di Cesare Sacchetti Li si era lasciati lì, intenti ad azzuffarsi nelle aule di tribunale per la...
Donald Trump e la fine della “democrazia esportata”: il tramonto del sionismo americano
di Cesare Sacchetti
A Riyadh hanno fatto davvero le cose in grande.
Non appena il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, ha messo piede nell’aeroporto della capitale saudita, per firmare l’accordo sulla vendita di armi e di investimenti sauditi negli USA per un valore pari a 600 miliardi di dollari è stato accolto da un interminabile tappeto viola che nelle tradizioni locali significa regalità, magnificenza e abbondanza.
La camminata di Trump assieme a Mohammed bin Salman, l’erede al trono saudita
Il regno saudita mostra tutto il rispetto possibile per il presidente americano e sembra passato un secolo quando Joe Biden non riusciva nemmeno a parlare al telefono con l’erede al trono, Mohammed bin Salman.
La presidenza di Joe Biden un giorno andrà davvero studiata meglio perché mai prima d’ora si era visto un atteggiamento simile da parte delle varie cancellerie internazionali che snobbavano senza pudore alcuno quello che sulla carta era il presidente degli Stati Uniti, ma che nella pratica non sembra esserlo mai stato, soprattutto alla luce di quanto sta facendo emergere Trump che parla di molte firme invalide da parte dell’ex inquilino della Casa Bianca.
La storia adesso è completamente diversa.
Il mondo sa chi è il comandante in capo, e i sauditi per primi non hanno alcun dubbio al riguardo.
Si ritorna da dove si era partiti dunque, quando nel 2016 Donald Trump allora accompagnato da sua figlia Ivanka e suo marito, Jared Kushner, allontanato da Trump per la sua vicinanza a Israele, erano atterrati a Riyadh per iniziare a tessere il filo delle relazioni mediorientali dell’amministrazione Trump, ma all’epoca l’Arabia Saudita attraversava una fase geopolitica molto diversa e soprattutto Trump era appena agli inizi di un suo piano che prevedeva il graduale divorzio degli Stati Uniti dello stato di Israele.
Dopo aver visitato l’Arabia Saudita allora, Trump si recò in visita allo stato ebraico, mentre in questa occasione il presidente è giunto in Medio Oriente senza nemmeno fermarsi presso lo storico “alleato” americano.
E’ un cambio radicale del paradigma della politica estera americana che per più di mezzo secolo è stata saldamente nelle mani dei vari gruppi di pressioni ebraici e sionisti.
La politica degli Stati Uniti nelle mani del mondo ebraico
Non c’era foglia un tempo infatti che non si muovesse in Medio Oriente che non volesse non tanto Washington, ma Tel Aviv.
La superpotenza americana si è ritrovata ad essere suo malgrado non come una repubblica sovrana padrona del suo destino, ma piuttosto come un potentissimo conglomerato politico, economico e militare che veniva utilizzato contro i vari avversari dello stato ebraico.
Non è esistita difatti per 80 anni una geopolitica americana, ma una israeliana che ha agito sin dal primo momento della nascita dello stato ebraico voluto dal filosofo sionista, Theodor Herzl, come un garante ed un esecutore della volontà israeliana in Medio Oriente.
I politici che provarono ad opporsi a questa condizione di sottomissione dell’America verso Israele sono stati tutti via via estromessi, e alcuni sono morti in circostanze mai realmente chiarite.
E’ toccata simile sorte, ad esempio, a James Forrestal, ex segretario alla Marina degli Stati Uniti, che sul finire degli anni’40 espresse tutta la sua contrarierà alla creazione dello stato di Israele che a suo dire avrebbe sconvolto completamente i fragili equilibri con gli altri Paesi del Medio Oriente e compromesso i rapporti di Washington con il mondo arabo.
