di Cesare Sacchetti Lo sguardo di Ursula Von der Leyen è apparso contrito, mortificato e fisso a...
La svendita dell’Iveco, l’IRI e le similitudini con l’Italia liberal-massonica prima del fascismo
Di Cesare Sacchetti
A leggere la notizia della (s) vendita della Iveco, gioiello dei furgoni nato negli anni’70 su iniziativa dell’ingegnere Bruno Beccaria, si resta attoniti.
La famigerata famiglia Elkann ha chiuso la trattativa con gli indiani di Tata nel giro di due sole settimane, dei tempi che forse potrebbero andare bene per vendere un motorino, ma non di certo un’azienda così importante e strategica per l’Italia.
Verso la metà di luglio, è uscito dalle nebbie uno dei ministri invisibili del governo Meloni, Adolfo Urso, che dichiarava che l’esecutivo avrebbe vigilato sull’operazione e, qualche anno addietro, nel 2021, si sarebbe dichiarava favorevole ad esercitare la facoltà del cosiddetto golden power, ovvero la possibilità per lo Stato di mettere il veto sulla vendita di una determinata azienda e subentrare al privato come nuovo proprietario.
Una volta si sarebbero chiamate semplicemente nazionalizzazioni, ma nei tempi dell’epoca post- Maastricht, tale termine è stato sottoposto ad una sorta di damnatio memoriae ed è stato iscritto nel registro delle parole proibite dagli ordoliberisti europei.
A Bruxelles, le cose però non funzionano così linearmente.
Esiste una gerarchia nell’apparato comunitario, e l’Italia fa parte suo malgrado dei figli del dio minore di Maastricht, quelli che non vedono affatto di buon occhio il Paese, perché l’Unione, qualora non lo si fosse ancora compreso, è di natura protestante e massonica e nutre un forte odio per il cattolicesimo e il Sud Europa, Roma in particolar mondo, data la sua importanza per la cristianità mondiale.
Se l’Italia fosse stata la Germania o la Francia, allora una eventuale azione di governo per nazionalizzare l’Iveco o una delle altre aziende perse in 24 anni di moneta unica, non ci sarebbe stata nessuna reprimenda da parte della Commissione europea, ma il problema qui non si pone nemmeno, perché non esiste proprio un governo e una classe politica che soltanto pensi di fare una cosa simile.
A Roma, ci sono dei camerieri di sala.
Dall’estero, gli dicono come disporre le posate sul tavolo, e poi una volta eseguiti i vari ordini, lo straniero di turno si porta via l’argenteria e il “presidente del Consiglio” rimonta sul suo aereo e inizia di nuovo i suoi interminabili viaggetti in giro per il mondo, pur di non mettere la faccia su nulla.
Giorgia Meloni è il presidente che non c’è. Fate voi, dice lady Aspen, ma non chiamatemi in causa perché io non mi prendo nessuna responsabilità.
Si sta vedendo di conseguenza tutto il disastro del modello dell’ordoliberismo nato sulle sponde del lago di Maastricht nel 1992 che ha difatti trasformato lo Stato in un simulacro giuridico occupato da una classe politica completamente eterodiretta dall’estero.
Le origini della bugie neoliberali
Il motto del meno Stato, più mercato iniziato a diventare più insistente dagli anni’80 in poi non serviva altro che a questo.
Uomini come Milton Friedman, fondatore della scuola di Chicago, e membro di un esclusivissimo club economico quale la Mont Pelerin Society, molto vicina ad ambienti massonici, servivano ad inculcare nella mente delle masse l’idea, falsa, che lo Stato era il loro nemico e che ci si dovesse schierare con il privato ad ogni costo, anche quando questo depredava i beni dei cittadini.

