di Cesare Sacchetti Le immagini di ieri sera della Corea del Sud ad un tratto assomigliavano molto...
Mattarella e la sostituzione impossibile della Meloni: l’establishment italiano in un cul-de-sac
di Cesare Sacchetti
Irritazione è lo stato d’animo che sembra trapelare dal Colle. O forse si dovrebbe parlare di vera e propria ira dal momento che Sergio Mattarella ha già richiamato diverse volte il governo Meloni per le sue “mancanze”.
La prima volta è stata ad aprile quando Giorgia Meloni e Sergio Mattarella hanno avuto un pranzo assieme al Quirinale nel quale il tema principale è stato il PNRR.
Secondo quanto riporta la Corte dei Conti, dei 32 miliardi disponibili nel 2022 solamente uno è stato utilizzato.
Ed è bene ancora una volta precisare un fatto importate. Non si tratta di fondi a titolo perduto che piovono magicamente dal cielo dell’UE come racconta la solita stampa asservita all’eurocrazia. Si tratta di prestiti che vanno restituiti con delle condizionalità molto precise e stringenti.
A Bruxelles infatti non arrivano mai soldi per l’Italia. Semmai è il meccanismo inverso. È l’Italia che sovvenziona lautamente l’Unione europea attraverso i fondi strutturali per poi ricevere indietro puntualmente sempre meno di ciò che era stato dato in prima istanza.
Qualche esperto di economia contabile, ovviamente non interpellato dai media mainstream, ha fatto notare come il vero PNRR per l’Italia sarebbe tenersi i fondi strutturali che ogni anno invia a Bruxelles.
Ma ovviamente nell’attuale e declinante classe politica non ci sono personaggi che possono anche solamente pensare di andare in questa direzione.
Coloro che compongono questa classe politica sono programmati per eseguire le indicazioni che ricevono dai centri di potere sovranazionale che tirano le fila dell’Italia da molti, e troppi, decenni.
Questa situazione di stallo ha provocato l’irritazione di Mattarella che dopo il primo richiamo di aprile è tornato nuovamente a strigliare il governo, stavolta formalmente sull’abuso dei decreti omnibus, anche se negli ambienti del Quirinale si dice che il vero motivo del richiamo sia stato ancora una volta dovuto per la non esecuzione del PNRR.
Sarebbe stata questa la ragione che ha spinto il capo dello Stato a compiere il suo recente viaggio in Francia.
Il retroscena che la stampa italiana non ha riportato è quello che riguarda la reale motivazione dell’incontro tra Mattarella e Macron che non è altro che la conseguenza del famigerato patto del Quirinale.
È attraverso tale patto che l’Italia è stata spostata nella sfera di influenza francofona. Il passaggio di consegne dal governo Conte a quello Draghi è stato voluto proprio per spostare gli equilibri geopolitici della Penisola.
Il governo Conte aveva stretti rapporti con la Cina così come gli stessi fondatori del M5S, Grillo e Casaleggio, entrambi di casa all’ambasciata cinese.
Questa tela di rapporti tra M5S e Pechino ha portato l’Italia nel 2019 ad entrare nella via della Seta, un unicum in Occidente, senza che poi l’allora Lega “sovranista” muovesse un dito per impedire la firma di tale accordo da molti considerato come una spietata attuazione del colonialismo economico cinese.
Il governo Draghi ha spostato nuovamente gli equilibri della Penisola portandola verso un’altra potenza coloniale, la Francia di Macron.
Mattarella pensa ad una sostituzione della Meloni?
E il garante della condizione di appartenenza dell’Italia alla sfera di controllo francese è sicuramente Sergio Mattarella.
La frenesia di Mattarella nasce anche da questa condizione. Da un po’ di tempo a questa parte infatti il capo dello Stato è affetto da un’insolita incontinenza verbale che non appare essere altro che un modo piuttosto disordinato per provare a riempire il vuoto del governo virtuale di Giorgia Meloni, più presente all’estero che a palazzo Chigi.
Ciò dunque, secondo alcune fonti istituzionali, lo avrebbe spinto a recarsi a Parigi per discutere con il capo dell’Eliseo la situazione di immobilismo che si è creata con l’esecutivo italiano.
