La misteriosa scomparsa del professor Caffè 38 anni dopo: il vuoto del keynesismo italiano

16/04/2025

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di Cesare Sacchetti

La mattina del 15 aprile 1987 se né andò così. In punta di piedi, senza lasciare traccia alcuna di sé.

Il professor Caffè era ormai in quegli anni già diventato un monumento dell’accademia italiana ed era considerato, senza dubbio, come il capostipite della scuola keynesiana italiana.

Celebri i suoi articoli su “Il Messaggero” di Roma che all’epoca non era ancora nelle mani dell’immobiliarista oligarca Caltagirone, e sul quale si potevano leggere delle pregiati analisi economiche che oggi, in mezzo ad un mare di servilismo e mediocrità, appaiono come un miraggio nel deserto.

Il professor Caffè era un uomo minuto, ma soltanto nel fisico perché il suo intelletto era certamente inversamente proporzionale alla sua mole.

Da molti considerato, non a torto, come l’economista della Costituzione, l’accademico ed economista di certo non poteva e non può essere associato al tanto “vituperato” fascismo come invece ama fare la vulgata neoliberale ed eurista che non solo cerca di demonizzare continuamente il ventennio, ma associa qualsiasi istanza sovranista al movimento fondato da Benito Mussolini.

Non pare troppo ardito perciò affermare che se Caffè fosse ancora oggi in vita, i vari portavoce della casta neoliberale non avrebbero fatto troppa fatica ad accusarlo di “fascismo”, nonostante il professore non condividesse quella esperienza, in quanto molto più vicino al socialismo e a coloro che difendevano, a parer nostro a torto, i valori della cosiddetta resistenza nel secondo dopoguerra.

Caffè però purtroppo non è più qui per dire la sua, e per dare le sferzate che amava dare sulle colonne de Il Messaggero, e allora l’establishment ha gioco facile a inglobarlo senza che nessuno possa dire che quella che sta avvenendo è una vera e propria mistificazione della sua memoria.

Si vedono difatti delle locandine nelle università italiane di vari convegni e conferenze dedicati al professore, circondato dalla “aureola” delle stelle dell’Unione europea, la bandiera concepita dal padre putativo dell’Unione, il conte Kalergi, al quale ancora oggi è intitolato un premio insignito a varie personalità dell’apparato globalista, tra i quali oltre ai soliti noti, come Angela Merkel e Carlo Azeglio Ciampi, è possibile trovare anche Giovanni Paolo II, a dimostrazione che anche la Chiesa post-conciliare è stata pienamente assorbita dal piano di distruzione delle identità europee.

Caffè però non era né un pasdaran dell’Unione europea né tantomeno un eurista come può esserlo un Prodi qualunque o altri “economisti” di rango nettamente inferiore quali, ad esempio l’uomo del FMI, Carlo Cottarelli, che soltanto accostare allo studioso di politica economica dell’università La Sapienza sarebbe un oltraggio, o un vero e proprio sacrilegio.

Il professore si stava già dissociando in quegli anni da quel mondo che tanto esaltava la futura Unione europea e lui, pacato ma sempre risoluto e fermo nei giudizi, aveva già intuito che il progetto comunitario di europeo non aveva nulla, se non il nome.

Caffè contro l’Europa a trazione germanica

Caffè già in tempi non sospetti, il 3 giugno del 1975, scriveva un articolo dal titolo “Dalla interdipendenza alla dipendenza”, nel quale fustigava, e non poco, l’antesignana della futura UE, ovvero la CEE voluta così tanto da Alcide De Gasperi, uno dei primi politici italiani a frequentare il gruppo Bilderberg.

Il professore non gira affatto attorno alla questione e individua una eccessiva “germanizzazione” nella CEE, ma è meglio lasciare a lui la parola sul tema.