MIlton Friedman
A favorire l’avvento della stagione delle privatizzazioni sono stati certamente i vari think tank neoliberali che hanno a poco a poco occupato le varie università italiane e hanno iniziato a mettere nel mirino alcuni economisti della scuola keynesiana, come Federico Caffè, scomparso misteriosamente nel 1986, e probabilmente vittima di un rapimento e uccisione da parte di quei poteri forti, gli incappucciati li chiamava il professore in riferimento alla loro appartenenza massonica, che volevano togliere dalla scena qualsiasi voce dissenziente.
Si provi per un istante a immaginare cosa sarebbe successo non solo se il minuto professore pescarese fosse stato ancora presente nell’anno della prima svendita industriale pubblica del 1992, ma ancora oggi nei tempi dell’euro.
Forse non avrebbero potuto esserci per motivi anagrafici, visto che il padre del keynesismo italiano era nato nel 1914, ma è fuori di dubbio che se il professore fosse stato presente negli anni 2000 e magari nel 2011, l’anno del golpe che portò al potere l’uomo del Bilderberg, Mario Monti, la sua voce sarebbe stata a dir poco scomoda, ingombrante.

Il professor Federico Caffè
Al posto della voce del professore si sente invece uno scomposto chiasso di servilisti che scrivono sulle pagine degli organi di stampa, che ancora oggi non provano nessuna vergogna a tessere le lodi dell’Unione, si veda il famigerato Romano Prodi, e a dire che l’euro avrebbe salvato l’Italia.
Ad oggi, fare una affermazione simile significa soltanto dimostrare tutta la propria sottomissione ai predoni della finanza che hanno saccheggiato l’Italia, perché anche il comune uomo della strada che ricorda gli anni’80 e ’90 ricorda come intorno a lui all’epoca ci fosse prosperità e ricchezza, mentre oggi c’è soltanto un deserto economico e morale.
Il modello dello Stato imprenditore figlio del fascismo
C’è poco da fare, l’Italia è invisa, odiata dal potere protestante e massonico del Nord-Europa, ma non da oggi, da più di 100 anni, già ai tempi del tanto vituperato fascismo che è stato il movimento politico che ha gettato le basi per la futura ricostruzione dell’Italia.
Sono in pochissimi a scriverlo perché affermare questa semplice verità equivarrebbe ad essere iscritti nel libro nero dell’antifascismo di massonica memoria, eppure se si vuole cercare una via futura per la rinascita del Paese, non si può non prendere in considerazione il modello che tanta prosperità donò all’Italia.
Sulle colonne del Popolo d’Italia, Mussolini scriveva il 4 giugno del 1919 che il potere della finanza e del grande capitale, le cosiddette plutocrazie, era in mano a famiglie di origine ebraica quali gli Schiff, i Rothschild e i Guggeheim che avevano di fatto iniziato a trasferire il potere dalle mani delle nazioni a quelle del capitale.
Il conflitto moderno tra Stato e plutocrazia nasce dopo la rivoluzione francese.
Ad aprire il terreno alla stagione del potere della finanza è il sanguinario processo del 1789, poiché esso si disfa delle monarchie e lascia il posto ai regimi liberali che sono esattamente quelli che la massoneria desiderava porre al potere per effettuare il passaggio di consegne da Stato a oligarchie.
A riconoscerlo, in un raro momento di onestà, è stato persino il fondatore del comunismo, Karl Marx, che nel manifesto del partito comunista pubblicato nel 1848, scriveva che il potere del capitale era tenuto a freno dalla vecchia struttura ereditata dal Medioevo, travolta dai sanguinari rivoluzionari del 1789 in Francia.
Se si volesse quindi individuare una data di nascita dell’era della finanza, non si può non farlo con l’anno della rivoluzione francese, per tutte le ragioni citate.
Marx però nella sua foga di voler fustigare la borghesia, “dimenticava” sempre di citare nei suoi scritti il nome della famiglia Rothschild a differenza invece di Mussolni che lo scriveva a chiare lettere nei suoi articoli.
Scrivere del capitale senza parlare della potentissima famiglia di Francoforte, sarebbe come provare a raccontare la storia dell’Antica Roma senza parlare di Giulio Cesare, Augusto e Nerone.