Forrestal non fece in tempo a fare la sua denuncia che l’allora presidente Truman, altro sodale della massoneria, lo estromise dalla sua amministrazione per poi lasciarlo rinchiudere in un ospedale psichiatrico fino ad arrivare all’epilogo del presunto suicidio dell’ex segretario americano, probabilmente invece ucciso per le sue scomode posizioni.
James Forrestal
Stessa sorte toccò a John Fitzgerald Kennedy, la cui famiglia aveva una lunga storia di contrapposizione agli interessi del mondo ebraico, già quando suo padre, Joe, il capostipite della famiglia, si scontrò con i signori della mafia ebraica, Meyer Lanksy su tutti, per gli interessi sul commercio clandestino di alcol ai tempi del proibizionismo.
JFK aveva ricevuto una chiara lezione da suo padre Joe.
Sapeva che la lobby sionista ed ebraica era diventata una potentissima forza e sapeva anche che le famiglie che avevano in mano la banca centrale americana dal 1913 in poi erano quelle dei Warburg, dei Rockefeller, dei Vanderbilt, degli Schiff e dei Kuhn & Loeb, ovvero i vari signori della finanza askenazita che erano divenuti i padroni assoluti del capitale negli Stati Uniti.
Sapeva anche bene John che Israele difficilmente sarebbe venuta a miti consigli.
John già dai tempi della sua ascesa in politica, quando divenne senatore per lo stato del Massachusetts, aveva degli stretti rapporti con un imprenditore di origini ebraiche quale Benjamin Freedman che fino a qualche decennio prima era un convinto falco sionista fino a trovare poi la strada della conversione al cattolicesimo che lo rese un acerrimo nemico e una figura da cancellare dalla storia americana.
Benjamin Freedman
Raramente infatti si trovano biografie o citazioni negli organi di stampa su questo vero e proprio pentito del sionismo americano poiché soltanto raccontare la sua storia sarebbe come a dire che non esiste alcun “complotto antisemita” riguardo alle intenzioni di Israele di costruire un suo impero in Medio Oriente, ma soltanto una realtà oggettiva ed effettiva rivelata da coloro che appartenevano e appartengono tuttora a quel mondo.
Kennedy, com’è noto, non fece in tempo a recidere i fili che legavano gli Stati Uniti ad Israele.
Sulla Dealey Plaza di Dallas, in Texas, veniva ucciso a colpi di arma da fuoco da coloro che volevano impedirgli di fermare il programma nucleare israeliano che avrebbe dato allo stato ebraico una bomba atomica e la possibilità un domani di provocare un vero e proprio olocausto nucleare contro i Paesi arabi “nemici” di gran lunga più devastante dei crimini commessi dalla presidenza Truman contro i civili di Hiroshima e Nagasaki, una città quest’ultima sede di cattolici giapponesi a dimostrazione che lo stato profondo di Washington voleva sterminare questi in particolar modo.
Gli Stati Uniti così continuarono ad essere i fedeli vassalli dello stato ebraico.
A prendere il potere dopo Kennedy fu Lyndon Johnson, il quale a distanza di anni è stato confermato essere uno dei vari cospiratori che partecipo all’omicidio del “suo” presidente.
Kennedy non aveva stima alcuna per Johnson. Gli fu imposto più che altro per logiche di equilibri interni, e Johnson a sua volta ricambiava il disprezzo per i fratelli Kennedy, tanto da apostrofarli come “figli di puttana” il giorno prima dell’omicidio di JFK, come rivelò la ex amante di Johnson, Madeleine Duncan Brown, che ammise che il vicepresidente sapeva che il 22 novembre del 1963 Kennedy sarebbe stato giustiziato.
Johnson, nemmeno a dirlo, è stato un formidabile alleato, o servo, dello stato ebraico, come ammettono i vari quotidiani israeliani che lo definiscono come uno dei presidenti americani più sionisti della storia.