A questi esiti, d’altra parte, non è stata estranea l’incapacità dimostrata dalla Comunità Economica Europea a dare un contributo positivo alla creazione di un sistema operante di poteri bilancianti, destinati ad evitare un assoggettamento effettivo della disgregata area economica europea rispetto alle potenze mondiali egemoni. Non può sfuggire, al di là della retorica delle parole e dei messaggi, che il futuro europeo, come configurato dalla prevaricante ed economicamente obsoleta visione teutonica, non corrisponda agli ideali che mossero la costruzione comunitaria. Questa, negli auspici, avrebbe dovuto anch’essa basarsi su rapporti di effettiva parità tra i vari membri: sulla realistica comprensione che i dislivelli di partenza dei diversi paesi non potevano non ingenerare tensioni con il procedere dell’unificazione; sulla necessità di accorgimenti adeguati, per poter avanzare di conserva ed evitare l’instaurarsi di direttori”.

La CEE stava, evidentemente, andando nella direzione che l’UE ha esacerbato ancora di più perché la nascita stessa della Comunità Economica Europea non era stata concepita come un viatico per favorire gli scambi commerciali tra i Paesi europei, ma come mezzo per iniziare a erodere le singole sovranità nazionali e consegnarli ad una sovrastruttura internazionale che di europeo aveva poco, e che serviva gli interessi economici nemmeno della classe operaia tedesca, ma del capitale e della sua industria pesante.

Non poteva del resto che essere così in quanto la CEE era stata concepita anni addietro proprio nelle segrete stanze del gruppo Bilderberg nel 1955 nella località tedesca di Garmisch-Partenkirchen, laddove uomini come il fondatore del club stesso Josef Retinger, e il principe Bernardo d’Olanda, mettevano di fatto i primi mattoni del trattato di Roma.

Il principe Bernardo d’Olanda

Le élite europee decisero di sostenere il piano per un superstato europeo di natura tecnocratica non certo per la felicità dei popoli, odiati dai signori dell’alta finanza askenazita, ma piuttosto per perseguire gli interessi di quei poteri globalisti che volevano edificare una struttura sovranazionale autoritaria, fondata su un accentramento delle risorse economiche nelle mani del capitale.

Non poteva esserci spazio quindi per uomini come Federico Caffè in un simile pantheon neoliberale che si è premurato nel corso del tempo, e soprattutto dopo la rivoluzione del 1968 concepita dai filosofi della scuola di Francoforte, di occupare ogni singolo ateneo e think tank economico.

Se l’Italia era forse l’esempio più riuscito del successo del modello dello Stato imprenditore e della dottrina sociale della Chiesa della quale parlava mirabilmente Leone XIII,  è proprio per tale ragione che essa subì forse l’attacco più violento e negli atenei a poco a poco gli economisti come Federico Caffè iniziavano ad essere sempre più emarginati.

Il professore lo aveva capito. Aveva intuito che c’era un ritorno di fiamma delle teorie neoliberiste soprattutto dopo che nel 1976 il premio nobel per l’economia era andato ad un personaggio come Milton Friedman, esponente di punta dei Chicago boys, ma soprattutto membro dell’esclusivo club della Mont Pelerin Society, che più che un think tank assomiglia ad una società segreta, considerata l’assoluto riserbo sulle discussioni e le decisioni prese da questo circolo.

Gli economisti della Mont Pelerin sono quelli che iniziano a sussurrare agli orecchi dei potenti, che ovviamente piuttosto che tapparsi le orecchie ascoltano con assoluta deferenza ed eseguono la ricetta neoliberale.

Arriva così la stagione delle privatizzazioni, che vengono attuate nella maniera più selvaggia possibile da una donna adorata da questi circoli come Margaret Thatcher, anch’ella oggi entrata nel pantheon degli statisti liberali che tanto danno hanno arrecato all’Europa e ai suoi popoli.

Gli anni’80 sono fondamentali per la strategia di colonizzazione della globalizzazione neoliberale.

