo Chigi ci fosse l’uomo del Britannia, un sicario giunto da Francoforte per liquidare ciò che restava dell’Italia da lui deindustrializzata a bordo del famigerato panfilo Britannia nel 1992, ma soprattutto per eseguire l’agenda vaccinale, uno dei punti prioritari di circoli come il forum di Davos e il club di Roma.
Si può dire che la vaccinazione, sotto certi aspetti, è stata a tutti gli effetti una vera e propria prova tecnica del tipo di società che gli ambienti davosiani avevano in mente per l’Italia e il mondo intero.
Soltanto i vaccinati avrebbero potuto entrare a far parte della società del Grande Reset, nella quale la proprietà privata sarebbe stata estinta, sulle orme delle idee degli Illuminati di Adam Weishaupt, e dove il vaccino sarebbe stato il passaporto per poter fare qualsiasi cosa, anche la più elementare, dall’andare a lavorare all’ingresso in un semplice bar.
Si può cogliere qui tutta l’ironia e soprattutto l’ipocrisia dell’antifascismo e del movimento sionista che per anni hanno stigmatizzato le leggi razziali del 1938 in Italia, quando poi essi hanno partorito e difeso restrizioni ben più autoritarie e discriminanti di quelle del fascismo.
Il disvelamento è stato in pratica inevitabile.
La brutalità della farsa pandemica ha mostrato agli italiani il vero volto della democrazia liberale che indossa la ipocrita maschera del culto dei diritti umani, dietro la quale si cela in realtà una faccia feroce, persino più repressiva delle dittature comuniste del secolo scorso.
Tra la fine del 2021 e l’inizio del 2022, qualcosa però andò storto.
L’appoggio internazionale alla farsa pandemica era ormai svanito, e Draghi intuì immediatamente che senza una protezione internazionale era impossibile proseguire nell’applicazione delle restrizioni a suon di obblighi vaccinali e certificati verdi.
Negli ultimi mesi della falsa emergenza pandemica, la proroga della durata di un mese del certificato verde è parsa tutt’al più come un modo per piegare la resistenza di chi ancora non aveva ceduto e costringerlo così a mettere il siero nel proprio corpo, andando così incontro al destino della impressionante moltitudine delle morti da malore improvviso che invadono le cronache giornaliere.
Draghi capi, più semplicemente, che non c’era più nulla da fare, e che la classe politica italiana non aveva alcuna intenzione di portarlo al Quirinale, come promesso.
Ai partiti faceva molto più comodo servirsi di lui come un parafulmine per sottrarre qualsiasi responsabilità al Parlamento che aveva votato per la persecuzione degli italiani e per la vaccinazione di massa, condannando così a morte milioni di persone.
L’occasione propizia per lasciare palazzo Chigi giunse a giugno, dopo lo sfilamento del M5S, una falsa opposizione ormai completamente bruciata.
Le dimissioni di Mario Draghi
Non c’era nessun altro pronto per sostituire Draghi se non il centrodestra guidato dalla Meloni, la quale non aveva nessuna voglia di prendere la patata bollente tra le mani, e che avrebbe ben volentieri lasciato l’incombenza a qualcun altro.
Giorgia Meloni ha scelto quindi di non scegliere.
Non si può negare che qualche parte dell’agenda globalista venga eseguita a macchia di leopardo, a partire dal decreto flussi che vorrebbe far entrare in Italia 500mila immigrati e dalle svendite di altri gioielli italiani quali, ad esempio la Piaggio Aerospace venduta alla Turchia, ma il presidente del Consiglio non si espone su tutto il resto, e preferisce darsi ai viaggi in giro per il mondo o ai ricevimenti a palazzo Chigi, che non delineano alcuna linea precisa di politica estera.
Ci si trova di fronte ad una presidenza del Consiglio da pubbliche relazioni che la Meloni sfrutta a proprio vantaggio e per il proprio tornaconto, nella speranza di guadagnarsi un qualche inutile, ma ben pagato, incarico internazionale, non molto diversamente da come fatto dall’l’ex grillino, Luigi Di Maio, seduto su una inutile e costosa poltrona di Bruxelles a spese dei contribuenti europei.
Mattarella ebbe già a lamentarsi in passato di tale disimpegno della Meloni e la esortò a fare di più, a spendersi di più per tenere a galla la barca che affonda.
Nulla sembra però spostare la Meloni che anzi nelle sue uscite pubbliche mostra dei preoccupanti tic nervosi molto simili a quello di Zelensky, altro segno del generale stato di decadenza e abbandono morale che pervade le istituzioni politiche italiane ed europee.
L’establishment studia l’ipotesi della sostituzione
L’insoddisfazione di taluni ambienti ha così partorito la necessità di discutere degli scenari alternativi per l’Italia, su tutti quello di una eventuale sostituzione della Meloni.
Tra i primi ad esternare tale malessere nei riguardi dell’esecutivo è stato due anni addietro l’ingegner Carlo De Benedetti, ex patron di La Repubblica, oggi in guerra contro la famiglia Elkann, che aveva suggerito l’instaurazione di un governo tecnico.
