La strage del Bataclan e il ruolo del Mossad insabbiato

15/11/2025

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di Cesare Sacchetti

Verso la tarda serata del 13 novembre del 2015 a Parigi, si scatena letteralmente l’inferno.

Quella sera era un venerdì, iniziava il fine-settimana dei parigini che si ritrovavano nei locali con gli amici, oppure andavano al cinema, allo stadio, e nei teatri.

Il 13 novembre inizia quello che viene definito dagli organi di stampa come un attacco terroristico, ma che invece. come si vedrà meglio in seguito, assomiglia molto ad una elaborata operazione di intelligence militare eseguita attraverso la ormai nota tecnica della falsa bandiera, false flag nella terminologia anglosassone.

L’inizio degli agguati

Allo Stade de France, i tifosi quella sera si sono dati appuntamento per assistere ad un’amichevole di calcio giocata tra Francia e Germania.

Lo stade de France la notte degli attentati

Verso le 21:16, arriva un uomo, identificato come Ahmad al – Mohammad, che prova ad entrare ma viene respinto dalla sicurezza perché dotato di uno zaino carico di esplosivi.

L’uomo retrocede, ma senza nemmeno pensarci su due volte, si fa esplodere immediatamente e uccide un passante che si trovava vicino a lui.

In un altro lato dello stadio, con micidiale tempismo, un altro assalitore si fa esplodere dopo essere stato respinto a sua volta dalla sicurezza che vigilava sugli ingressi nell’impianto sportivo.

La serie di kamikaze non si arresta.

In un altro luogo, nei pressi del famoso fast food McDonald’s, a farsi esplodere sarebbe stato presumibilmente Bilad Hadfi, che non sembrava nemmeno sapere dove fosse il suo obiettivo.

Bilad prima di arrivare nei pressi della catena di ristorazione americana, ha chiesto informazioni ad una donna su dove fosse il McDonald’s.

Generalmente, gli attacchi terroristici, almeno quelli nel senso più autentico del termine, vengono studiati meticolosamente.

I terroristi sanno tutto del luogo dove si recheranno per eseguire il loro attentato.

Lo studiano in anticipo, si assicurano che da quelle parti non ci sia troppa sicurezza o presenza delle forze dell’ordine e poi colpiscono, ma non era questo il caso di Bilad, che girava con una cintura esplosiva senza sapere nemmeno esattamente dove si trovasse il bersaglio della sua operazione.

La catena di kamikaze si ferma, ma soltanto per poco.

Verso le 21:25, nel 10° arrondissement, vicino place de la Republique, arriva un commando a bordo di una Seat nera che inizia ad aprire il fuoco sugli astanti che si trovavano nei bar e nei ristoranti della zona.

Restano uccise 15 persone.

Il commando si sposta e raggiunge rue Alibert, e inizia di nuovo a sparare sulle persone che si trovavano nella pizzeria La Casa Nostra e nel cafè Bonne Biere.

Rue Alibert

Sul campo qui restano almeno 5 persone e 8 feriti.

La Seat nera si sposta ancora e stavolta si dirige verso l’11° arrondissement, dove si trova il bar La Belle Equipe.

Il copione è lo stesso che si è già visto a rue Alibert e a place de la Republique.

I terroristi scendono dalla vettura, aprono il fuoco e uccidono almeno 19 persone.

Secondo i testimoni lì presenti, gli uomini sparano per almeno tre minuti. Una eternità, se si pensa che erano già passati più di 20 minuti dalla prima esplosione allo stade de France.

A quel punto, ci si sarebbe attesi che le forze dell’ordine, e soprattutto le forze speciali, si fossero già mobilitate in massa per tutta la città, eppure non si vede nessuno.

I terroristi si prendono tutto il tempo necessario. Sparano indisturbati, si fermano diversi minuti sui luoghi degli agguati senza che si veda l’ombra di una volante che provi a fermarli.

La notte infernale di Parigi però purtroppo non è ancora finita.