Sono un’età di mezzo nella quale si intravedono ancora dei barlumi di keynesianesimo ereditato dall’immediato dopoguerra e la futura globalizzazione degli anni’90 che nel giro di pochi anni smantellerà tutto il patrimonio ereditato dalla Prima Repubblica e dallo Stato imprenditore attraverso la dismissione dell’IRI, il serbatoio della ricchezza pubblica industriale, svuotato da Draghi a bordo del Britannia nel 1992 e gentilmente consegnato a Goldman Sachs e JP Morgan.

Sembra quasi un’amara ironia della sorte che ad attuare l’economicidio dell’Italia sia stato un uomo come Mario Draghi, che studiò sui banchi universitari dell’università La Sapienza e che, in un primo momento, quasi veniva considerato un allievo della scuola post-keynesiana del professore tanto da fare nel 1970 una tesi di laurea critica della moneta unica, per poi dirigersi verso altri lidi, quelli della finanza di New York e Londra che spolpano gli Stati e al loro posto lasciano soltanto delle consumante carcasse.

Si narra che Caffè già negli anni’80 seppe di questo “tradimento” del suo ex allievo e ne fu molto deluso, ma la figura dello studioso pescarese era già divenuta ingombrante agli occhi di quel mondo che voleva liberarsi di lui per procedere alla conquista del dipartimento di Economia de La Sapienza, oggi divenuto un monumento al servilismo verso l’Unione europea, l’euro e qualsiasi cosa che sia ostile all’interesse nazionale ed esaltata dal capitale internazionale.

La sua scomparsa è giunta completamente inaspettata. Non è vero come si è voluto far credere in un primo momento che l’accademico temeva eventuali conseguenze per la sua pensione o per altre ristrettezze economiche che non esistevano.

Non c’era nessuna angoscia finanziaria in lui. Caffè esce dalla sua casa nel quartiere Balduina, a Roma, il 15 aprile del 1987 e, semplicemente, svanisce nel nulla.

I suoi studenti lo cercano ovunque, perché il professore era davvero benvoluto da chi seguiva le sue lezioni.

Era esattamente l’antitesi del corrotto barone universitario che oggi occupa le cattedre degli atenei e che fa “successo” non certo per le sue inesistenti capacità “accademiche” quanto per la sua appartenenza a circoli come il citato Mont Pelerin, per non parlare delle ubique massonerie con le quali è ormai impossibile tracciare una distinzione dalla università, considerata la preponderanza di docenti iniziati alla libera muratoria.

Caffè era un uomo che se fosse soltanto rimasto in vita, anche senza la sua cattedra alla Sapienza, sarebbe stata una bella gatta da pelare per coloro che saccheggiarono l’Italia nel 1992.

Nessun grande economista di rilievo disse allora, ad esempio, che Carlo Azeglio Ciampi bruciò in un colpo solo 48 miliardi di dollari di valuta estera per difendere scelleratamente il cambio fisso della lira con lo SME.

Caffè, che non era di certo un estimatore dell’antenato dell’euro, appunto il citato SME, difficilmente se ne sarebbe restato in silenzio di fronte a quella devastazione di pubblica ricchezza effettuata dal governatore della Banca d’Italia, anch’egli un sodale del infestante gruppo Bilderberg.

Altrettanto difficile pensare che il professore se ne sarebbe stato in disparte di fronte alla rapina commessa nottetempo da Giuliano Amato, il presidente del Consiglio che nel luglio del 1992 entrava nei conti correnti degli italiani per rubarli del 6 per mille.

La rapina venne giustificata in nome della “salvezza economica” dell’Italia, ma non c’era proprio nulla da salvare, perché l’Italia in qualsiasi momento sarebbe potuta uscire dalla gabbia dello SME e lasciare alle sue spalle il disfunzionale meccanismo dei cambi fissi europei.

