di Cesare Sacchetti Il cielo di Israele si è illuminato di nuovo, ma non erano le luci...
Giorgio Napolitano, storia di tradimenti e di servitù al Nuovo Ordine Mondiale
di Cesare Sacchetti
La biografia di Giorgio Napolitano potrebbe essere riassunta da una parola: tradimento.
L’intera vita di Napolitano è stata dedicata alla causa di chi voleva distruggere la millenaria storia e civiltà dell’Italia, da tempo nemesi degli ambienti massonici e liberali.
La carriera del percorso politico dell’ex presidente non inizia però sotto la bandiera rossa del comunismo.
Inizia sotto quella nera quando il giovane Napolitano iscritto ai gruppi universitari fascisti iniziava i suoi primi passi da attore che metteva in scena delle piece teatrali per i citati GUF nei primi anni 40.
A poco a poco poi il giovane studente partenopeo si sposta verso altri lidi politici, quelli della causa marxista-leninista e lo fa soltanto dopo il 1943 quando il fascismo crollò dopo che Vittorio Emanuele III ordinò l’arresto di Mussolini.
Quell’arresto diede vita alla sequela di eventi che portò l’Italia a macchiarsi dello sporco affare dell’armistizio di Cassibile del quale si è parlato in un precedente contributo.
Napolitano divenne comunista come molti altri ex fascisti che intuirono che in quel passaggio storico per poter fare carriera e salire di rango in futuro era molto più conveniente spostarsi su altre posizioni.
Non quelle del fascismo e della Repubblica Sociale ma quelle del PCI. Il politico partenopeo divenne così uno dei più spietati e feroci difensori della ortodossia comunista.
Quando gli operai ungheresi scendevano in strada nel 1956 per poter respirare quella libertà che il blocco sovietico loro negava, l’ex capo dello Stato li apostrofava con sommo disprezzo come “sporchi” e traditori della causa della rivoluzione sovietica.
Qualcosa di simile avvenne nel 1968 quando una nuova rivoluzione scoppiò a Praga nel 1968 e quando i cecoslovacchi provarono a spezzare le catene che li legava a Mosca.
Anche in quella circostanza, Napolitano rimase fedele alla dottrina dell’imperialismo sovietico.
Solamente molti anni dopo l’ex presidente mostrò un rimpianto e un ripensamento per le sue posizioni ma non in pochi notarono che quelle di Napolitano erano lacrime di coccodrillo versate per mostrare un pentimento che probabilmente non era né spontaneo né sincero.
Se il pentimento fosse stato davvero veritiero esso avrebbe dovuto esserci non negli anni in cui ormai l’uomo era salito ai vertici dell’establishment politico ma ben prima quando ancora la carriera di Napolitano non lo portò sulle vette della Repubblica.
Negli anni 70 inizia quella transizione dal Napolitano comunista di stampo stalinista a quello post-comunista di impronta progressista e democratica, quest’ultima nel senso più deteriore del termine.
Questo passaggio già potrebbe essere definito come il secondo tradimento consumato da Napolitano che decise di dismettere i panni della vecchia ortodossia marxista-leninista per indossare quelli della sinistra liberal-progressista che diventerà poi il perno del potere finanziario degli anni 70.
E’ però importante comprendere che non esisteva una vera e reale contrapposizione tra un blocco, quello atlantico, e un altro, quello sovietico.
Affermare che quello del secolo scorso è stato un conflitto controllato nel quale si fronteggiavano due blocchi gestiti dagli stessi poteri non è affatto avventato se si guarda alla genesi del comunismo e alle forze che lo hanno governato sin dai suoi primi passi.
La storia del comunismo rivoluzionario non è stata mai una storia di una filosofia che aspirava a prendere il potere per consegnarlo nelle mani degli operai.
Il fumoso e indefinito concetto di “dittatura del proletariato” è una invenzione di Karl Marx, già iscritto alla massoneria come rivelato dal teologo francese Henry Delassus, che serviva a creare una opposizione di comodo alla deriva liberal-capitalistica che stava trattando al rango di schiavi i lavoratori europei schiacciati dalla seconda rivoluzione industriale.
