Trump, la nazionalizzazione della FED e il colpo di grazia all’euro

25/07/2025

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Di Cesare Sacchetti

La visita non è stata affatto gradita.

L’attuale governatore della Federal Reserve Bank, Jerome Powell, non voleva che lo staff della Casa Bianca venisse in visita alla sede della banca centrale americana, e allora è venuto direttamente il comandante in capo, Donald Trump, che ha avuto in passato non pochI screzi contro l’attuale governatore.

Ieri se ne è avuto un altro esempio quando il presidente degli Stati Uniti, dopo che Powell ha negato che il conto della ristrutturazione della FED fosse lievitato oltre il budget previsto,  ha tirato fuori dalla tasca il conto con i numeri che smentivano il governatore della FED.

Trump mostra il “conto” a Powell durante la sua visita alla FED

Si potrebbe dire che quello di ieri è stato un avviso di sfratto a Powell perché Donald Trump da un po’ di tempo a questa parte ha mostrato molta insoddisfazione nei confronti di un governatore che continua a tenere alti i tassi e ad essere disallineato dalla politica economica dell’amministrazione Trump.

L’operazione che il presidente degli Stati Uniti sta portando avanti però sembra andare ben oltre la semplice nomina del governatore della più importante banca centrale al mondo.

Trump vuole mettere fine ad una policy che marcava una rigida linea di separazione tra il potere politico e quello monetario, una soglia che nessun altro presidente prima di lui aveva osato superare, salvo il compianto presidente Kennedy che aveva firmato un ordine esecutivo per consentire la creazione di dollari emessi direttamente dal Tesoro.

La guerra dei presidenti contro le banche

Si tratta di un conflitto che è parte della storia degli Stati Uniti sin dagli albori, quando i vari presidenti si sono dovuti tutti ritrovati a combattere delle guerre costanti con il “grande” potere delle banche e della finanza che hanno sempre cercato di controllare la creazione della moneta in America.

A scontrarsi per primo con tali poteri è stato il presidente Jackson che nel 1832  decise di mettere fuori legge la First United States Bank che si era arrogata il diritto di stampare moneta.

Il presidente americano era così fiero di essere riuscito a sconfiggere il cartello bancario che decise di far scrivere sulla sua lapide la frase “I beat the bank”, ovvero “ho sconfitto la banca”.

Stessa guerra si trovò a combattere un altro grande presidente americano quale Abraham Lincoln,  che aveva deciso di creare una moneta puramente statale, il cosiddetto greenback, emesso direttamente dal Tesoro, e che doveva essere stampata per consentire allo Stato di poter crescere e di creare così quei posti di lavoro necessari per il benessere di una nazione.

A distanza di più di un secolo, il presidente Trump si trova ancora una volta a combattere con il potere dell’alta finanza che nel 1913 ha partorito la creazione della Federal Reserve Bank.

Se si dà uno sguardo alla struttura organizzativa della FED si vedrà che essa non è direttamente nelle mani del governo americano, ma dalle varie filiali che la compongono, quale, ad esempio, la FED di New York, partecipata a sua volta dalle banche del settore privato.

Sono i “grandi” banchieri di Wall Street quali i Rockefeller, gli Schiff, i Kuhn & Loeb, i Vanderbilt, i veri proprietari di tale banca e tali verità sono persino contenute negli atti ufficiali del Congresso americano che discusse l’assetto proprietario della banca centrale americana.

Una nazione per poter essere realmente indipendente, deve avere la facoltà di stampare la sua moneta e deve poter controllare la sua banca centrale, senza la quale è impossibile fare una politica economica rivolta verso l’interesse nazionale.

Si spiega così, ad esempio, la crisi permanente che affligge l’eurozona ormai da più di 15 anni perché i Paesi che hanno adottato la moneta unica hanno rimesso la facoltà di stampare moneta alla BCE, un istituto di Francoforte partecipato dalle banche centrali nazionali dei vari Paesi europei, partecipate a loro volta da banche private che di fatto sono le vere proprietarie dell’Eurotower.

Donald Trump aveva molto bene chiaro tale concetto.

Sapeva sin dal primo istante che per restituire la piena sovranità al suo Paese avrebbe dovuto liberare la FED e mettere fine al “dogma” partorito verso la fine degli anni’70 dai Chicago Boys di Milton Friedman, economista padre del neoliberismo che ha stabilito la separazione tra il governo e la banca centrale.

Se ne sa qualcosa di tale politica proprio in Italia, laddove nel lontano 1981, l’allora governatore della Banca d’Italia, Carlo Azeglio Ciampi, e l’ex ministro del Tesoro, Beniamino Andreatta, decisero arbitrariamente di attuare il famigerato “divorzio”, privando così il governo della facoltà di monetizzare il proprio debito pubblico e abbassare i tassi di interesse.