Era soltanto un’altra menzogna degli organi di stampa dei vari oligarchi, in primis Agnelli e De Benedetti, che ovviamente volevano far credere che bere l’amara medicina dell’austerità era necessario per non far affondare l’Italia, ma proprio nel momento in cui la politica veniva spazzata via a colpi di avvisi di garanzia dal pool di Mani Pulite, sempre attento a non perseguire il PDS, mancava anche l’autorevole, pacata e ferma voce del professore che avrebbe denunciato con vigore quelle menzogne e l’attacco economico subito dall’Italia.

L’accademia non disse nulla nemmeno gli anni successivi, quando dopo l’ingresso nella prigione di Maastricht, l’Italia veniva accompagnata sul patibolo della moneta unica, che un raffinato economista come Caffè sapeva già con anni di anticipo essere disfunzionale per l’Italia e funzionale, seppur temporaneamente, per la Germania che grazie ad essa ha accumulato folli avanzi commerciali, oggi andati in fumo per la deindustrializzazione galoppante teutonica e per l’austerità così tanto voluta da Berlino.

Così come i vari economisti, ormai divenuti meri portavoce dei vari istituti della finanza internazionale quali il FMI e la Banca mondiale, se ne stette in silenzio di fronte alla perdita della sovranità monetaria, da loro anzi applaudita, così i vari baroni non chiesero verità sulle sorti dell’autorevole studioso.

Si poteva e si doveva indagare meglio sulla scomparsa di Federico Caffè perché la verità sulla sua misteriosa e improvvisa uscita di scena non era certo in inesistenti preoccupazioni di carattere finanziario, ma probabilmente in quello che scriveva l’economista.

Il professore scriveva infatti, senza troppi giri di parole, che il mercato già negli anni’70 era in mano a degli “incappucciati”, una espressione scelta forse anche per sottolineare un’appartenenza alla massoneria dei soggetti che muovono miliardi di capitali dietro l’anonimato più assoluto.

Soltanto dieci mesi prima della sua scomparsa, il 1 luglio del 1986, l’economista sul quotidiano L’Ora demoliva in un articolo intitolato “I Paesi più virtuosi” uno dei falsi dogmi preferiti dalla vulgata neoliberale che demonizza la spesa pubblica e mette soprattutto sul banco degli imputati l’Italia per il bilancio pubblico.

Caffè scriveva che il 55% del prodotto nazionale lordo destinato alla spesa pubblica poneva l’Italia in posizione assolutamente equilibrata.

Non era affatto vero quello che scriveva l’Economist dei Rothschild che il bilancio pubblico in Italia fosse fuori controllo.

Caffè prim’ancora che all’Italia venisse assegnato il marchio di infamia dei “PIGS”  da parte dei quotidiani dell’anglosfera come Il Financial Times e il citato Economist, aveva già smontato la bugia più grande sulla quale si fonderà l’eurismo negli anni 2000.

La menzogna che vuole raffigurare il Sud-Europa cattolico come portatore di una “inguaribile corruzione” a differenza del “retto” Nord-Europa, quando la realtà invece indica che la tanto lodata Germania era la regina dell’economia in nero d’Europa.

Un uomo che diceva similì verità non poteva evidentemente accettare alcun compromesso con gli “incappucciati della finanza”.

La sua voce si sarebbe levata probabilmente anche contro lo squalo del Quantum Fund, George Soros, uomo strettamente legato alla famiglia Rothschild, che sapendo benissimo che Ciampi non avrebbe svalutato la lira, sferrava il suo attacco e intascava miliardi di dollari grazie alla “generosità” dell’ex governatore mai finito, casualmente, sotto le lenti della magistratura.

Se c’era indubbiamente un piano scritto almeno 20 anni prima di Tangentopoli per saccheggiare l’Italia del suo patrimonio, il minuto docente pescarese sarebbe stato sicuramente un intralcio per i predoni dell’euro perché il neoliberismo non tollera l’autorevolezza che smaschera le sue menzogne, ma soltanto la mediocrità che le perpetra.

