di Cesare Sacchetti Le immagini di ieri sera della Corea del Sud ad un tratto assomigliavano molto...
Berlusconi e Bergoglio: lo stato profondo italiano appeso a dei sottili fili
di Cesare Sacchetti
Dal San Raffaele continuano a giungere asciutti bollettini medici più o meno rassicuranti. Berlusconi, ricoverato nella struttura ospedaliera milanese, starebbe meglio e ci sarebbe persino “cauto ottimismo” sulle sue condizioni di salute.
Ora l’espressione “cauto ottimismo” è una di quelle di rito che spesso lasciano presagire un quadro ben diverso dalla realtà soprattutto se utilizzata in ambienti sanitari e soprattutto se riguarda personaggi politici del calibro di Silvio Berlusconi.
La realtà pare essere molto diversa. Fonti ovviamente non legate al mainstream e che non si attengono al copione che stanno recitando tutti i media italiani descrivono un quadro piuttosto diverso.
Fino a pochi giorni fa, al San Raffaele, c’era una processione di personaggi politici e del mondo dello spettacolo che si recavano in visita da Berlusconi.
E quando uscivano sembravano essere tutt’altro che rasserenati. Al contrario, sono stati visti agitarsi al telefono con i loro interlocutori presumibilmente allarmati per le condizioni di salute del leader di Forza Italia.
Certo poi c’è stato Letta che pronunciava le sue parole lo scorso sabato, la vigilia di Pasqua, fino a parlare di una possibile “resurrezione” di Berlusconi ma la sensazione che si è avuta ascoltandolo era quella di chi cercava di rassicurare più sé stesso che gli interlocutori.
L’establishment italiano vuole trasmettere una idea di sicurezza e di pieno controllo della situazione quando in realtà manca del tutto sia la prima che il secondo.
La domanda più naturale da porsi è perché ci sia tutta questa preoccupazione da parte dei membri delle élite per ciò che riguarda le sorti di Berlusconi.
La risposta è alquanto semplice. Silvio Berlusconi è un pezzo fondamentale dal quale dipendono i già fragili e instabili equilibri che sorreggono tutto il sistema politico italiano nato dal 1992, l’anno del golpe giudiziario di Mani Pulite orchestrato dagli ambienti dello stato profondo di Washington.
È la cosiddetta Seconda Repubblica che nacque per esplicita volontà dell’Euro-Atlantismo per assicurarsi che l’Italia entrasse nella gabbia ordo-liberale di Maastricht e venisse a poco a poco divorata da tutti i suoi predatori.
È stata una marcia verso il declino e i partiti che compongono l’attuale sistema passati da varie mutazioni e seguiti da opposizioni controllate, vedasi la Lega salviniana e il M5S, ne sono i principali responsabili.
Questa classe dirigente, o forse dovremmo dire solo esecutrice, ha distrutto una delle potenze industriali più forti del pianeta.
E lo ha fatto pedissequamente senza mai uscire dai binari. L’unica volta che sembrava si fosse vicini ad uscire dal recinto dell’UE, istituzione voluta e controllata in realtà dall’anglosfera, fu nel 2011, un anno che ormai sembra passato remoto.
E in quell’occasione al potere c’era proprio Silvio Berlusconi che non poté e non volle uscire dalla gabbia monetaria ed economica che imprigionava l’Italia e la deindustrializzava. Non poté e non volle in base al semplice principio di non contraddizione.
Non si può abbattere o combattere un sistema del quale si fa parte. Come poteva l’uomo di Arcore sfidare lo status quo finanziario internazionale quando il suo impero economico era legato e dipendeva da quello stesso status quo?
E come poteva Berlusconi sconfiggere tali poteri se questo avesse significato la inevitabile fine, o quantomeno vistoso ridimensionamento, della sua ricchezza?
Non poteva e non voleva. Di fronte al “dilemma” tra le proprie aziende e il Paese, Berlusconi non ci pensò su molto.
Scelse le prime. Votò la fiducia all’uomo della Trilaterale, Mario Monti, mandato per commissariare il Paese ed attuare l’agenda dell’austerità che è costata la vita a decine di migliaia di persone in tutta Europa.