Chi ha vissuto negli anni’80 ricorderà che in quel periodo storico i tassi sui titoli di Stato erano particolarmente alti, e ciò avvenne proprio perché il ministero del Tesoro non poteva più ordinare a Bankitalia di comprare i bot al tasso indicato dal governo.

A decidere in quel preciso istante i tassi di interesse non era più lo Stato, ma il mercato, e il passaggio che si è verificato in quella fase ha di fatto finanziarizzato l’economia e provocato la cosiddetta impennata del debito pubblico, che non è schizzato in alto per le tangenti o per Bettino Craxi, come vuole la vulgata di Marco Travaglio, ma per una decisione scellerata di Andreatta e Ciampi, entrambi membri del gruppo Bilderberg.

Il presidente Trump conosce bene tali meccanismi e tali politiche monetarie.

Trump vuole arrivare alla fine del precedente status quo, e per poterlo fare ha già sfruttato alcune situazioni quali la farsa pandemica che era state concepite espressamente per restringere la sovranità dei governi nazionali e giungere al successivo Grande Reset di Davos.

Nel 2020 infatti, all’alba dell’inizio della “pandemia”, il presidente ricorse a degli strumenti legislativi noti come Special Purpose Vehicle (SPV), che in pratica consentono al governo di controllare la Federal Reserve Bank alla quale venne ordinato di stampare moneta per dare ossigeno alle piccole e medie imprese americane, il cuore pulsante della classe media americana, schierata in larghissima parte con Trump.

Il presidente allora non fece altro che creare un precedente.

Il governo degli Stati Uniti per la prima volta da molti anni ordinava di stampare moneta per sostenere l’economia reale del Paese, piuttosto che fornire liquidità illimitata ai vari finanzieri di Wall Street, che nel 2008 trascinarono gli Stati Uniti e il mondo verso la famigerata crisi dei mutui subprime.

Trump oggi sembra intenzionato a chiudere il cerchio.

A farlo capire è stato proprio il suo segretario al Tesoro, Scott Bessent, che apparso sugli schermi televisivi della CNBC, ha detto esplicitamente che l’amministrazione Trump vuole esaminare a fondo la Federal Reserve Bank, una dichiarazione che sembra celare l’intenzione di andare verso il completo controllo della FED da parte del governo americano.

L’intervento di Scott Bessent

A intuire che il presidente Trump è intenzionato a mettere fine all’indipendenza della Federal Reserve Bank sono stati già i vari apparati da sempre nemici del presidente, quali, ad esempio, il Council on Foreign Relations, che, allarmato,  scrisse l’anno scorso che Donald Trump aveva a disposizione uno stratagemma legale per controllare il Comitato federale del mercato aperto (FOMC) della FED, ovvero l’organismo della banca centrale americana che controlla sia i tassi di interesse, sia l’offerta di moneta da immettere sul mercato.

A comporre il FOMC sono 12 membri, 7 di nomina presidenziale, 1 che è il presidente della FED di New York, e altri 4 membri che appartengono invece alle altre 11 succursali regionali della Federal Reserve.

A presiedere tale comitato è Jerome Powell, che detiene anche la carica di governatore della FED.

Secondo alcune interpretazioni giuridiche, Trump potrebbe licenziare Powell, privandolo della carica di governatore, ma Powell resterebbe però presidente del citato FOMC, anche se dal 1935 in poi il presidente della FED è stato il presidente del FOMC, e non c’è mai stata una separazione dei due ruoli, cumulati nella stessa persona.

Se quindi Trump decidesse di mettere fine anticipatamente al mandato di Powell, che scade a maggio del 2026, appare improbabile che questi possa conservare l’altra carica di presidente del FOMC, rendendolo di fatto un membro zoppo della FED, senza i pieni poteri di cui disponeva in precedenza.

Appare chiaro che Trump proprio con la sua visita alla sede della FED si stia muovendo per aumentare la pressione su Powell e indurlo a dimettersi.

Il presidente degli Stati Uniti sembra avere un obiettivo molto chiaro e ben definito.

Vuole mettere fine alla stagione della indipendenza della banca centrale americana e vuole far sì che sia il governo degli Stati Uniti a decidere i tassi di interesse e quanta moneta immettere nel sistema.

Si può vedere quindi come il presidente americano sia lontano anni luce dai dettami del neoliberismo che invece vogliono togliere al governo la facoltà di controllare e gestire la banca centrale.

Le banche centrali sono state di fatto privatizzate per una ragione precisa.