Serve verità anche su questo professore che rappresentava un filone accademico indispensabile per respingere l’infezione del neoliberismo, ma serve soprattutto impedire che la sua memoria venga associata a quelli che invece sono sempre stati i nemici di Caffè.

Così come nella passata occasione si è definito indispensabile lo sforzo per recuperare la memoria politica di due statisti come Craxi e Andreotti, recuperare quella del professor Caffè sembra essere necessario per ricominciare a costruire una università degna di questo nome.

La casa va costruita dalle fondamenta e la scuola post-keynesiana di Caffè è certamente uno dei mattoni più importanti.

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13 Commenti

  1. civitamontenero

    L’Abruzzo ha dato i natali a grandi economisti: oltre a Federico Caffè, ricordo Marcello De Cecco e l’outsider Giacinto Auriti.

    Rispondi
  2. Frank

    Partiamo dal Marco/Euro; ancora adesso il Marco della Germania Est, che vale e valeva meno della carta igienica, è cambiato 1 a 1 con l’Euro e, sfruttando questo infame furto, la Germania si è pagata i circa 1.500 miliardi di Euro, a SPESE nostre, che ha utilizzato, male, per integrare la Germania dell’Est. Impresa mai riuscita.

    Passiamo all’Italia e alla svendita dell’IRI fatta da Prodi, che non avrebbe nemmeno potuto perché era Presidente senza capacità di firma, non Amministratore Delegato dell’IRI. Ci sono alcune vicende, di quella svendita, che conosco molto bene: mai prese in considerazione da nessuno. Prima o poi magari le racconterò. Fu l’inizio della fine, per il sistema industriale italiano.

    Attraversiamo Telecom, prima mollata ai “capitani coraggiosi” (li conosco quasi tutti di persona, e di coraggioso avevano molto poco, tra l’altro quasi tutti con una conoscenza finanziaria da scuole elementari e solo pratica. Difatti fu “regalata” all’altro elemento italiano che si chiama Tronchetti Provera, che a sua volta, dopo aver combinato qualche casino (potrebbe essere una storia molto interessante), fu “cnsigliato” a vendere e ritornare a fare pneumatici.

    Saltiamo sul regalo di Autostrade a quella famiglia fallita dei Benetton. Uno qualunque di noi avrebbe potuto acquisire la gestione di Autostrade, non spesero un centesimo (!!!) e, dopo che hanno ammazzato 43 persone, per uscire dalla concessione gli abbiamo regalato 7 o 8 Miliardi di euro, non ricordo la cifra esatta.

    Per non parlare di Trenitalia, ENEL, Finmeccanica/Leonardo: trasformate, secondo la logica liberista, in veri e propri regali.

    E la lista potrebbe continuare; un ultimo appunto e poi mi fermo, altrimenti mi va di traverso il pranzo prima ancora di farlo. Tema: FIAT. Nel quinquennio 1996/2001 la Famiglia Agnelli/FIAT perse 10.500 miliardi delle vecchie lire, lo Stato (noi!) la foraggiò per circa 11.500 miliardi e, i “signori”, nonostante le perdite della società e tutti gli annessi, si divisero, stto forma di dividendi per compensi societari, 1.500 miliardi delle vecchie lire di “utili”. Dove li avessero presi non si sa; poi arrivò Marchionne, con le sberle alla GM e alle banche.

    Amen. Segue…

    Rispondi
  3. Frank

    Poi, per quanto riguarda la correttezza dei paesi del Nord, un concentrato incontestabile di persone “oneste” e “pacifiste” (sto ridendo), pochi sanno che la società più condannata in Europa per corruzione/tangenti è, squilli di trombe e annunci solenni, la tedesca Siemens. E’ stata condannata praticamente in quasi tutti i settori in cui opera: treni, centrali elettriche, termovalorizzatori (nome corretto bruciamerda),centrali nucleari, etc…
    Teoricamente, seguendo la normativa Europea, non ricordo quale, ma potete trovarla facilmente, avrebbe dovuto essere esclusa per un tot di anni dal partecipare a qualunque gara pubblica. Mai fatto, aprivano un’altra società e continuavano a corrompere e tangentare; come fanno tutt’ora.