Non c’è da sorprendersi che lo descrivano in tali termini, se si pensa che Johnson fu quel presidente che nel 1967 lasciò uccidere da Israele 34 marinai americani a bordo della nave USS liberty, bombardata dagli aerei israeliani che avevano in programma di dare la colpa dell’attacco all’Egitto così da trascinare l’America in un’altra guerra voluta da Israele.
La USS Liberty dopo aver subito l’attacco da parte dei caccia israeliani
Nixon, il successore di Johnson, era un uomo molto conscio che esisteva tale problema negli Stati Uniti e nelle sue conversazioni nel 1972 con uno dei suoi consiglieri, l’evangelista Billy Graham, affermava esplicitamente che gli ebrei costituivano un problema per via dello loro infedeltà verso gli Stati Uniti, ma il presidente nulla riuscì a fare al riguardo.
Billy Graham e il presidente Nixon parlano della questione sionista ed ebraica
Si ritrovò schiacciato nel 1973 dalla montatura del Watergate, orchestrata dal suo segretario di Stato, Henry Kissinger, falco sionista e membro di tutti i club del mondialismo che contano, tra i quali il Bilderberg, la Trilaterale e il club di Roma.
Arrivano così gli anni’90 e 2000, gli anni nei quali vengono eseguiti gli attentati terroristici sui quali si trovano non poche impronte dello stato di Israele, a partire da quelle dei cinque agenti del Mossad che esultavano estasiati davanti al crollo delle torri gemelle, e a partire da quelle della società israeliana che minò gli edifici caduti con degli esplosivi nei mesi precedenti.
Inizia l’era del terrore in Medio Oriente. Inizia l’era della “democrazia esportata”.
A Washington ci sono i pericolosi neocon come Paul Wolfowitz, Dick Cheney, John Bolton e Donald Rumsfeld che sono i veri padroni dell’amministrazione Bush, mero esecutore del programma scritto per lui dalla lobby sionista americana e da quella setta Chabad Lubavitch che aspira ardentemente alla venuta del moschiach e dell’inizio del Nuovo Ordine Mondiale.
Si esegue in pratica il programma rivelato nel 2007 da un falco del Pentagono come il generale Wesley Clark che disse in quell’occasione che Washington aveva intenzione di scatenare guerre a sette Paesi quali l’Iraq, l’Afghanistan, la Siria, la Somalia, l’Iraq, il Sudan e il Libano.
L’intervista del generale Wesley Clark
Non esisteva alcuna logica geopolitica dal punto di vista americano nel fare guerra a quei Paesi, ma la logica era soltanto quella dello stato di Israele che voleva disfarsi dei suoi “nemici” e iniziare a poco a poco ad annettere le parti dei suoi vicini alla ricerca del “sogno” imperiale della Grande Israele, come negli ultimi tempi ha ribadito il ministro delle Finanze, Smotrich, che senza troppi pudori ha ammesso che i confini di Israele devono giungere fino a Damasco.
L’era Trump e la fine del sionismo americano
La venuta di Donald Trump è quell’evento che cambia la storia e crea un’America del tutto diversa da quella conosciuta dalla seconda guerra mondiale in poi.
Washington torna alle sue radici.
Non più potenza imperiale cuore della devastazione mondiale, ma repubblica sovrana, indipendente, del tutto simile all’America lasciata in eredità da Abraham Lincoln, ucciso da William Booth, uomo legato alla massoneria e vicino al casato dei banchieri di Francoforte, i Rothschild.
Sin dal primo momento, Trump ha mostrato una particolare astuzia e abilità politica nei riguardi dello stato di Israele, al quale ribadiva la sua “amicizia” attraverso varie dichiarazioni di stima, disattese però dalla sua geopolitica in Medio Oriente che sin dal primo momento ha ordinato il ritiro delle truppe americane dai Paesi arabi.
Trump si è confermato alquanto astuto. Conosce bene la storia degli Stati Uniti.