Giorgia Meloni è semplicemente inadempiente. Il sistema di potere che aveva ordinato la calata di Draghi a palazzo Chigi l’aveva scelta come sostituto per proseguire sulla strada dell’uomo del Britannia.
Ma gli equilibri che garantivano l’attuazione di determinate trame, in particolar modo il PNRR, non sono più quelli di una volta.
Il potere della tecnocrazia europea sull’Italia si è indebolito di molto perché il garante di tale “ordine”, l’impero americano, sta attraversando una crisi profonda e irreversibile.
Il perno di Washington sul quale si è fondato quello che viene definito da alcuni parvenu delle élite liberali come “ordine liberale internazionale” è venuto meno.
Gli Stati Uniti hanno preso un’altra direzione dai tempi della presidenza Trump e il percorso intrapreso non è cambiato sotto la cosiddetta amministrazione Biden per una serie di ragioni che sono state affrontate in precedenza.
Ciò che più rileva in questa analisi è come lo status quo precedente si stia estinguendo ma esistono ancora elementi che vecchio sistema che non vogliono arrendersi alla loro estinzione politica.
Il capo dello Stato appare sicuramente essere uno di questi e la visita a Macron sarebbe stata dettata dalla necessità di sostituire la Meloni con un altro presidente del Consiglio che sostanzialmente accetti di vestire i panni dell’agnellino sacrificale per provare ad attuare il PNRR o il MES.
MES sul quale la Meloni ha chiuso a sua volta le porte quando ha dichiarato in una nuova intervista a Bruno Vespa che esso sarebbe uno “stigma che ora rischia di tenere bloccate delle risorse in un momento in cui invece stiamo tutti cercando risorse.”
Il messaggio è chiaro. Il presidente del Consiglio non vuole portare avanti né il primo strumento, il PNRR, né il secondo, il MES, perché le conseguenze socio-economiche sarebbero semplicemente devastanti.
Il MES a differenza del PNRR prevede sulla carta una ristrutturazione del debito pubblico pari a quella che è stata attuata 10 anni prima in Grecia.
E probabilmente gli italiani che ricordano quanto accaduto in Grecia dopo il famigerato “haircut”, il taglio del debito pubblico, non sono pochi.
La Grecia ha conosciuto una drammatica crisi sociale senza precedenti. La sua sanità pubblica è stata letteralmente polverizzata e le conseguenze sono state un aumento spaventoso della mortalità infantile.
Se volessimo parafrasare Von Klausewitz, potremmo dire che l’austerità è la prosecuzione della politica con altri mezzi.
E gli effetti non sono quelli che portano un Paese ad essere seppellito di bombe. Le guerre moderne nell’Occidente non si combattono più a colpi di mortaio.
Si combattono a colpi di stime economiche artefatte pensate per radere al suolo l’economia di un Paese come fece proprio il FMI nei confronti della Grecia.
Il MES, di cui parlammo in un’altra occasione, avrebbe l’effetto di una bomba nucleare piazzata nel cuore dell’economia italiana.
Ciò che accomuna il MES e il PNRR al netto delle differenti tecnicalità è lo scopo comune. Il fine è quello di molti anni addietro decretato dal club di Roma fondato dalla famiglia Rockefeller e Aurelio Peccei, uomo forte della FIAT e considerato come una sorta di moderno Adam Weishaupt, il fondatore degli Illuminati di Baviera del 1776.
Questi poteri già negli anni 70 avevano designato la progressiva deindustrializzazione del Paese e la sua crisi demografica.
Sono questi i veri centri di potere che hanno tenuto in mano non solo le sorti dell’Italia ma anche degli Stati Uniti, dal momento che nessuno entrava alla Casa Bianca senza avere il placet di questi circoli transnazionali.
Trump è stato il presidente che ha messo fine a questa “regola” sconvolgendo equilibri che duravano dalla seconda guerra mondiale in poi.
Come si è detto in precedenza, ci sono però alcuni elementi di questo apparato che sono riluttanti ad uscire di scena e ad accettare che la storia ha voltato pagina.
Uno di essi è sicuramente Carlo De Benedetti, ex patron di Repubblica, e da molti decenni in prima linea nel trasformare l’Italia nel laboratorio della società aperta voluta da Soros.