    Amen

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  4. Sara

    Confesso che non sapevo neppure chi fosse!

    Grazie infinite, splendido articolo!

    Con stima, Sara

    Rispondi
      • Orsi Piergiuseppe

        Sono tutte sacrosante verità storiche. Chissà fra quando e se sapremo che fine ha fatto il prof. Caffè. Complimenti per la descrizione storica dott. Sacchetti.

        Rispondi
  5. davide

    Splendido pezzo!
    Se posso permettermi vorrei suggerire la figura del professor Giacinto Auriti 1923 – 2006) pure lui dall’Abruzzo. Giurista si dedicò ad una domanda da studi economici: A chi appartiene la moneta? E rispondeva che apparteneva al popolo che la utilizzava per scambiare i beni all’interno di una nazione, per cui l’emissione e la proprietà dovevano appartenere al soggetto popolo e non ai soggetti privati proprietari della Banca centrale di emissione, soggetti che fra l’altro avevano conflitti di interesse. Fece infuriare Carlo Azeglio Ciampi quando Auriti di tasca sua fece l’esperimento condotto a Guardagriele (suo paese natale) emettendo una sorta di cartamoneta per incrementare gli scambi commerciali ottenendo un successo che avvalorava la sua teoria economica della moneta. Ciampi lo denunciò alla guardia di finanza, per attività bancaria non autorizzata, Auriti per repicca denunciò Ciampi e tutta la cricca che gli girava attorno per evasione fiscale. Da raffinato giurista qual era Auriti argomentò che sulla base della legge italiana Ciampi e la banca d’Italia avrebbero dovuto iscrivere a bilancio delle entrate tutta la moneta emessa ogni anno come reddito, cosa che Ciampi e predeccessori mai avevano fatto, accusandoli di essere i più grandi evasori della penisola. Il tribunale di Pescara, annusando il pericolo per le carriere dei magistrati, convocò Auriti pregandolo di lasciare perdere perchè non volevano mettere Ciampi & soci in galera ma Auriti rispose che tirava dritto.
    Ciampi consultati i legali gli prese la diarrea da paura e si dice che telefonò ad Auriti con la cresta bassa e si scusò, e la denuncia della Banca d’Italia fu ritirata e la cosa finì.
    Sulla telefonata però non ci sono documenti certi, solo le voci di quelli che a Guardagriele erano i collaboratori di Auriti.
    Di certo c’è che a carico di Auriti tutte le accuse furono ritirate in un baleno.
    Degli scritti e video di Auriti ricordo in particolare quello che diceva su Euro e avvenire della gioventù: profeticamente affermava che con la moneta unica ai giovani sarebbe toccata una assoluta disperazione e un avvenire da miseria.
    Grande il prof Auriti a lui la gloria eterna.
    Un carissimo saluto al dottor Sacchetti e a tutti i suoi lettori.

    Rispondi
    • La Cruna dell'Ago

      Grazie mille, Davide. Questa ricostruzione su Auriti che hai fatto l’hai letta in un sito o hai parlato tu con i collaboratori di Auriti?

      Rispondi
      • davide

        Buonasera Dott Sacchetti,
        ricordo (è passato molto tempo primi anni 2000) che erano e lo sono ancora disponibili su youtube interviste o condotti direttamente dal prof Auriti le sue “arringhe” contro il sistema della moneta a debito. Non saprei dare indirizzi se non digitare sulla ricerca di youtube “giacinto auriti”.
        Ricordo bene che in uno dei suoi tube il professore narrava con una punta di compiacimento dell’incontro che ebbe col magistrato molto imbarazzato nel ricevere la denuncia di Auriti verso Ciampi e che non sapeva come gestirla.
        Circa la telefonata fra Ciampi e Auriti ebbi modo di leggerla molti anni addietro in un blog dove scriveva nei commenti una persona (?) che aveva seguito la vicenda e conosciuto personalmente il prof Auriti.
        Che fra Ciampi e Auriti non correva buon sangue è noto in particolare quando nel 1993 Auriti chiese al tribunale di Roma di dichiarare illegittima la proprietà del denaro da parte della Banca d Italia in quanto la proprietà è del cittadino che la detiene.
        Richiesta non accolta dal tribunale.
        Questo e quanto sono a conoscenza
        Un caro saluto.