Sa quali sorti sono toccate ai vari presidenti che hanno sfidato Israele, e sapeva che per avere la meglio su questa forza era necessario dissimulare le sue vere intenzioni attraverso attestati di stima formali che prima o poi avrebbero comunque portato ad attriti con Israele, una volta che il presidente avesse iniziato a lasciare il Medio Oriente.
Già nel 2019, il presidente americano aveva dichiarato la sua intenzione di lasciare la Siria, e due anni dopo, all’alba della frode elettorale ai suoi danni, il primo a riconoscere Biden come presidente è stato proprio Netanyahu che sperava ancora una volta di avere il presidente americano dalla sua parte.
Il divorzio definitivo tra Stati Uniti ed Israele
Non appena ha avuto inizio il secondo mandato di Trump, c’è stata l’inevitabile incrinatura dei rapporti tra i due.
Il presidente americano ha iniziato a trattare unilateralmente con Teheran senza cercare alcuna approvazione da parte degli israeliani che sono andati su tutte le furie e sono rimasti completamente spiazzati dalla determinazione di Trump.
A nulla sono valsi i tentativi del consigliere della sicurezza nazionale, Waltz, di sabotare l’agenda del presidente americano che non appena saputo che il suo consigliere era all’opera per cercare un’altra guerra con l’Iran lo ha prontamente spedito a New York a ricoprire il ruolo di ambasciatore presso l’ONU, nella ennesima applicazione pratica della massima latina promoveatur ut amoveatur.
Secondo il giornalista americano David Railly, Trump avrebbe anche deciso di chiudere le porte della Casa Bianca alla famigerata lobby israeliana dell’AIPAC, che sin dalla sua esistenza è stata una forza decisiva non solo nello scegliere i presidenti degli Stati Uniti, ma nell’indirizzarne fedelmente le loro politiche.
Stessa musica per quello che riguarda un altro “nemico” di Israele, gli agguerriti Houthi che hanno creato non pochi problemi allo stato ebraico il quale si lamentava già prima dello scarso sostegno americano contro la milizia yemenita.
A Tel Aviv sembrano essere pertanto giunti ad una conclusione inevitabile.
Il sostegno di Trump non va oltre le parole, e nei fatti si vede poco o nulla, salvo quella dichiarazione di riconoscimento di Gerusalemme come capitale israeliana, che tra l’altro non è mai stato nemmeno completato poiché l’ambasciata americana è ancora oggi a metà strada tra Tel Aviv e Gerusalemme.
Il presidente americano è dunque un vero e proprio unicum.
E’ il primo capo di Stato americano dal’45 che riesce finalmente a portare avanti una propria geopolitica in Medio Oriente che non sia quella voluta da Israele.
Il divorzio era di conseguenza inevitabile e questo spiega perché sia nella frode elettorale del 2020 sia nel tentativo di omicidio di Trump dello scorso luglio ci sia la presenza dei vari fondi di investimento legati alla lobby sionista, come ad esempio il fondo Austin, che il giorno prima che Thomas Crooks, il 20enne di origini ebraiche studente di BlackRock, sparasse contro la testa del presidente scommetteva somme da capogiro contro la società di Trump, ben consapevoli che qualcosa di grave potesse accadere.
E’ a sua volta consequenziale l’assalto mediatico degli organi di (dis) informazione americana nelle mani di sei gruppi tutti integrati nel mondo sionista, a dimostrazione che la campagna disinformativa della falsa controinformazione che si è impegnata in ogni mondo a dimostrare che Trump è una marionetta di Israele altro non è che una grossa menzogna fabbricata proprio da quegli ambienti ostili a Trump.
Viene quasi da sorridere se si pensa alla disfatta dei vari falsi controinformatori che affermavano che Trump fosse nelle mani dei coniugi Adelson, famigerati magnati del sionismo, che da sempre finanziano il partito repubblicano, indipendentemente da Trump, e che oggi si vedono negare al telefono proprio dal presidente americano.