Sarebbe come strappare delle intere pagine da un libro di storia che impediscono di capire come si è arrivati a un determinato punto.
A Marx, non interessava toccare tale questione perché il comunismo non è un fenomeno di origine spontanea, come si pensa, ma aveva già ricevuto dei potenti appoggi dalla massoneria che aveva tutto l’interesse ad avvelenare l’Europa attraverso una ideologia materialista che scacciava Dio dalla storia e che assegnava al denaro tutto il potere di decidere il corso degli eventi.
Alla massoneria tale linea di pensiero andava benissimo, perché la libera muratoria si propone lo stesso fine, ovvero quello della scristianizzazione dell’Europa e la conseguente nascita di una religione laica, che alla fine invece si rivela propedeutica per l’instaurazione di un disastroso neopaganesimo che ha seminato una ondata di degenerazione morale come poche volte si era visto nella storia.
Il fascismo parte invece da premesse interamente diverse.
Al fascismo non interessa costruire un modello economico sociale che annienti la proprietà privata perché esso avrebbe finito soltanto con l’aggravare le sofferenze delle persone semplici, su tutti gli operai.
Al fascismo interessava costruire un equilibrio tra pubblico e privato che consentisse ai vari piccoli e medi imprenditori di poter aprire le loro imprese e prosperare senza essere soffocati da una tassazione usuraia come quella contemporanea, ma al tempo stesso interessava costruire una forte industria pubblica che presidiasse gli interessi pubblici nazionali.
Tale necessità si è fatta vitale quando, dopo la crisi del’29, che aveva portato al fallimento di molte banche, allora detentrici di quote di società industriali, il governo Mussolini si trovò di fronte al dilemma di escogitare una soluzione per non impedire il fallimento di molte imprese.
La soluzione non era altro che l’intervento diretto dello Stato in economia, attraverso la creazione di società pubbliche in grado di dare ossigeno ad una economia messa in ginocchio dai vari speculatori della finanza di Wall Street.
Si trova qui dunque la genesi dello Stato imprenditore di cui continuò a parlare un ex presidente dell’IRI negli anni’50, Giuseppe Petrilli, il quale spiegava che questa scuola di pensiero era la più vicina alla dottrina sociale della Chiesa, introdotta magistralmente dal predecessore dell’attuale papa, Leone XIII.
Non ci sono certezze che Benito Mussolini, ateo per larga parte della sua vita fino a trovare apparentemente la conversione negli ultimi anni della sua esperienza terrena, abbia letto la enciclica di papa Leone XIII, la Rerum Novarum, ma appare pacifico che la via da lui seguita negli anni’20 e ’30 è del tutto simile a quella che tracciava papa Pecci.
Mussolini nel 1925
Una volta che il fascismo si instaura al potere, si rende conto che il governo non può avere alcuna sovranità se prima lo Stato non ha la facoltà di creare liberamente la sua moneta, e allora tale esclusività non esisteva perché ad avere tale potere erano diverse banche private.
Si videro già anni prima i frutti di tale scellerata privatizzazione, quando nel 1893, all’epoca dello scandalo della banca romana, emerse in pratica che i vari politici, tra i quali Giolitti e Crispi, prestavano i soldi a loro stessi attraverso tale istituto bancario che aveva il potere di creare moneta.
Si stampava quindi moneta, in maniera non differentemente da come faceva Totò in “La banda degli onesti”, soltanto che a farlo erano i politici per il loro personale beneficio, e non per quello del Paese.
Il malaffare esplode perché le premesse fondative dell’Unità d’Italia non sono state quelle che avrebbero dovuto essere, ovvero massoniche e con il solo scopo di colpire la Chiesa e di scristianizzare un Paese intero.
A dominare interamente l’Italia post-unitaria dal 1861 al 1924 è questa commistione tra massoneria e capitale che crea una vasta rete di corruttela nelle istituzioni.