Quando poi il comunismo è salito al potere nel 1917 nel corso della rivoluzione bolscevica lautamente finanziata dalle banche di Wall Street, si è potuto vedere qual è la vera anima del comunismo. E’ una spietata anima di morte e oppressione che non ha migliorato affatto le condizioni dei ceti più poveri, ma li ha sterminati perché non utili alla causa rivoluziaria.
Il comunismo dunque per quanto ad alcuni possa sembrare paradossale non è altro che l’altra faccia della medaglia del liberalismo. Esso si proponeva di mettere fine allo Stato e alle sue istituzioni quali la famiglia naturale e la religione cattolica esattamente come vuole fare il liberalismo.
Queste due ideologie partono dunque apparentemente da punti diversi per approdare poi verso gli stessi obiettivi.
La transizione dal comunismo marxista-leninista alla sinistra liberal-progressista serviva ai poteri finanziari che ormai non avevano più bisogno del primo, divenuto ormai un ingombrante relitto a fini dell’avanzamento dei piani del mondialismo.
Quando Giorgio Napolitano viene invitato a Washington nel 1978 è perché i poteri che da sempre rappresentano il governo segreto degli Stati Uniti avevano individuato proprio in lui l’uomo ideale per poter attuare questa transizione in Italia.
Mentre l’allora politico comunista, o già post-comunista, faceva il giro delle istituzioni e dei circoli intellettuali e politici più influenti d’America, quali Harvard e Aspen, in Italia negli stessi giorni Aldo Moro si trovava sequestrato e prigioniero delle Brigate Rosse.
Le carriere di Napolitano e Moro sono come due rette divergenti che spiegano perfettamente sia la folgorante carriera politica del primo e la morte del secondo sia la declinante parabola che l’Italia prese dal 1978 in poi.
Quando due anni prima del suo rapimento, Moro veniva esplicitamente minacciato da Henry Kissinger, ex segretario di Stato USA e uomo di spicco del gruppo Bilderberg, era perché l’ex presidente della DC aveva una visione tale del Paese che lo rendeva una minaccia intollerabile per l’anglosfera.
Aldo Moro aspirava a vedere un’Italia sovrana e non più legata alle catene dell’anglosfera che dal 1943 ha indirizzato e scritto la storia di questo Paese.
Una storia di sangue, ruberie e stragi senza le quali l’Italia sarebbe inevitabilmente sfuggita alla morsa atlantica.
Così venne decretata la morte di Moro che periva per la sua volontà di restituire la sovranità perduta all’Italia, così spiccava il volo Giorgio Napolitano che invece veniva definito proprio dall’uomo che minacciò Moro, Kissinger, come il suo “comunista preferito”.
Gli anni 80 diventano non a caso dopo questo passaggio il cantiere politico nel quale nasce il futuro PDS. A Mosca, l’URSS di un tempo già non esisteva più perché un altro uomo molto amato dall’Occidente liberale, Mikhail Gorbachev, stava accompagnando verso la sua dismissione il vecchio blocco sovietico.
Il golpe di Mani Pulite: l’inarrestabile ascesa di Napolitano
Gli anni 90 e quelli successivi sono gli anni della definitiva consacrazione politica di Giorgio Napolitano.
La Seconda Repubblica nasce per esplicita volontà di quegli stessi ambienti che avevano deciso che era il momento di disfarsi dell’URSS.
La classe politica della Prima Repubblica non serviva più all’impero americano. Essa costituiva anzi una potenziale minaccia perché nel suo grembo c’erano politici quali Giulio Andreotti e Bettino Craxi che erano alquanto riluttanti a tenere ancora l’Italia nell’orbita del Patto Atlantico, soprattutto alla luce della liquidazione dell’URSS che rappresentava la fine della apparente ragion d’essere della NATO.
Mani Pulite nasce per attuare un colpo di Stato chirurgico e rimuovere in un colpo solo la politica attraverso la magistratura, vero e proprio cavallo di Troia delle oligarchie nazionali e internazionali.
Tutti vengono seppelliti da arresti a avvisi di garanzia, tranne il PCI ormai già divenuto PDS e pronto ad assumere il ruolo di nuovo garante dello stato profondo di Washington e dei vari circoli sovranazionali della Trilaterale e del Bilderberg.