I coniugi Adelson
Trump non risponde a nessuno. Non è un presidente a noleggio. Non è George W. Bush nelle mani dei neocon, né tantomeno è Barack Obama, il premio “nobel per la pace” che si dava da fare per mettere a ferro e fuoco il Medio Oriente attraverso il suo sostegno all’ISIS, creatura dei sauditi e di Israele.
L’Arabia Saudita: da alleato di Israele a parte del mondo multipolare
Il miracolo più significativo che Trump ha compiuto è stato forse proprio questo.
Ha stabilito una nuova alleanza con l’Arabia Saudita, la creatura del sionismo, che da potenza destabilizzante del mondo arabo ha scaltramente saltato lo steccato ed è passata con il mondo multipolare negli ultimi anni.
Soltanto 7 anni addietro, Riyadh era impegnata nel massacro della popolazione civile yemenita e nel combattere gli Houthi, la milizia vicina all’Iran, perché i sauditi non stavano seguendo un’agenda politica che facesse gli interessi del loro Paese, ma piuttosto quella di Israele.
Non va dimenticato che Mohammed bin Salman, l’erede al trono, è stato il primo principe ereditario saudita a visitare Israele, a dimostrazione di quanto i rapporti tra lui e Tel Aviv fossero stretti.
Mohammed bin Salman
Oggi tra Riyadh e Tel Aviv c’è il gelo.
L’Arabia Saudita ha iniziato una nuova fase di distensione con Teheran, tanto che poco prima di ricevere Trump a Riyadh, i dignitari sauditi si incontravano con il ministro degli Esteri iraniano, a conferma di una fase nuova, del tutto diversa nella storia dei due Paesi che soltanto nel 2019 erano su fronti opposti.
La storia sta cambiando veramente in fretta, ad una velocità incredibile se si pensa che nel giro di poco più di un quinquennio stanno venendo meno equilibri e assi che duravano da 80 anni.
Il caso saudita resta probabilmente il più clamoroso.
La culla del wahabismo e del terrorismo islamico benedetto da Israele e dallo stato profondo di Washington che dopo l’era Trump e dopo l’avvento del multipolarismo inizia a diventare una potenza regionale che non vuole più destabilizzare i suoi vicini, ma cerca piuttosto di convivere pacificamente con essi, come visto con la guerra nello Yemen, iniziata e terminata da bin Salman, e come visto con la nuova politica di avvicinamento verso Teheran.
In altre parole, Trump ha costruito un risiko mediorientale del tutto nuovo.
Non esistono più gli Stati Uniti che bombardano indiscriminatamente i Paesi arabi per compiacere lo stato ebraico dietro il paravento della esportazione della democrazia, il paradigma al quale il mondo Occidentale liberale è ricorso per anni pur di portare avanti la sua agenda imperialista e globalista.
Gli Stati Uniti sono quel Paese che oggi va in Arabia Saudita e condanna quei bombardamenti indiscriminati fatti da uomini come George W. Bush e Barack Obama, fedeli emissari e rappresentanti della lobby sionista e della governance globale della quale Washington era portavoce.
Trump oggi dichiara che non può esistere una pace stabile e duratura che non passi dall’esplicito riconoscimento e rispetto delle sovranità e culture nazionali che non possono essere certo sostituite dal modello liberal-democratico nelle mani di vari potentati bancari e industriali, che oggi tra l’altro si trovano sempre più in difficoltà anche nell’Unione europea, l’ultima debole roccaforte rimasta nelle mani dei decaduti signori del mondialismo.
Si inaugura così una nuova era.
Non poteva iniziare l’era di un’America finalmente libera e sovrana senza prima passare dall’esautoramento della sua dipendenza da Israele.
L’ultimo storico passo sarebbe il riconoscimento dello Stato palestinese da parte degli Stati Uniti, una ipotesi che è trapelata nei giorni scorsi e che Trump starebbe seriamente prendendo in considerazione.