Le chiavi dell’Italia passarono ad un “sicario dell’economia”, uno di quei soggetti descritti dall’economista americano John Perkins che ha il compito specifico di spolpare a poco a poco una nazione e privarla delle sue vitali risorse strategiche.
È il famigerato pilota automatico di Draghi, altro esperto nel campo degli omicidi economici di una nazione.
Da quel momento, il cappio che soffocava l’Italia si è fatto sempre più stretto.
Berlusconi si rivelò decisivo per stabilire i governi di coalizioni degli anni successivi, da quello Letta a quello Renzi tramite il famigerato patto del Nazareno.
Senza Berlusconi, il PD e i suoi vari emissari scelti dai poteri sovranazionali non avrebbero potuto governare e il piano per tenere prigioniera l’Italia si sarebbe inevitabilmente arenato.
Adesso però c’è un fatto nuovo che ha fatto saltare tutti i principi sui quali si fondava la esistenza in vita del sistema politico italiano.
Non c’è più il garante di Washington. Non c’è più la sponda americana che assicura ad ogni governo e ad ogni partito di poter restare al potere senza particolari scossoni.
Ciò è dovuto sicuramente alla stagione della dottrina politica del “Prima l’America” inaugurata da Trump ed è anche dovuto al mancato ricongiungimento delle due sponde dell’atlantico che sulla carta Biden avrebbe dovuto mettere in atto.
I rapporti euro-atlantici non si sono ricuciti affatto e, se possibile, sono persino peggiorati. Ne è testimonianza l’ultima dichiarazione di Emmanuel Macron, presidente francese e uomo dei Rothschild sempre più in crisi per le misure di austerità che sta attuando e che sono le conseguenze stesse della esistenza della moneta unica.
Macron ha affermato che l’UE deve costruirsi una sua dimensione politica e geopolitica che vada al di là del rapporto con gli Stati Uniti, ma Macron dimentica, o finge di dimenticare, che l’UE non è stata pensata per essere una struttura indipendente.
È stata pensata per essere l’anello debole e sottomesso nella catena Euro-Atlantica. Tolto dunque il ruolo di dominus che assicurava Washington, l’UE inevitabilmente è destinata ad entrare in una crisi sempre più profonda che sta portando alla implosione della UE stessa.
Questo mentre intanto a Est l’anglosfera continua a ricevere potentissimi fendenti dai BRICS che stanno costruendo una alleanza geopolitica che sta consumando tutta l’influenza di cui godeva l’atlantismo.
E la politica italiana si ritrova a vivere così in questa condizione di limbo sempre più breve e sempre più temporaneo con i vecchi padroni in profonda crisi, e sperando che la macchina della storia si inceppi e cambi strada.
Ma non sta accadendo. Al contrario, gli ingranaggi della macchina continuano ad andare nella direzione non voluta dallo stato profondo italiano.
E la malattia di Berlusconi e una eventuale dipartita del leader forzista potrebbe essere la rotella che fa saltare un meccanismo già molto precario e disfunzionale.
Precario perché i partiti tirano avanti a campare da quando è caduto il governo Draghi e sono tutti aggrappati alla instabile zattera del governo Meloni.
Disfunzionale perché incrinatasi la sovrastruttura transnazionale è impossibile che l’attuale sistema politico sopravviva.
Sono le leggi, per così dire, della fisica politica che i vari membri dell’establishment conoscono bene e che sperano infantilmente che stavolta possano essere violate con una eccezione alla regola che non ci sarà.
Dunque una fine di Berlusconi non assume solamente un mero valore simbolico con la chiusura dell’era del 1992 e della Seconda Repubblica iniziata anche con l’ingresso in politica con il fondatore di Mediaset.
Assume anche un valore pratico politico perché una fine di Berlusconi significa la definitiva fine e scioglimento di Forza Italia, da tempo morta cerebrale e tenuta in vita soltanto dalla presenza del cavaliere.
C’è un articolo comparso su La Stampa della famiglia Elkann che coglie in parte la drammaticità della situazione. A volte persino i media mainstream non possono fare a meno di dire, o di dirsi, la verità quando necessario.
Forza Italia è sommersa di debiti. Una montagna di passività pari a 100 milioni di euro tutti garantiti da Silvio Berlusconi.