Craxi intuì immediatamente la manovra in atto e provò a denunciare nell’aula giudiziaria del tribunale di Milano come fosse impossibile che Napolitano non si fosse accorto della enorme mole di fondi neri che transitava dalle casse del PCUS, partito comunista dell’Unione Sovietica, al PCI.
Si parla di somme astronomiche pari a 989 miliardi di vecchie lire. Un fiume di denaro sporco sul quale la magistratura non indagò mai e che costò la vita a Giovanni Falcone e Paolo Borsellino che compresero perfettamente che quella pista avrebbe portato alla probabile incriminazione dei maggiorenti del nuovo PDS.
Allo stesso modo, la magistratura chiuse gli occhi anche sulla telefonata tra Napolitano e l’ex ministro dell’Interno, Mancino, avvenuta nel 1992 e nel quale si parla presumibilmente della trattativa tra Stato e mafia.
Una trattativa che apparentemente avrebbe visto lo Stato promettere alla mafia vari benefici in cambio della esecuzione del disegno stragista del biennio 1992-1993.
Un patto scellerato e infame che ha consentito a Matteo Messina Denaro, scomparso nello stesso periodo di Napolitano, di restare impunito e latitante per 30 anni grazie alle indispensabili protezioni della massoneria.
Le stragi del 1992 e del 1993, come tutte quelle della storia d’Italia dal 1943, in poi erano state concepite ad un livello superiore che quello nazionale.
Esse servivano nell’ottica del patto Euro-Atlantico a destabilizzare l’Italia e produrre quella catena di eventi sovversivi che avrebbe portato l’Italia a firmare Maastricht con la rinuncia alla propria sovranità monetaria seguita dalla dismissione dell’intero patrimonio industriale eseguita da Mario Draghi a bordo del Britannia e da Giuliano Amato a palazzo Chigi.
Napolitano in quel frangente storico così come nei decenni successivi sedeva dalla parte dei “vincitori” e nel 2006 arrivò la tanto agognata ricompensa: il Quirinale.
Nel 2010 l’ex presidente della Repubblica dimostrò ancora una volta tutta la sua antica e immutata devozione alla causa di quei poteri che già negli anni 70 lo avevano scelto come uno dei loro principali referenti.
A palazzo Chigi c’era allora Silvio Berlusconi un uomo entrato in politica per tutelare i propri interessi e che in alcune circostanze provò incidentalmente a fare quelli del Paese fino a quando l’insanabile conflitto non fu risolto ovviamente a favore dei primi.
Nonostante questo, a Londra, la City dominata dalla famiglia dei banchieri Rothschild aveva deciso che il cavaliere era d’intralcio per l’avanzamento dei piani dell’establishment globalista.
C’era un disegno preciso per l’Italia ed era quello del club di Roma fondato dai Rockefeller. L’Italia doveva morire così come Aldo Moro nel 1978.
Al Quirinale viene tessuta quella tela eversiva che portò al rovesciamento di Berlusconi. Napolitano irretisce l’ambizioso e da tempo prono alla finanza anglosassone, Gianfranco Fini, e lo convince a fare una fronda politica nei confronti del suo stesso governo.
La macchina era stata messa in moto e Berlusconi viene letteralmente crivellato dai colpi della speculazione finanziaria in borsa che fanno perdere decine e decine di milioni di euro al patron di Fininvest.
Una volta vistosi mettere a repentaglio il suo patrimonio, Berlusconi abdica e nel novembre del 2011 consegna lo scettro a Mario Monti, uomo della Trilaterale e del Bilderberg, già scelto nei mesi prima da Goldman Sachs e con il quale Napolitano era in contatto da tempo.
Il golpe ha successo perché l’ex presidente della Repubblica rivestì il decisivo ruolo di cavallo di Troia che tramò contro il suo Paese e contro tutto il popolo italiano.
La visione di Napolitano non è mai stata quella di onorare e servire la propria patria. Napolitano non aveva una patria che non fosse quella della repubblica universale di cui vagheggiano le massonerie.