Un uomo del commando, presumibilmente Brahim Abdeslam, si fa ancora una volta esplodere attraverso una cintura esplosiva vicino al ristorante Comptoir Voltaire.

I resoconti dell’attacco sono interessanti. Abdeslam assomiglia tutto tranne che ad un islamista infervorato dalla voglia di rivalsa e dal desiderio di uccidere i francesi, responsabili sulla carta di un intervento contro l’ISIS che nemmeno c’è mai realmente stato.

Se si guardano le immagini di sorveglianza, si vede un uomo estremamente dimesso, rassegnato, che si avvicina al ristorante, si mette le mani sul volto e si fa esplodere in un gesto quasi di ineluttabilità, ben lontano dalla determinazione che un presunto islamista avrebbe dovuto avere.

Abdeslam viene definito per questo come un kamikaze piuttosto “anomalo”.

La strage del Bataclan

Dopo l’esplosione dell’uomo, che per fortuna non ha causato morti, tre uomini si dirigono verso il teatro Bataclan, a soli 2,5 km dal Comptoir Voltaire, dove quella sera si stava esibendo il gruppo Eagles of Death Metal.

Il teatro Bataclan

In quegli istanti, ha luogo l’evento più sanguinoso di tutta la orribile serata.

Sul posto arrivano tre uomini, tutti dotati di armi da guerra, entrano dentro e iniziano a sparare contro la folla.

Stavolta, lo scenario non è lo stesso di quanto visto prima del suicidio di Abdeslam.

Secondo i testimoni, i tre iniziano subito a gridare Allahu Akbar e vogliono far sapere ai presenti che la ragione per la quale sono lì a uccidere tutti coloro che gli capitano a tiro è l’opposizione della Francia in Siria all’ISIS.

Eppure la Francia in Siria non si è opposta ai tagliagole dell’ISIS.

Parigi, come le altre potenze europee, gli Stati Uniti di Obama, il Qatar, l’Arabia Saudita e lo stato di Israele si è premurata piuttosto di assistere e finanziare i terroristi islamici in Siria nel tentativo di rovesciare il presidente siriano Bashar Assad e procedere poi ad uno smantellamento di Damasco e alla sua successiva annessione verso lo stato ebraico, che già all’epoca bramava il “sogno” della Grande Israele.

Il movente gridato dei terroristi sembra molto debole, ma gli uomini ci tengono nonostante tutto a farlo sapere.

Sono attimi da incubo quelli vissute da chi si trovava lì quella notte.

I tre uomini dopo aver ucciso già decine di persone, prendono in ostaggio altre persone e restano asserragliati nel teatro fino alle 23 e 30, quando finalmente entrano in scena le forze speciali della polizia francese che fanno irruzione nel luogo.

Il primo ad essere ucciso è Amimour, che riesce ad azionare la sua cintura esplosiva proprio in quegli istanti.

Al piano di sopra ci sono i suoi due compagni, Mohamed-Aggad e Mostefai.

Mohamed si fa esplodere a sua volta, il suo corpo resta dimezzato, e ad essere ferito fatalmente è Mostefai che si trova al suo fianco, e che non riesce a farsi saltare in aria a sua volta perché gli agenti delle forze speciali francesi gli sparano addosso.

La notte del Bataclan si conclude così, con un bagno di sangue.

Sul campo restano almeno 120 morti. E’ una stage di proporzioni enormi. Nulla del genere si era mai visto prima nell’Europa Occidentale.

Mai prima d’ora un commando composto da 9 uomini, questo il numero dei partecipanti secondo le autorità, era riuscito a seminare il panico a tenere scacco un’intera città prima che il bagno di sangue finisse con un altissimo numero di morti.

Si fa subito avanti l’ISIS con la stessa rivendicazione degli assalitori, ma i tagliagole islamisti non sono un gruppo nato spontaneamente, e ormai dovrebbe essere chiaro.

L’ISIS è più che altro soltanto un marchio, un brand del terrore dietro il quale c’è una sofisticata regia delle centrali di intelligence Occidentali e israeliane che hanno confezionato dei video di propaganda nei quali si vede la mano di registi hollywoodiani.