Mussolini intuì che il fascismo non avrebbe mai potuto affermarsi senza prima spezzare tale duopolio, e agisce esattamente su tali linee programmatiche.
Nel 1925, decide attraverso la legge di mettere al bando la frammassoneria, e ancora oggi è molto interessante leggere gli atti parlamentari della discussione che si tenne alla Camera in quell’occasione.
A opporsi, tra gli altri, c’era uno dei padri della sinistra comunista antifascista, Gramsci, che mentre cianciava di lotta a favore del proletariato si opponeva alla unica azione che sarebbe stata utile in vita sua, quella appunto di appoggiare una legge che toglieva di mezzo l’avamposto prediletto della finanza internazionale, appunto la massoneria.
Gramsci accusava il fascismo di contiguità con il capitale, nonostante a permettere la rivoluzione comunista nel 1917 fosse stato proprio il capitale da lui sulla carta condannato, ma tale contraddizione difficilmente desta sorpresa se si tiene a mente il fatto che le radici del comunismo sono state poste nelle logge massoniche e nelle banche d’affari dei Rothschild che misero a disposizione i loro capitali per finanziare le varie internazionali socialiste.
Si ha un’ulteriore conferma della perfetta contiguità tra comunismo e capitale negli anni successivi del dopoguerra, quando dopo un iniziale contrasto, il partito comunista decise di candidare tra le proprio fila Altiero Spinelli, il padre del famigerato manifesto di Ventotene, che voleva costruire gli Stati Uniti d’Europa, su impulso dei soliti circoli globalisti quali il Bilderberg e l’istituto degli affari internazionali fondato assieme a Gianni Agnelli, altro mondialista di assoluto piano.
Mai per un solo istante il comunismo ha difeso la sovranità del Paese.
La sua esistenza è trascorsa all’insegna dell’erosione della sovranità, riempiendosi la bocca di parole quali “proletariato” e “operai” mentre consegnava entrambi ai loro carnefici d’Oltralpe.
Mussolini è ancora oggi uno spauracchio per tali ragioni.
Il suo governo non era alle dipendenze di questi poteri, e se c’è un errore che lo statista commise fu certamente quello di allearsi con il nazismo per poi farsi trascinare nel disastro della seconda guerra mondiale, dalla quale invece bisognava stare lontani ad ogni costo.
Il miracolo economico del’60 figlio dell’IRI
Non si può comunque negare una pacifica evidenza. Gli anni della rinascita del secondo dopoguerra sono stati possibili soltanto grazie alla preservazione del modello economico dello Stato imprenditore.
Se si fossero seguiti i parametri di Maastricht o piuttosto il patto di stabilità interno, l’Italia ancora oggi sarebbe in mezzo alle macerie, come capita di vedere, ad esempio, in alcuni siti colpiti dai vari terremoti, nei quali non si nemmeno tolte di mezzo le rovine, perché lo Stato non fa deficit e non stampa la sua moneta.
La rinascita fu possibile solo grazie allo Stato imprenditore dentro il quale c’era dentro una quantità di eccellenze da far paura.
In esso si trovavano l’Alfa Romeo, la STET, l’Alitalia, Finmeccanica, Fincantieri, Alemagna, Motta, Cirio, le Autostrade e le banche di interesse nazionale quali il banco di Roma, il Credito Italiano, e la Banca Commerciale Italiana.
L’intero cuore pulsante economico ed industriale dell’Italia era lì, e soltanto lì c’era il segreto del miracolo economico italiano e della quarta potenza industriale al mondo.
All’inizio degli anni’60, l’IRI era divenuto uno dei gruppi industriali più importanti al mondo perché l’idea partorita dallo statistico Alberto Beneduce negli anni’30 era quella di consentire allo Stato di diventare un imprenditore e investire nei settori strategici nazionali che non potevano crescere senza investimenti pubblici.
Alberto Beneduce
Dagli anni’90 in poi si è manifestato un processo di trasferimento di questa ricchezza, passata dalle mani pubbliche alle mani private.