Se Silvio Berlusconi muore chi si farà carico di tutti quei debiti? E chi si farà carico di gestire il partito nell’era post-berlusconiana?
La figura di Marta Fascina, ex addetta stampa del Milan, sembra essere completamente inadeguata ma non sembra esserci nessuno in realtà in grado di prendersi sulle spalle il partito.
Il partito azienda nasce e muore con Berlusconi. E una volta che lui esce di scena, è semplicemente finita. È la fine di un’epoca che è durata anche troppo e che da troppo tempo ha portato solo decadenza e miseria all’Italia.
La fine e la diaspora degli ultimi forzisti non potrà non avere effetti ancora più forti sull’instabile governo Meloni che esiste solamente sulla carta ma nella vita politica reale non sembra nemmeno esserci.
C’è un premier che prova a mettere in atto alcuni punti della precedente agenda eurista e atlantista, ma c’è un premier che sa che il sistema che assicurava quella supremazia è venuto sostanzialmente meno.
E c’è un premier che cerca in continuazione uno strappo per poter far saltare il banco, come ha fatto con le partecipate provocando per l’ennesima volta gli “alleati” di governo che sono rimasti a bocca asciutta.
Se dunque Berlusconi lascia il sipario e Forza Italia si scioglie è probabile pensare che Giorgia Meloni coglierà immediatamente la palla al balzo per togliersi di torno lasciando a qualcun altro una patata bollente che nessuno sembra disposto a prendere tra le mani.
Il mistero sulla salute di Bergoglio: l’altra incognita che tormenta l’establishment
A questa già elevata situazione di instabilità politica si deve aggiungere anche quella di un altro storico referente dello stato profondo italiano.
Il Vaticano in mano alla massoneria ecclesiastica dai tempi dell’infausto Concilio Vaticano II. Non è per nulla chiaro quello che è accaduto a Bergoglio lo scorso 29 marzo e ci sono molti punti oscuri nella storia raccontata dalla sala stampa vaticana che non tornano affatto.
Il pontefice accusa un malore il giorno in questione, viene trasportato in ambulanza e i portavoci vaticani parlano di “controlli programmati”.
Quasi inspiegabilmente poi a nemmeno due giorni di distanza dal malore, Bergoglio si aggira tra i corridoi del reparto di oncologia pediatrica del Gemelli il venerdì mattina come se nulla fosse successo e non manifestando i sintomi della bronchite che il Vaticano ha poi detto che il pontefice avrebbe avuto.
Adesso si aggiunge un’altra nota stonata. È lo stesso papa gesuita a dire di “essersela vista molto brutta” ad una famiglia di Pesaro smentendo tutta la precedente versione del Vaticano e smentendo in parte anche sé stesso.
Se il malore era così grave com’è stato possibile che Bergoglio a 86 anni e con notevoli acciacchi fisici potesse essere dimesso dall’ospedale così rapidamente?
Restano dei misteri su quanto accaduto al pontefice e alcuni ipotizzano che tale situazione di incertezza sia destinata a durare molto poco con un papa in condizioni di salute sempre più precarie.
Ciò non fa che peggiorare l’apprensione degli uomini dello stato profondo italiano che già preoccupati per una possibile uscita di scena di Berlusconi si ritrovano a dover affrontare la prospettiva di un conclave con un nuovo pontefice che nulla assicura che sarà in linea con il suo predecessore progressista.
Jorge Mario Bergoglio è una figura molto difficile da sostituire. È stato uno dei leader del disegno globalista ed è stato uno degli ultimi garanti dei governi italiani già gravemente indeboliti e sempre più privi di sponde internazionali forti.
La sua perdita sarebbe probabilmente incolmabile.
Tutto un intero sistema appare appeso dunque a dei fragilissimi fili e quei fili si stanno assottigliando sempre di più.
I prossimi mesi saranno decisivi e la sensazione è che tutto ciò che resta a tenere ancora a galla le élite liberali italiane sia destinato a venire meno.
Sono quei crocevia storici che decidono da che parte va un Paese e l’Italia, in questo momento, si trova proprio di fronte ad uno di essi.
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