Lo stato ebraico così si ritrova solo e debole.
Non ci sono più gli Stati Uniti dalla loro parte, tantomeno i sauditi che ormai pensano alla esclusiva tutela dei loro interessi nazionali.
A Tel Aviv, qualcuno ancora parla della necessità di invadere militarmente Gaza, scenario fortemente condannato da Trump che attraverso il suo segretario di Stato, Rubio, ha espresso la sua forte opposizione a qualsiasi piano per espellere i palestinesi da Gaza.
Se Israele vorrà veramente seguire tale strada in una condizione di assoluto isolamento e senza il supporto degli Stati Uniti, non è escluso che possano esserci futuri incidenti tra israeliani e americani proprio nella striscia di Gaza.
A Tel Aviv, sembrano essere in preda ad una delirante febbre imperialista.
Sembra che non vogliano riconoscere il fatto ormai che lo stato ebraico ha perduto le protezioni di un tempo, e sembra che non vogliano ammettere che oggi Israele fa i conti con una strisciante guerra civile dentro i suoi servizi e dentro il suo apparato militare, nei quali ci sono fazioni che vorrebbero mettere un freno a questa folle corsa alla Grande Israele.
Non è chiaro cosa voglia fare davvero Israele, ma a Tel Aviv sono avvisati.
Stavolta alla Casa Bianca non c’è Lyndon Johnson.
C’è Donald Trump, e se Israele metterà a rischio la sicurezza degli Stati Uniti, ci sarà una probabile risposta.
Se qualcuno soltanto 10 anni fa avesse detto che un giorno Israele e Stati Uniti sarebbero giunti a questo punto, sarebbe stato preso per folle.
Ecco dove si è arrivati nel tempo contemporaneo. Ecco dove ha portato il mondo multipolare e la fine del mondialismo.
E’ la fine degli imperi, degli imperialismi e dell’illimitato potere del sionismo.
E’ il prepotente ritorno della difesa della sovranità nazionale.
Questo blog si sostiene con il contributo dei lettori. Se vuoi aiutare anche tu la libera informazione clicca qui sotto. Se preferisci invece sostenerci tramite versamento bancario, puoi versare il tuo contributo a questo IBAN: IT53J0200805047000105110952
14 Commenti
Rispondi
Altro in notizie …
Il rito scozzese di piazza del Gesù si unisce alla Gran loggia Regolare: la massoneria italiana verso l’implosione?
di Cesare Sacchetti Li si era lasciati lì, intenti ad azzuffarsi nelle aule di tribunale per la questione delle schede...
Le accuse di insabbiamento di abusi sessuali e quella macchina del fango contro Leone XIV
di Cesare Sacchetti Il papato di Leone XIV non è nemmeno iniziato e già il pontefice deve iniziare a togliersi di...
Papa Leone XIV: papa del compromesso o della restaurazione?
di Cesare Sacchetti Il gabbiano che accudisce i suoi piccoli vicino al comignolo della Cappella Sistina sembra essere...
CAro CESARE, farti i complimenti su questo articolo magistrale sarebbe troppo poco. Cerco di divulgarlo come faccio spesso con i tuoi scritti che hanno il raro dono di essere lucidamente esplicativi delle trame e dei retroscena che costellano la vita politica in ogni occasione internazionale. Un abbraccio di profonda stima e simpatia.
Ciao Massimo, grazie mille come sempre.
Ciao Cesare, ti pongo 3 domande da scolara:
1) L’arabia Saudita, dal rapporto con Israele, in passato, cosa ci guadagnava?
2) Quando parli: “organi di (dis) informazione americana nelle mani di sei gruppi tutti integrati nel mondo sionista”, quali sono questi 6 gruppi nel dettaglio?