Tra le fila di questi tagliagole, si incontrano agenti del Mossad cresciuti e addestrati dal famigerato servizio di intelligence israeliano, come Ephraim Benjamin, catturato in Libia e a capo di un manipolo di tagliagole per conto dello stato ebraico.

Lo stesso capo dell’ISIS, il famigerato al Baghdadi, non sarebbe quello che i media hanno fatto credere che fosse.

Secondo Edward Snowden e fonti francesi, al Baghdadi non sarebbe altro che Simon Eliot, un agente del Mossad, infiltratosi in Iraq, e divenuto il capo del gruppo islamista che è venuto fuori dal nulla, nel giro di pochi anni, e con a disposizione enormi capitali messigli a disposizione da Riyadh e Doha che in quegli anni si attenevano scrupolosamente allo spartito di Israele e dell’anglosfera.

Simon Elliot a sinistra, mentre accompagnava John McCain. A destra, nei probabili panni di Al Baghdadi

L’ISIS diviene il sanguinario gruppo del terrore soltanto perché dietro di esso c’erano dei potentissimi apparati che volevano aiutare questo manipolo di tagliagole per servire al meglio gli interessi dello stato ebraico.

Il terrorismo, come si può vedere, è lungi dall’essere qualcosa di spontaneo, ma è un fenomeno chiaramente eterodiretto, guidato e finanziato con immensi capitali per perseguire la politica estera di determinate potenze, su tutte lo stato di Israele che si serve di tale spauracchio per aumentare lo scontro tra mondo cristiano ed Islam.

A taluni potrà sembrare incredibile, eppure una lucidissima analisi è stata fatta proprio da Osama bin Laden quando fu accusato, senza prove, di essere la mente degli attacchi dell’11 settembre, nei quali in realtà c’era la partecipazione attiva dell’intelligence israeliana e americana che avevano eseguito ancora una volta un elaborato false flag.

Nella storia del Bataclan, si ravvedono elementi simili.

In ogni operazione di falsa bandiera che si rispetti, i servizi di intelligence si premurano di far trovare sul posto i passaporti dei presunti responsabili che non si sa bene per quale motivo si assicurano sempre di lasciare sul posto i propri documenti di identità, che nel caso dell’11 settembre riescono persino a superare le leggi della fisica, tanto da superare indenni esplosioni e crolli e depositarsi dolcemente sui marciapiedi di New York, pronti per essere raccolti da solerti uomini delle forze dell’ordine.

Il Mossad presente al Bataclan?

A interrompere la narrazione è come sempre un fattore imprevisto, un elemento che non era stato previsto nell’equazione del Bataclan = ISIS.

La variabile non calcolata si chiama Hicham Hamza, un giornalista indipendente che non appartiene ai media mainstream francesi e quindi non è controllato, è fuori dal coro e può creare problemi.

Hicham è il primo a rivelare che la foto nella quale si vede la strage del Bataclan è stata pubblicata su un profilo Twitter, oggi X, chiamato Israel News Feed, diretto da un americano di origini ebraiche, Mark Gerson, legato a sua volta alla Jewish Defence League, un gruppo terroristico sionista vicinissimo all’intelligence israeliana.

La foto scattata durante gli attacchi e pubblicata dall’organizzazione israeliana Israel News Feed

Sul posto, c’erano quindi probabilmente degli osservatori del Mossad che hanno ripreso tutto e hanno trasmesso praticamente subito le immagini della strage per terrorizzare l’opinione pubblica e agitare lo spauracchio della minaccia islamista.

L’apparato di sicurezza francese va nel panico.

Non se lo aspettava minimamente, e Hicham viene convocato presso gli uffici della polizia giudiziaria dove viene accusato di aver violato il “segreto istruttorio”, anche se non si comprende bene dove sarebbe il segreto, se non quello di aver semplicemente rivelato la fonte di chi ha pubblicato per primo la foto del Bataclan, ovvero una organizzazione sionista che ha sede a Gerusalemme.