I vari economisti della scuola di Chicago, come Milton Friedman, che hanno partorito tali idee volevano togliere agli Stati la facoltà di stampare moneta e assegnare così ai mercati il controllo dell’economia e di nazioni intere.

Trump e il colpo di grazia all’euro

Nell’agenda di Trump non c’è però solo la nazionalizzazione della FED.

A Francoforte, la sede della BCE, nelle varie banche europee inizia a manifestarsi una certa preoccupazione perché il presidente degli Stati Uniti vuole cambiare rotta anche per ciò che riguarda il prestito di dollari erogati a favore della stessa BCE e delle varie banche dei Paesi europei.

La sede della BCE

In passato, negli anni dell’amministrazione Obama, ad esempio, o dell’amministrazione Bush, il problema nemmeno si poneva.

Se c’era da finanziare la BCE, la Federal Reserve Bank non esitava a prestare dollari all’istituto di Francoforte e alle banche europee che avevano bisogno della moneta americana per onorare determinate obbligazioni e debiti garantiti in quella moneta.

L’era di Donald Trump ha messo fine alle certezze del passato, e adesso i vari analisti della BCE stanno già iniziando ad eseguire i cosiddetti stress test che prevedono uno scenario di chiusura dei rubinetti da parte della FED nei prossimi mesi.

Gli Stati Uniti sono chiaramente intenzionati a recidere ogni legame con l’Unione europea.

Se è fuori di dubbio che l’UE è stata voluta e finanziata sin dal principio dai vari ambienti dello stato profondo americano nell’ottica della costruzione di una governance globale, il presidente Trump, oggi, non ha più alcuna intenzione di fornire liquidità illimitata all’Unione europea, una organizzazione da lui giudicata ostile e che gode di un forte surplus commerciale verso gli Stati Uniti.

I dazi sono dunque soltanto la prima parte della strategia di Trump, che, nel “migliore” dei casi porterebbe ad un 15% di tassazione sulle esportazioni europee negli Stati Uniti, e, nel peggiore, una tassazione del 30%.

Trump agisce chiaramente per togliere a Bruxelles l’ossigeno americano di cui ha bisogno per poter esistere da un punto di vista commerciale e monetario.

Le dichiarazioni dei vari “leader” europei che vagheggiano, o delirano, di eserciti comuni europei si scontrano con la realtà dei fatti, che ribadisce ancora una volta una semplice evidenza.

L’Unione europea non ha la struttura per poter esistere senza il sostegno economico, monetario e militare di Washington.

La nuova politica estera di Washington ha messo a nudo tutte le fragilità e velleità di Bruxelles, che in autunno rischia di trovarsi di fronte ad una grave crisi commerciale e monetaria.

Se si chiude il mercato di sbocco americano, e se si chiude il rubinetto della FED, le pressioni sull’Unione europea e sulla moneta unica saranno fortissime.

L’euro resta una moneta forte nel cambio ma intrinsecamente debole nella sua struttura.

Nonostante il dollaro continui a perdere lo status di moneta di riserva globale, l’euro non riesce a guadagnare terreno.

I mercati sono in attesa.

Sanno che l’euro è una moneta privata non garantita da uno Stato che non può resistere a lungo, soprattutto senza il supporto degli Stati Uniti.

Sin dal principio l’euro è stato costruito così, ovvero come un castello senza fondamenta.

A Maastricht, nell’infausto 1992, crearono una banca centrale che non garantiva il debito pubblico degli Stati e che non finanziava il deficit dei vari governi, perché si voleva creare una austerità permanente che avrebbe a poco a poco spogliato completamente le nazioni delle loro ricchezze per consegnarle nelle mani della finanza privata.

Tale crisi permanente sarebbe dovuta servire in un secondo momento per fare il passo successivo, quale quello della costruzione degli Stati Uniti d’Europa, dotati di una vera banca centrale, ma i sogni di gloria degli eurocrati sono andati in fumo una volta che gli Stati Uniti hanno iniziato a tagliare i ponti con l’Unione europea.

Donald Trump ha messo infatti fine a 80 anni di politica estera Euro-Atlantica.

Ad oggi, l’ordine liberale internazionale partorito dalla seconda guerra mondiale è già finito.

Non esiste più Bretton Woods che assegnava al dollaro lo status di valuta di riserva globale, poiché Washington non è affatto interessata ad avere in tasca una valuta pesante che la costringe ad avere un enorme deficit commerciale con il resto del mondo.

Non esiste nemmeno più la NATO il cui bluff di promettere a Trump il contributo del 5% del PIL a favore del Patto Atlantico verrà presto smascherato una volta che i parlamenti nazionali saranno chiamati a discutere i bilanci da approvare, senza dimenticare che i Paesi della NATO non riuscivano a onorare nemmeno il precedente impegno del 2%, figurarsi quindi quello del 5%.