3) In Europa continua ad esserci un’aria irrespirabile, Trump metterà mano direttamente al vecchio continente, o aspetta l’inevitabile declino che potrebbe però prolungarsi nel tempo? Capisco bene che tagliata la testa del serpente (Israele) verrebbe comunque giù tutto, però ad oggi la parte del mondo più in sofferenza rimaniamo noi.
Sei il professore di tutti noi, il tuo lavoro, il blog e il canale sono di una ricchezza impressionante. Un grade abbraccio.
Alice
Ciao Alice, intanto grazie mille come sempre. Ti rispondo nell’ordine:
1) l’Arabia Saudita è una creazione del sionismo ed è sempre stata fedele ai piani di Israele. I Saud risultano essere di origine ebraica ma ciò non toglie che non appena hanno visto che il mondo unipolare di Washington stava crollando non ci hanno pensato due volte a saltare sul carro di Trump;
2) Sono Disney, Comcast, CNN, MSNBC, tutti nelle mani di Vanguard/BlackRock;
3) Con i dazi Trump accelererà sicuramente la crisi UE. Recentemente ha ribadito che l’UE è peggio della Cina.
Ti chiedo un’ultima cosa, il referendum ho intenzione di boicottarlo astenendomi. Tu che lettura ne dai, ho visto dal canale che giustamente non lo hai filato di striscio.
A presto, e grazie mille ancora
Alice
Quale referendum? 😄
Alice, lo dicevo stamattina a mia figlia, di quasi 18 anni e che ha subito tutti i crimini della farsa pandemica (cacciata dagli autobus, cacciata dalla palestra e altre “amenità”), in risposta a un suo commento sulle nuvole di stamattina su Roma. Ho preso spunto da quest’altro crimine, quello della geoingegneria, per spiegarle con calma e in due minuti (prima non mi era mai capitato, si vede che Dio oggi ha voluto così, viste altre situazioni che stiamo affrontando con lei) la situazione dell’Europa, il fatto che “siamo rimasti solo noi a soffrire tanto” ma soprattutto che risorgeremo, io penso non troppo a lungo e quelli come lei avranno un compito importante, difficile, di aiutare la rinascita. Purtroppo i criminali sono qua, in Italia poi sono i peggiori anche perchè il sistema marcio ce l’ha particolarmente con noi, con quello che eravamo e che torneremo ad essere. Coraggio, non è facile e lo dico per situazioni dirette, ma ce la faremo!
Niente da aggiungere: chapeau!
Grazie Frank.
Buongiorno, Cesare. Dopo averti letto, mi lasci con questa MERAVIGLIOSA conclusione: “el Aviv sembra essere in preda a una delirante febbre imperialista” Non mi stancherò mai di ripetere i miei rinnovati ELOGI per il tuo lavoro perché mi lasci sempre DATI IRREFUTUIBILI che arricchiscono la mia MIGLIORE COMPRENSIONE di questa GEOPOLITICA così attaccata, così bastardizzata e così travestita allo stesso tempo. Grazie per il tuo spazio di ECCELLENZA. Un grande saluto da Mendoza, Argentina.
Grazie mille come sempre, Isabel.
Trump e gli emiri del golfo persico condividono la medesima visione, un’economia basata sulla produzione e sulla competitività, non sulla finanza speculativa; le divergenze però esistono e riguardano la lotta di classe e il conflitto sociale. Il sionismo americano sopravvive, si è spostato in Canada, nel Regno Unito e, ultimamente in Polonia
Il Canada non ha la struttura necessaria per dare influenza al sionismo, tantomeno ce l’ha il Regno Unito, Paese ancora più debole e in declino.
Bene, adesso che la cuspide e’ in declino speriamo che il prossimo tassello da fare cadere sia quello dell’Europa e del nostro paese, visto che tutto il centro della situazione e’ anche qui, sembriamo sempre gli ultimi, forse perché delle cose più importanti vogliono occuparsene alla fine?…… Speriamo di essere i prossimi….
Saluti.