Hamza si rende conto che ha fatto saltare la storia di copertura dell’intelligence francese che aveva immediatamente attribuito ogni responsabilità all’ISIS, e l’aver mostrato una partecipazione nella strage del Mossad, ha dato una luce completamente diversa ai fatti del 13 novembre.

A sapere che quella notte avrebbero avuto luogo degli attacchi era proprio l’intelligence israeliana che aveva avvertito gli ebrei francesi di stare lontani dal Bataclan e dagli altri luoghi degli attentati.

A rivelarlo è stato il Times of Israel, citando Jonathan – Simon Sellem, un dipendente del ministero degli Esteri francese, e console israeliano in Francia.

Jonathan Simon Sellem

Sellem sapeva perché era stato già informato dai servizi del suo Paese.

Sul banco degli imputati non finisce però lui, ma Hamza che ha avuto il torto di far saltare un pesantissimo altarino e di rivelare una verità che ancora oggi all’opinione pubblica viene taciuta.

Non viene fatto nessun approfondimento nemmeno sulla sicurezza del Bataclan e sul suo proprietario.

Secondo il cantante del gruppo che si esibiva quella sera, Jessie Hughes, due terroristi erano già penetrati nel teatro prim’ancora che iniziasse il concerto.

Shawn London, ingegnere del suono, disse che le guardie addette alla sicurezza sono venute fuori dal teatro attraverso l’ingresso principale nonostante questo fosse sorvegliato dai terroristi.

Jessie Hughes aveva poi segnalato agli uomini della security prima del concerto i rischi che le persone correvano per essere spinta sulla barriera sotto il palcoscenico, ma gli addetti invece che preoccuparsi incredibilmente risero in faccia al cantante.

Hughes ha dubbi anche sulla dinamica.

Si dice certo che ci fossero almeno più di tre sparatori, ma le autorità francesi non sono evidentemente interessate alla versione di un testimone privilegiato, così come nessun interesse c’è riguardo a Pascal Touitou, il proprietario del Bataclan di origini ebraiche e sionista di ferro come lo è la sua famiglia da molti decenni.

L’intervista di Jessie Hughes

A Touitou non viene chiesto conto né dello strano comportamento della sicurezza né delle loro gravi mancanze.

Sul banco degli imputati ci sono soltanto i nomi dei presunti islamisti che vengono diffusi dagli organi di stampa, ma a questo punto dovrebbe essere chiaro che il sangue dei francesi non è stato versato da qualche pazzo solitario che gridava Allahu Akbar.

A mettere nelle condizioni di agire questi uomini sono degli apparati militari e di intelligence che frequentemente li programmano attraverso le famigerate tecniche di controllo mentale brevettate dalla CIA, su tutte MK Ultra e Monarch, il trasformano in candidati manciuriani e infine li utilizzano in missioni stragiste nelle quali praticamente sempre gli esecutori si tolgono la vita.

Lo si è visto da lì a poco in un altro Paese, gli Stati Uniti, la “patria” delle stragi di massa, dove nel 2017 un uomo, Stephen Paddock, eseguì, probabilmente aiutato da altri, una strage al concerto di musica country della Route 91 Harvest a Las Vegas, e dove alla fine si tolse la vita.

Sono passati 8 anni e ancora non c’è un movente ufficiale per un attentato costato la vita a 60 persone.

Paddock dichiarava prima della strage di essere stato sottoposto a programmi di controllo mentale.

Si può vedere quindi come l’unico modo per sconfiggere il terrorismo sia quello di colpire prima quelle strutture di intelligence che lo assistono, lo controllano e lo utilizzano per perseguire agende politiche.

E’ stato così per tutto il dopoguerra, ed è stato così anche per la strage del Bataclan.

Le famiglie delle vittime meritano giustizia, e per averla devono avere necessariamente un po’ di verità dopo le tante bugie che sono state loro raccontate.

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