Affermavano i neoliberali che lo Stato si sarebbe arricchito con le privatizzazioni, ma a vedere cresciuto il proprio portafoglio sono stati fondi quali BlackRock e Vanguard, nei quali ci sono i capitali dei Rothschild, del Rockefeller, e dei DuPont, dove oggi sono parcheggiate molte ex partecipazioni dell’IRI.
E’ improprio quindi definire il neoliberismo come una scuola economica.
Esso è soltanto un costrutto di pensiero partorito da economisti vicini alla finanza internazionale, quale il citato Friedman, per fornire le false premesse ideologiche “necessarie” a far credere che le privatizzazioni sarebbero state la panacea ad ogni male.
Oggi ci si ritrova sotto certi aspetti ad un punto della storia non molto dissimile da quello che precedeva l’Italia pre-fascista in mano a consorterie liberali e massoniche.
La corruzione, allora come oggi, impera. Non c’è una vera classe dirigente nel senso autentico del termine poiché al potere ci sono soltanto dei rappresentanti dell’alta finanza e delle logge.
La principale differenza tra allora ed oggi è che Londra non è più la capitale dell’anglosfera e che il suo successore, Washington, non è interessato più a garantire nulla ma vuole soltanto invece mettere fine alla governance mondiale.
L’attuale sistema si sta inevitabilmente disgredando dal momento che sono venute meno le condizioni politiche internazionali che consentivano la sua esistenza. Ci si trova nella fase terminale della democrazia liberale, quella nella quale, come si vede, si cerca di aumentare il proprio bottino prima del crollo generale della putrescente Seconda Repubblica.
L’Italia può ancora farcela se rientra in possesso degli strumenti economici e monetari indispensabili, anche se è impossibile non costatare come questa classe politica di lestofanti continui a prendere prebende varie in cambio della svendita di altri gioielli italiani.
Questo manipolo di manigoldi sarà presto un ricordo dopo che ormai sono stati abbandonati dai loro vecchi referenti, ma sarà impossibile ripartire un domani senza tenere a mente un principio essenziale.
Non ci sarà rinascita senza Stato imprenditore, e non ci sarà tale passaggio se prima non si metterà al bando la massoneria.
Fino a quando alla massoneria sarà consentito di occupare i vertici della cosa pubblica, la cosa pubblica non sarà appunto pubblica, ma massonica.
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Stiamo andando incontro ad una disfatta totale, e sembra che nessuno se ne accorga.
Abbiamo il ns orticello, e ci stiamo abbastanza bene.
Su questo si poggia il nazionalismo italiano, solo quando arrivano le bombe in casa ,allora ci svegliamo partigiani.
Partigiani si ma di quale parte???
Vorrei far notare la sua quasi necessità di attaccare sempre la Massoneria in generale quando, invece, dovrebbe parlare di logge deviate e coperte, che nulla hanno di massonico bensì di ndrangnetiano o piduistico. Le consiglierei di usare l’aggettivo “deviata”prima del nome. Buona vita !
Assolutamente no. È proprio la prima cosa da non fare perché vuole far credere che ci sia una massoneria non deleteria. La massoneria è tutta deviata. Lo è per sua natura.
“La principale differenza tra allora ed oggi è che Londra non è più la capitale dell’anglosfera e che il suo successore, Washington, non è interessato più a garantire nulla ma vuole soltanto invece mettere fine alla governance mondiale.”
Non è proprio così. Londra ha ancora, nonostante tutto, un livello di influenza altissimo e Washington non vuole mettere fine alla “governance mondiale”, semplicemente deve cercare di uscire dal pozzo nero nel quale si è infilata seguendo dopo aver seguito alla lettera, per 50 anni, le indicazioni dei neoliberisti; che sono ancora molto forti su entrambi i fronti DEM e REP. Washington non ci riuscirà e gli US sono destinati a ricoprire un ruolo di secondo piano: recuperare 50 anni di politiche insensate, richiederebbe investimenti importantissimi, da parte dello Stato, investimenti che non possono più fare, perché sono economicamente morti. Possono solo provare a rifare i pirati e, come al solito, rubare agli altri (vedi Europa in primis), ma non succederà: la UE non ha soldi propri, dovrebbe imporre tasse inaccettabili e crollerebbe tutto il sistema. Amen.