De Benedetti invoca il governo tecnico
Il proposito appariva e appare però irrealizzabile.
I tecnici si tengono tutti a debita distanza.
Uno dopo l’altro, si sono tutti defilati, consci che la loro stagione è finita.
Non è questo il tempo di Mario Monti.
Troppo diverse le congiunture internazionali rispetto al 2012, e troppo debole l’Unione europea che oggi si ritrova abbandonata e colpita dagli Stati Uniti che un tempo invece erano i suoi protettori.
Il Bilderberg italiano di Cernobbio pondera così gli scenari e valuta altre eventuali candidature alla ricerca di un presidente del Consiglio in modalità kamikaze, sulla falsariga dei suoi tre omologhi europei, Starmer, Macron e Metz, ognuno dei quali, soprattutto i leader inglesi e francesi, sono colpiti da profonde crisi politiche interne.
Tra la rosa dei candidati sembra esserci l’attuale “ministro” degli Esteri, Antonio Tajani, che ha preso in mano il delicato dossier dei dazi al posto della Meloni, che non ha detto una parola nemmeno su tale questione e continua ad essere praticamente assente dalla scena politica.
Antonio Tajani
Tajani viene considerato l’alternativa più fattibile in un altro governo di centrodestra senza passare dalla ricerca e dalla composizione di maggioranze alternative.
La strada sembra però è irta e in salita, ed estremamente rischiosa perché premere per una crisi in autunno con la manovra finanziaria in corso è alquanto azzardato, e si deve essere certi della rapida riuscita dell’operazione.
Viene vagliata in alternativa anche la candidatura di Carlo Calenda, catapultato da Renzi nella politica italiana nel 2016, e uno dei personaggi più preoccupati dal crollo in corso dell’establishment europeo, conscio probabilmente che da tale tempesta lui e gli altri peones della palude di Montecitorio rischiano di essere travolti.
A Cernobbio, il nome di Calenda era già uscito nel settembre del 2022, segno che gli ambienti del Bilderberg italiano lo avevano già preso in esame per provare a salvare quel che restava degli equilibri infranti con la chiusura della “pandemia” e con la caduta del governo Draghi.
L’intervento dello scorso anno di Calenda all’Ambrosetti Forum
Calenda sulla carta dovrebbe andare oltre la semplice maggioranza del centrodestra.
Dovrebbe provare a cercare una intesa bipartisan tra centrodestra e centrosinistra nella speranza che i vari partiti decidano di affidare a lui le chiavi di palazzo Chigi e lasciarlo sedere sulla poltrona più calda d’Italia.
Anche in tal caso, l’operazione sarebbe molto rischiosa perché, come nel caso di Tajani, non c’è alcuna certezza della riuscita della sostituzione, soprattutto perché essa potrebbe esacerbare ancora di più diverse fratture e faide presenti nei vari partiti del centrodestra, nessuno escluso, e anche in quelli del centrosinistra, soprattutto il PD che ha perso diversi deputati, non contenti della segreteria di Elly Schlein, senza dubbio il leader politico più mediocre e inadeguato degli ultimi 20 anni di partito democratico.
La politica italiana oggi è non per nulla differente da una fragilissima cristalleria.
Chiunque entri dentro, deve stare attento anche al più piccolo movimento, perché se si fa una mossa affrettata, o se si sbaglia anche di un solo centimetro uno spostamento, allora ecco che rischia di venire giù tutto il fragile castello di carte della Seconda Repubblica, che da quando Washington l’ha abbandonata, non sa più che pesci pigliare.
I protettori stranieri in declino: Francia e Gran Bretagna
Si è provato a bussare alla porta di Re Carlo ai primi di aprile attraverso quella imbarazzante cerimonia di una classe politica coloniale, ma Mattarella e gli altri hanno malriposto le loro speranze perché il sovrano che ha preso il posto di Elisabetta II, una delle figure più importanti del famigerato comitato dei 300 e della massoneria mondiale, ha un tumore in stato avanzato, e la prima a sapere che il suo tempo è agli sgoccioli è proprio la corte Buckingham Palace.
A dover prendere il suo posto dovrebbe essere il principe William, ma il giovane erede al trono sembra molto poco interessato alle faccende di Stato, e passa invece più il suo tempo tra eventi mondani e sportivi, prioritari, a quanto pare, per lui.
I Windsor vivono una grave crisi esistenziale, acuitasi dopo la morte della regina Elisabetta, una sorta di evento spartiacque nella storia, tanto che alcuni Paesi hanno chiesto di uscire dal regno del Commonwealth, l’alleanza della quale fanno parte 14 Stati anglofoni nel mondo, tra i quali il Canada, l’Australia, la Nuova Zelanda e la Giamaica.
Appena insediatosi al trono Carlo III, almeno 6 Paesi hanno chiesto di lasciare il Commonwealth e di non avere più come capo di Stato il sovrano d’Inghilterra, un altro segno della inevitabile fine della cosiddetta anglosfera e della sua longa manus politica e commerciale.
Re Carlo III
Si diceva una volta, nel punto di massimo splendore dell’impero britannico, che su di esso non tramontava mai il sole perché in qualche parte del mondo era sempre giorno.