Quando l’ex presidente nel 2012 e con Mario Monti già insediato stabilmente a palazzo Chigi affermò chiaramente che era indispensabile marciare verso un “Nuovo Ordine Mondiale” non fece altro che disvelare la sua vera identità politica.
La stessa identità politica che caratterizzava personaggi quali Henry Kissinger, Winston Churchill, David Rockefeller, George H. Bush, Nicolas Sarkozy, Angela Merkel e Barack Obama.
L’identità di chi ha deciso di essere devoto a quel grumo di poteri che vuole annichilire la sovranità delle nazioni per sostituirla con un impero totalitario globale nel quale la religione cristiana viene messa al bando e i suoi praticanti perseguitati.
È lo stesso spirito satanico che ha governato la defunta farsa pandemica. Questi sono i poteri che Giorgio Napolitano ha servito con riverenza e assoluto ossequio per la sua intera vita.
E questi sono i poteri che oggi lo celebrano con le loro insopportabili e false orazioni funebri.
Quando lo stato profondo ha provato a imporre un minuto di silenzio negli stadi di calcio la reazione è stata quella di un rigetto di massa, da Nord a Sud.
Il popolo ha fischiato quel minuto perché non si riconosce e non si identifica con qualcuno che ha preso la sovranità del Paese e l’ha sacrificata sull’altare del mondialismo e del capitalismo finanziario.
Il popolo non si riconosce più nella farsa delle istituzioni liberal-democratiche. È anche per questo che la morte di Napolitano assume un fortissimo valore simbolico oltre che pratico.
Si chiude la stagione dei tradimenti. Si chiude la stagione del 1992 che ha portato al potere una classe politica di comprimari e di saltimbanchi pronti a tutto pur di compiacere i propri padroni.
La storia non ha virato verso il Nuovo Ordine Mondiale tanto atteso da Napolitano e dai suoi sodali. Ha virato verso sentieri opposti dove la sovranità nazionale torna di nuovo al centro dei processi politici e non più ai margini.
Quella attuale è una fase terminale dei vecchi equilibri del 1992. La morte di Napolitano sembra voler scandire che quel tempo e quella stagione sono definitivamente volti al termine.
Adesso c’è la fase della definitiva decomposizione politica dei cadaveri che rappresentano questa vecchia classe politica.
Le autocelebrazioni di un sistema che ha inflitto così tante ferite all’Italia non sono più gradite. Il popolo lo ha capito e ovunque può grida a gran voce il suo disprezzo nei confronti di chi ha tradito.
Il popolo non onora uomini come Giorgio Napolitano.
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….che articolo confortante e al contempo chiarificatore di molti punti e interrogativi che si ammonticchiavano nel cervello.
e poi quel giudizio che dà corpo all’identità unica, spaventevole e deprimente di napolitano:
“L’identità di chi ha deciso di essere devoto a quel grumo di poteri che vuole annichilire la sovranità delle nazioni per sostituirla con un impero totalitario globale nel quale la religione cristiana viene messa al bando e i suoi praticanti perseguitati.”
NO PASARAN !!!
Un abbraccio, Cesare
Aspettavo con ansia un suo articolo riguardo alla dipartita dell’ “emerito”. Tutto ciò che riguarda il fu è a ben guardare un bluff, a partire dalle sue ascendenze, pure biologiche secondo le malelingue. È stato piuttosto interessante scoprire che “il comunista preferito di Kissinger” avesse sangue blu…ma ormai non dovrebbe stupirci più nulla di questa nostra povera Italia. La ringrazio per il suo lavoro, e mi unisco nella speranza della riscossa del nostro ormai stanco paese
Avviene che che la dipartita di cotanto illustre “sabotatore” della nostra Patria, imponga a ciascuno di noi l’esercizio della nostra suprema facoltà del Libero Arbitrio: condannarlo o assolverlo? Terzium non datur! Nella travagliata consapevolezza che ognuna delle due scelte implica inesorabilmente la concordanza – o la discordanza – con la decisione Divina.
Dove concordanza significa essere con Dio, e discordanza significa essere con Satana.
Dott.Sacchetti mai mi è capitato di leggere un’analisi più lucida e precisa degli avvenimenti. Dio La custodisca. E’ raro leggere un vero giornalista in Italia
Grazie mille, caro Maurizio.