È così. Londra ha un potere irrisorio rispetto al secolo scorso. Su Washington continui a fare un’analisi viziata, frutto di una tua mancanza di lucidità e obiettività sulla questione. Persino i vari think tank mondialisti hanno dovuto ammettere che Trump vuole la fine della governance globale. Se non si comprende questo punto, non si capisce niente del resto.
Articolo decisamente controcorrente e interessante. Complimenti!
Per quanto riguarda Marx, era SICURAMENTE un massone (come Gramsci, un livello 33) e fu allevato, istruito e mantenuto dalla famiglia Oppenheim, tedeschi e massoni; non ricordo la loggia, dovrei ritrovare alcuni scritti “antichi”. Senza di loro avrebbe dovuto lavorare e non avrebbe mai avuto il tempo di “tradurre e scrivere” ciò che Mr. Oppenheim gli raccontava. A molti sfugge, ma nella vecchia URSS si festeggiava, come creatore del comunismo, non Marx, ma Oppenheim, che aveva una sua festa dedicata.
Salute salute salute
Ottimo tutto l’articolo.
“””Non ci sarà rinascita senza Stato imprenditore, e non ci sarà tale passaggio se prima non si metterà al bando la massoneria.
Fino a quando alla massoneria sarà consentito di occupare i vertici della cosa pubblica, la cosa pubblica non sarà appunto pubblica, ma massonica.”””
Parole Sante!
Aggiungo anche che ai tempi pre-illuminismo esistevano geni incredibili, ho visto delle opere di pittori italiani fatte a quei tempi, opere d ‘arte o sculture che non si comprende come facevano a fare(erano molto più evoluti di oggi senza tecnologia e varie seghe mentali varie), c’erano geni come platone,Pitagora,aristotele,Ippocrate,
Leonardo da Vinci, Dante ecc…oggi nessuno sarebbe in grado di fare ciò che facevano loro, i geni esistevano nel medioevo e non adesso che sono rincoglioniti su tablet, cellulari e videogiochi e musica spazzatura…..per andare avanti dobbiamo tornare indietro, parlano tanto di progresso “umano” ma quale progresso che l ‘umanità e’ divenuta un’ accozzaglia di zombi che camminano….
La Massoneria fu una cosa “buona” solo per il paese dove nacque, cioè la gran bretagna, e anche li fino ad un certo punto. La politica della Gran bretagna è sempre stata rivolta ad ottenere all estero cio che la propria terra non poteva ottenere. . Sotto scrivo tutto quello scritto, mi rimane un dubbio: come fu possibile che un gruppo di usurai tedeschi Askenaziti , incrociati pare con usurai di origine Veneziana , abbiano fatto alla fine del settecento il salto di qualita , fino ad essere determinanti nella Banca d Inghilterra, finaziare rivoluzioni, controllare , assieme ad altri la finanza mondiale? Ora sembrano in crisi, grazie al fatto che Cina , Russia e in parte l India attuano proprio le stesse politiche di intervento dello Stato che l Italia attuo negli anni 60 e 70…Non vedo possibilita al momento se non nel sorgere di forze politiche sane al posto di questi maggiordomi . Ma se io e alcuni di voi fondassimo , non dico un partito ma anche solo un club di pesca con la mosca piuttosto che di pesca col verme, state certi che arriverebbero dei sobillatori a controllare cosa succede e in men che non si dica si verrebbe zittiti, tale è il controllo su questo disgraziato paese
Mayer Amschel aveva già accumulato una notevole fortuna perché gestiva le finanze del Langravio d’Assia.