di Cesare Sacchetti

Da tempo esiste un acceso dibattito tra gli economisti e i politici se esista o meno una correlazione inversamente proporzionale tra l’aumento dell’immigrazione e la diminuzione dei salari dei lavoratori cittadini del paese investito da importanti flussi migratori. Secondo questa tesi, ad un calo dell’immigrazione, in particolare di quella dei paesi del terzo mondo, corrisponde un aumento dei salari dei lavoratori nazionali, viceversa si verificano gli effetti opposti.

Gli ultimi dati pubblicati dall’ONS, acronimo che sta per Office for National Statistics, ovvero l’omologo britannico dell’Istat di casa nostra, sembrano confermare che sia effettivamente così. I dati in questione testimoniano il recente aumento delle retribuzioni settimanali del 2,5% nell’ultimo trimestre del 2017 rispetto allo stesso periodo di riferimento di un anno fa.

Quello che rileva di più nei dati pubblicati dall’ONS è che tale aumento coincide con l’aumento dell’occupazione dei cittadini britannici a fronte della diminuzione di occupati provenienti principalmente dai paesi dell’Europa dell’Est che non appartengono all’Unione Europea.

E’ lo statistico dell’ONS, Matt Hughes, a spiegare come l’aumento delle retribuzioni dei britannici sia dovuto al calo di lavoratori originari dei paesi dove i salari sono inferiori alla media UE. “La crescente occupazione l’anno passato è stata guidata principalmente da cittadini del Regno Unito, mentre nello stesso periodo il numero di lavoratori provenienti dai paesi dell’Europa dell’Est è stato inferiore rispetto al 2016.”

I numeri dell’ufficio di statistica britannico parlano difatti di una consistente diminuzione dei lavoratori extracomunitari nel periodo indicato, calati di 68.000 unità su un totale complessivo di 1,17 milioni. Il quadro descritto dalle statistiche in questione allo stesso tempo riporta un aumento della disoccupazione, giunta al 4,4%, +0,1% rispetto al penultimo trimestre di settembre,  e una crescita del tasso di occupazione che si attesta intorno al 75,2%.

L’aumento della disoccupazione, secondo i dati, è da considerarsi dovuto ad una diminuzione degli inattivi, ovvero la categoria di persone che non è impegnata attivamente nella ricerca di un impiego, dal momento che si è registrato un loro calo pari a 109.000 unità su un totale complessivo di 8,7 milioni.

Sostanzialmente, le statistiche a disposizione rafforzano le argomentazioni di diversi economisti e addetti al settore, sull’incidenza negativa che l’immigrazione senza controlli ha sul livello dei salari dei lavoratori che vivono nel paese che riceve i flussi migratori.

Uno degli argomenti più utilizzati dai sostenitori della Brexit è stato proprio quello di fermare l’aumento costante dell’immigrazione per proteggere meglio i salariati britannici. La Brexit ha avuto particolarmente successo difatti nelle zone del Regno Unito, dove i lavoratori stranieri a basso costo hanno più estromesso i lavoratori britannici dal mercato del lavoro.

La conferma di questa correlazione viene anche dalla suddivisione dei posti di lavoro nel 2017. Se si dà uno sguardo al grafico basato sui dati dell’ONS, si nota come dei 330.000 nuovi posti di lavoro creati nell’anno in questione, il 67% sia andato a lavoratori britannici, mentre solamente il 33% è andato a lavoratori stranieri.

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Non a caso nello stesso periodo c’è stato l’aumento delle retribuzioni salariali settimanali testimoniato dai dati a disposizione, e ciò sembra confermare come esista una stretta relazione tra questi due fenomeni.  Viene smentita a questo proposito la tesi di alcuni sindacalisti britannici come , il quale sosteneva che la Brexit non avrebbe arrestato l’importazione di lavoratori a basso costo.

Anche le realtà sindacali di casa nostra hanno negato questo fenomeno quando, alla luce dei dati in questione, appare impossibile difendere i salariati italiani e allo stesso tempo essere favorevoli all’aumento degli immigrati dei paesi del terzo mondo.