Gli Stati Uniti stanno, in altre parole, staccando la spina all’Unione europea che nel prossimo autunno si troverà praticamente soffocata dalle pressioni americane e alle prese con delle gravi crisi interne politiche ed economiche.

Non si può quindi non giungere ad una conclusione logica e scontata. L’apparato comunitario non può farcela.

Non può sopravvivere a questa fase della storia e non può sopravvivere nello scontro con Washington.

Il trattato di Maastricht quest’anno ha compiuto 33 anni di vita, un numero alquanto caro alle massonerie parte integrante di questo sistema.

Di questo passo, non c’è alcuna certezza che arrivi a compierne 34.

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12 Commenti

  1. Alice

    Ciao Cesare,

    Portare al 15% i dazi, dall’iniziale 30%, sospenderli e poi riannunciarli, ecc…

    Come schema che disegno generale segue? A volte è difficile dal basso star dietro a trame più complicate e apparentemente contradditorie

    Un caro e stimato saluto

    Alice

    Rispondi
    • La Cruna dell'Ago

      Salve Alice, è lo schema di chi ha in mano il pallino del gioco. Trump sa benissimo che l’UE èin posizione di debolezza e tira la corda per costringerla ad accettare le sue condizioni. Tieni comunque presente che il 15% non è ancora sicuro perché Trump non ha dato il suo benestare. Un caro saluto e a presto.

      Rispondi
      • Alice

        Se posso “uscire dal seminato”, per il pellegrinaggio in occasione del giubileo, oltre alle sette basiliche, hai consigli di itinerario?
        Andrò a breve, ho aspettato appositamente l’intronizzazione del nuovo papa.

        un grande abbraccio,
        Alice

        Rispondi
        • La Cruna dell'Ago

          Se vuoi chiedo ad uno dei miei amministratori che sicuramente ti saprà rispondere meglio di me. 🙂

          Rispondi
          • Alice

            che gentile! Grazie

  2. Isabel.

    Buongiorno, Cesare. Sempre chiaro, conciso e perspicace nell’analizzare la genuflessione a cui siamo sottoposti dai satrapi di IERI, OGGI e SEMPRE. Leggerti significa per me non perdere di vista la bussola e la torcia che mi permettono di sfatare le bugie della stampa e della televisione bastarde, che mascherano sempre la verità sotto le spoglie della MANIPOLAZIONE per rendere imbecilli i cittadini comuni. Grazie mille per il tuo continuo lavoro per sollevare il velo dell’ignoranza. Un grande saluto da Mendoza, Argentina.

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  3. Silvio

    ovviamente in mezzo a tutto lo sconquasso che seguirà ,verrà salvata/tenuta in piedi l’Italia ,che è pedina molto importante per gli USA ,ma la domanda rimane ,una volta finito Trump ,che ne sarà ? non è che poi ritornerà tutto come prima? …spero proprio di no

    Rispondi
    • La Cruna dell'Ago

      Nell’ottica di un ritorno agli Stati nazionali, non ci saranno più “pedine”. Non è questo ciò che vuole Trump.

      Rispondi
  4. Gabriele

    Ottimo articolo, ottime notizie.
    Il trattato di mastrict e’ stato istituito il primo novembre 1993 o il 7 novembre 1992, adesso non ricordo di preciso,comunque se dice che quest’ anno compie 33 anni vuole dire che e’ stato creato nel 92′?
    Cioè praticamente sta dicendo che tra un anno non esisterà più l’ UE, magari,volesse il cielo,speriamo!

    Adesso però rimane in bilico la storia file epstein, quali saranno i modi per fare uscire tutto visto che il giudice ha già sbarrato la strada?

    Ci vorrebbe tutto insieme, Da una parte chiudere i rubinetti alla bce, dall’ altro i dazi( spero il 30 perché il 15 per cento non e’ altissimo), e l’ altro colpo a tutti quanti con la verità sui file, cioè un terremoto tutto insieme….. Magari….

    Pensa che la Russia sia in attesa del colpo Trumpiano contro la bce per dare il colpo di grazia finale e definitivo dall’ altra parte al regime di Kiev? Putin si sta muovendo lento nell’ultimo periodo o sbaglio? Sento parlare pochissimo ormai da quelle parti.

    Rispondi
  5. Marcello Piras

    Ottimo articolo come sempre. Una piccolissima precisazione. Dove c’è scritto “Non si può quindi giungere”, la frase corretta dovrebbe essere “Non si può quindi NON giungere”.

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