        Rispondi
  6. MarTino

    Gent. dotor Sacchetti buonasera e complimenti pe l’articolo.
    Non ricordavo la data esatta (tranne l’anno) della scomparsa del professor Caffè; leggendo il titolo dell’articolo, m’è sovvenuta una mezza associazione d’idee, confermata laddove, nel sesto capoverso, accosta il presente professore a socialismo.
    Ecco che allora il vago richiamo diviene un sospetto di qualcosa di non meglio precisato…. Allora faccio qualche rapidissimo controllo sulle date.
    Proprio strano, perché il 15 scompare il professor Caffè ed il 18 aprile successivo (39° annivesario dell’affermazione della “balena bianca”, oltretutto, quella dei venduti ai sionisti aschenaziti cazari, anzi creatura stessa dello stesso James Jesus Angleton), cade definitivamente il governo Craxi.
    Qualche tempo fa’ ascoltavo l’intervista di Claudio Messora a Francesco Forte che era stato parlamentare socialista, nonché membro dei due governi Craxi di quegli anni in quota PSI, ovviamente: l’argomento dell’intervista, a più riprese riproposta, è la sconsiderata separazioe della Banca d’Italia da Tesoro, voluta da Andreatta (ovvero dai suoi compari e pupari) e dal Forte stesso invano contrastata. Di tale infausto evento egli ne trattava in maniera molto contrariata.
    Oggettivamente, non posso proprio fare il tifo pe quella classe politica socialista, poiché ne abbiamo ricevuto personalmente e come famiglia dei torti gravissimi di cui a tut’oggi stiamo ingiustamente pagando le conseguenze; quindi alla loro caduta, benché fossi solo un ragazzino, ne esultai…. Non sapevo che dopo ne sarebbe piuttosto venuto qualcosa di peggio: quella feccia, rimasta impunita, si era comunque riciclata. Ma questo non vale solo per i socialisti, sia chiaro!
    Quello che lascia l’amaro in bocca è che a pagare siano stati gliinnocenti, come al solito: Craxi, appunto, e quelle vittime più i vista che alla fine non rappresentavano tanto il male od il peggio, ma quelle zecche sanguisughe che gli si erano attaccati alle calcagna e che hanno poi preso il comando.
    omunque, per concludere: più si vengono a sapere le cose, più emergono strane coincidenze, più si capisce….
    Accade, in pratica, quello che ripetono sempre i vari messaggeri del cielo ai veggenti, allorquando i messaggi paiono avere poca logica: “a suo tempo capirai”
    Che c’entrerà qualcosa questa misteriosa sparzione con gli eventi politici che gli furono prossimi?
    Al suo prossimi articolo, che credo non mancherà di fornirci nuovi interessantissimi sputi i riflessione.
    Cordiali saluti.
    MarTino.

    Rispondi
    • La Cruna dell'Ago

      Salve Martino, ti ringrazio. Non seguendo la falsa controinformazione, non sapevo di questa intervista ma mi informerò meglio su Forte e sui suoi presunti tentativi di contrasto alla separazione Tesoro-Bankitalia. È la prima volta che sento il suo nome francamente e strano che il suo nome non sia uscito fuori anche negli anni passati per denunciare il golpe di Mani Pulite. Mi dispiace per i torti ricevuti. Magari se vorrai dirmi potrai farlo in privato. Un saluto.

      Rispondi

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