Soros, che tra l’altro, ha lasciato la scena anche lui con il suo annuncio di aver consegnato le redini del suo impero a suo figlio Alexander che non appare minimamente in grado di farsi carico della “eredità” del padre.
De Benedetti è stato comunque uno dei primi ad uscire pubblicamente e a chiedere che la pasionaria di Fdi sia sostituita con un tecnico.
Quei fragili equilibri e l’impossibilità di sostituire la Meloni
E pare che sia questo lo scenario di cui avrebbe discusso Mattarella con Macron nel corso del suo incontro, ma qui però si presentano alcuni problemi di natura politica insormontabile.
Il primo riguarda l’uscita dei tecnici che da Draghi in poi è diventata una vera e propria fuga in massa.
I tecnici si tengono distanti da palazzi Chigi perché anche loro si troverebbero a dover fare i conti con gli stessi problemi di carattere internazionale che avrebbero i politici, ovvero la caduta di quell’apparato che assicurava il potere tecnocratico.
Il secondo invece riguarda i fragilissimi equilibri interni ai partiti italiani.
Giorgia Meloni appare essere l’ultima figura che può dare almeno l’apparenza di un centrodestra “unito” e con una leadership riconosciuta.
Il termine “apparenza” non è stato utilizzato casualmente perché il centrodestra sostanzialmente non esiste più da un pezzo.
Si sta insieme per forza d’inerzia e non per una vera unità d’intenti. E si sta insieme per provare a reggere uno status quo che ogni giorno presenta crepe sempre più vistose e profonde.
C’è poi da considerare che Giorgia Meloni non sarebbe affatto dispiaciuta di uscire da palazzo Chigi, dal momento che sembra essere sin dallo scorso ottobre alla ricerca di pretesti per passare la patata bollente a qualcun altro.
A sinistra però non sembrano esserci alternative per formare un governo con eventuali parti di ciò che è rimasto del centro renziano e calendiano.
Dalle parti del Nazareno è in atto in questo momento una sorta di scissione strisciante e progressiva che sta portando il PD ad una frattura sempre più profonda.
La segreteria Schlein, voluta fortemente da Bersani e Speranza, ha spostato il partito molto di più verso le zone della sinistra radicale creando non pochi malumori all’interno del PD.
A Bruxelles, la spaccatura si vede ancora di più. Alcuni pezzi del PD hanno votato in maniera opposta sull’utilizzo dei fondi del PNRR per l’acquisto di armi e munizioni.
Se a questo si aggiunge che c’è all’interno della stessa area politica una guerra tra bande che ha visto D’Alema, uno degli uomini più influenti dello stato profondo italiano, finire sotto inchiesta per traffico di armi, l’ipotesi di un governo di centrosinistra appare ancora più remota.
Gli equilibri sono così fragili e instabili che toccarli rischierebbe di fare ancora più danni di quelli visti sino ad ora.
Ciò porta ad un’unica conclusione che è sostanzialmente la stessa alla quale è giunto Mario Draghi in un suo recente intervento al MIT di Boston.
L’uomo del Britannia nel corso del suo discorso ha lanciato un vero e proprio allarme quando ha dichiarato che se il regime nazista di Kiev avrà la peggio in Ucraina, l’Unione europea non avrà alcuna possibilità di sopravvivenza.
La sconfitta del braccio armato dell’Euro-Atlantismo, la NATO, porta al definito crollo del già citato ordine liberale internazionale del 1945.
La fase attuale è di proporzioni storiche. Il mondo sta passando dall’età degli imperi a quella del ritorno degli Stati nazionali dotati di piena sovranità nel contesto del mondo multipolare.
E tale processo non si sta fermando. Si sta accelerando. Ciò che condanna lo stato profondo italiano è il venir meno degli equilibri storici dai quali esso dipendeva.
Questo con buona pace di quelle parti come il Colle che rifiutano la storia e si ostinano a voler mantenere immutato il precedente ordine.
Appare evidente a questo punto come l’establishment liberale italiano si trovi in un cul-de-sac.
Si ritrova con un presidente del Consiglio riluttante ad eseguire gli ordini, e al tempo stesso si ritrova impossibilitato a sostituirlo pena quello di ottenere l’effetto inverso a quello desiderato con un’accelerazione del crollo dei partiti attuali.
È il capolinea della storia ed è qui che pare essere giunto il sistema politico italiano.
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