Oggi su quel che resta dell’impero ci sono soltanto molte ombre e molta decadenza, soprattutto dopo che la famiglia di banchieri dei Rothschild che aveva in mano le redini della corona britannica, ha iniziato a perdere molta della sua ricchezza, tanto da essere costretti a vendere i propri beni storici all’asta e depositare parte del loro patrimonio presso la banca centrale del Marocco, in previsione di tempi ancora più duri.
Non può dirsi più rosea la situazione di uno degli altri riferimenti di tale disgraziata repubblica, ovvero la Francia di Macron, che in patria è travolto da una crisi politica sempre più grave e profonda, e all’estero vede andare in fumo a sua volta il suo impero coloniale della Françafrique, dopo l’annuncio del ritiro delle truppe militari francesi dall’Africa Occidentale.
La Francia perde così il suo impero.
La sua illusione di grandeur viene spazzata via dalla storia che a poco a poco costruisce assetti completamente nuovi, molto più simili sotto certi aspetti all’era che ha preceduto la nascita degli imperi coloniali sorti dopo il 1800.
Mattarella: un “garante” in affanno
Non ci sono più protettori e garanti esteri dunque, e quello interno seduto sul Colle più alto della repubblica di Cassibile non sembra che goda di ottima salute.
Soltanto ieri, il presidente Mattarella si è presentato con un vistoso cerotto sulla fronte che, secondo La Repubblica, sarebbe stato apposto per coprire l’asportazione di un neo, che in realtà lì non risulta mai esserci stato, a giudicare da tutte le precedenti fotografie del presidente.
Il cerotto sulla fronte di Mattarella
Il presidente aveva difatti già mostrato a fine dell’anno scorso dei problemi di salute.
Aveva apparentemente avvertito un malore prima del concerto di Natale al Senato, e pochi giorni dopo quell’evento aveva saltato l’inaugurazione dell’apertura della Porta Santa per il Giubileo, circostanza molto anomala soprattutto se si considera la stima profonda che legava Bergoglio e Mattarella.
Ad aprile, c’è stato un altro segno che il capo dello Stato aveva qualche problema serio, quando è stato ricoverato nottetempo all’ospedale Santo Spirito di Roma, una notizia che il Quirinale ha provato a presentare come un “ricovero programmato”, ma se era programmato allora non si comprende perché farlo alle 9 di sera e perché non farlo sapere agli organi di stampa nei giorni precedenti.
Il “garante” fa evidentemente sempre più fatica a garantire un sistema che ormai non sembra più stare in piedi.
Le istituzioni politiche italiane sembrano diventate dei completi simulacri giuridici che pensano soltanto a saccheggiare ciò che resta nella cassaforte del Paese, mentre i vari clan che compongono le varie bande si azzannano a vicenda ogni giorno che passa a colpi di inchieste giudiziarie che vengono improvvisamente aperte o riaperte, oppure, peggio ancora, a colpi di strani “suicidi” che assomigliano molto ad omicidi dissimulati.
Se il panorama è chiaramente quello di un generale disfacimento della Repubblica, a questo punto assume dunque davvero poca importanza chi c’è o meno a palazzo Chigi, perché nessuno può tenere a galla un sistema politico che affonda e che stava in piedi soltanto perché entità internazionali e sovranazionali lo volevano.
Il punto di non ritorno è stato superato nel biennio della operazione terroristica del coronavirus.
Non c’è nulla che possa arrestare la crisi strutturale dei partiti italiani e la loro incapacità di rappresentare alcunché se non i loro comitati di affari che si sono arricchiti a spese di una nazione intera.
Assume quindi poca o nessuna importanza un eventuale piano di sostituzione della Meloni.
Se il circolo di Cernobbio proverà a giocarsi tale carta, allora non farà altro che peggiorare la sua situazione e accelerare la irreversibile crisi della politica iniziata nel 2022.
Se c’è qualcosa che preoccupa, a questo punto, sono i possibili colpi di coda di un apparato in disfacimento che provocare ulteriori danni nella logica sansoniana di provare a trascinare giù assieme ad esso tutto ciò che lo circonda.
I mesi successivi saranno a dir poco roventi.
Saranno quelli più intensi e turbolenti per il sistema politico italiano e saranno forse gli ultimi giri di valzer della Seconda Repubblica.
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Questi signori o signore che siano, hanno rotto tutti quanti i coglioni: sono della frutta marcia, alimento solo per i vermi. Corrono il serio rischio che arrivi un Robespierre e li faccia ghigliottinare. Purtroppo non sarà la soluzione, ma saranno sostituiti con altra frutta marcia. I vermi, semplicemente, cambieranno frutta.
Ciò che mi riesce ingiustificabile, anche se purtroppo mi è comprensibile, è come facciano le persone “normali” a continuare a dare fiducia a questa frutta marcia. Fino a quando non riusciranno a distinguere la frutta marcia da quella matura o acerba che sia, non cambierà nulla. La pessima consolazione è che, da quando esiste la civiltà, le persone normali non sono mai riuscite a focalizzare la loro fiducia verso la frutta buona.