di Cesare Sacchetti Se lo scorso venerdì a Roma non c’è stata una strage, lo si deve probabilmente...
I documenti vaticani: Bergoglio e Ratzinger volevano entrambi debellare la resistenza al Concilio Vaticano II
Di Cesare Sacchetti
Sono usciti così, inaspettati, segno che forse qualcuno dall’interno del Vaticano voleva far conoscere determinate verità.
Sono i documenti pubblicati dalla giornalista americana Diane Montagna sul controverso motu proprio, Traditiones Custodes, il cui nome è già un ossimoro se si considera il contenuto del documento di papa Francesco.
Nel 2021, dopo uno dei primi ricoveri di Bergoglio, forse proprio perché conscio del poco tempo a disposizione, il papa venuto dalla fine del mondo aveva deciso di restringere, se non di vietare espressamente, la celebrazione del rito antico, il cosiddetto Vetus Ordo.
Alcuni preferiscono chiamarla, impropriamente ad avviso di chi scrive, messa in latino ma limitare il rito antico soltanto all’aspetto linguistico appare fuorviante perché la natura della messa di sempre è radicalmente differente dal Novus Ordo, promulgato da papa Paolo VI dopo la fine del Vaticano II.
La rivoluzione nella Chiesa: il Concilio Vaticano II
Ad esprimere delle perplessità sul Novus Ordo all’epoca erano stati già due eminenti porporati della Chiesa quali i compianti cardinali Ottaviani e Bacci che decisero di indirizzare nel 1969 a papa Montini un breve saggio intitolato “Breve esame critico del Novus Ordo Missae”.
Il cardinal Ottaviani, allora a capo della Congregazione per la Dottrina della Fede, era certamente uno dei cardinali meno entusiasti del Concilio Vaticano II, tanto che già sin dalle prime battute del processo conciliare affermava che sperava di morire prima della fine del Vaticano II per restare cattolico.
Il cardinale Alfredo Ottaviani
Ottaviani aveva certamente intuito che nel cuore della Chiesa era in corso una vera e propria rivoluzione, un processo di democratizzazione e di secolarizzazione che aveva portato a dire ad uno degli entusiasti del Concilio, quale il cardinale belga, Suenens, che il Vaticano II rappresentava un vero e proprio 1789 per la Chiesa Cattolica.
I pilastri della Chiesa vengono scossi dallo spirito ecumenico del documento conciliare del 1964 Lumen Gentium, secondo il quale la strada per la salvezza non passava più esclusivamente dalla fede cattolica, ma essa era raggiungibile e percorribile anche attraverso altre vie, persino a quella della religione ebraica, che ha invece rinnegato e crocefisso Cristo.
Se si afferma che i documenti del Concilio hanno partorito una nuova religione, difficilmente si può essere smentiti, soprattutto se si guarda ad un altro di questi quale Nostra Aetate, nel quale si afferma sostanzialmente che il popolo ebraico non era più responsabile di deicidio, e che gli ebrei non dovevano considerarsi un popolo maledetto da Dio, ma uno invece che non aveva mai perduto l’intimo legame con il Padre, nonostante la crocefissione di Cristo, la seconda persona della Trinità.
Nasce, in pratica, a tutti gli effetti una Chiesa profondamente diversa che non segue più i dogmi e gli insegnamenti del suo magistero dei precedenti 19 secoli, ma si adatta allo spirito dei tempi moderni, fa sua la dichiarazione dei diritti universali delle Nazioni Unite, l’archetipo del governo unico mondiale, e prende persino istruzioni, o meglio ordini, dai vari esponenti della religione ebraica, dato che Nostra Aetate non è stata scritta da qualche cardinale o vescovo di Santa Romana Chiesa, bensì dal presidente del Congresso Ebraico Mondiale, Nahum Goldmann.
A chiedere a tale lobby ebraica di scrivere questo documento fu il massone Angelo Roncalli, che attraverso il suo fidato braccio destro, il cardinale Augustin Bea, chiese a Goldmann il da fa farsi per ricucire i rapporti tra ebraismo e cattolicesimo e accontentare così i vari esponenti della religione talmudica.
Alcuni storici tra i quali il professore americano, John Connally, definiscono Nostra Aetate come quel documento che cambia completamente i rapporti tra ebraismo e cattolicesimo, e che getta le basi del futuro ingresso in sinagoga di Giovanni Paolo II che definirà gli ebrei come “fratelli maggiori”.
Se qualcuno si interrogava da dove fosse mai scaturita l’espressione e il concetto di radici giudaico-cristiane, la sua domanda trova risposta nel processo storico attraversato dalla Chiesa dal 1958 in poi.
Esso difatti è una naturale conseguenza del Vaticano II, che aveva e ha l’esigenza di costruire una Chiesa non più fondata sulla verità di sempre, ma sullo spirito modernista e massonico che pervade ogni singola istituzione politica, sempre alla dissennata e blasfema ricerca di una nuova religione globale di stampo teosofico e new ageano.
Nel mezzo di tale rivoluzione, non poteva sfuggire al vento del Vaticano II la messa di sempre che ha caratteristiche e finalità, si potrebbe dire, alquanto differenti da quella nuova, e a spiegare la differenza tra i due riti fu proprio il cardinal Ottaviani nel suo citato saggio.
“La definizione di Messa e dunque limitata a quella di “cena”, il che e poi continuamente ripetuto (n. 8, 48, 55d, 56); tale “cena” e inoltre caratterizzata dall’assemblea, presieduta dal sacerdote, e dal compiersi il memoriale del Signore, ricordando quel che egli fece il Giovedì Santo. Tutto ciò non implica: ne la Presenza Reale, ne la realtà del Sacrificio, ne la sacramentalità del sacerdote consacrante, ne il valore intrinseco del Sacrificio eucaristico indipendentemente dalla presenza dell’assemblea (3). Non implica, in una parola, nessuno dei valori dogmatici essenziali della Messa e che ne costituiscono pertanto la vera definizione.”
La scelta dell’espressione “cena” da parte di Ottaviani e Bacci non può considerarsi casuale, perché la messa nuova partorita dal Concilio Vaticano II assomiglia molto di più in quanto a natura e caratteristiche alla messa protestante, nella quale non c’è la trasmissione al fedele del sacrificio di Gesù attraverso l’eucaristia, ma piuttosto soltanto l’evocazione del ricordo di tale sacrificio.
A spiegare ancora meglio la differenza tra i due riti, e le ragioni per le quali è nato il Novus Ordo è stato padre Joachim FBMV nel suo breve saggio “Dalla messa di Lutero alla messa di Paolo VI”.
Queste le parole di padre Joachim al riguardo.
“Quattro secoli dopo, la messa di Lutero ha innegabilmente influenzato la fabbricazione della nuova Messa di Paolo VI. Il Padre Annibale Bugnini, esecutore della riforma liturgica, ha chiaramente confessato che di questo si è trattato: «Per facilitare ai nostri fratelli separati il cammino dell’unione, scartando ogni ostacolo che avrebbe potuto costituire anche solo l’ombra del rischio di una pietra d’inciampo o di un dispiacere». Paolo VI stesso ha confidato al suo amico e scrittore Jean Guitton, che la sua intenzione di cambiare la Messa veniva dal desiderio di un riavvicinamento con i protestanti. Guitton testimonia: «L’intenzione di Paolo VI su ciò che è comunemente chiamata la Messa, era di riformare la liturgia cattolica in modo tale che potesse coincidere con la liturgia protestante. Vi era in Paolo VI l’intenzione ecumenica di togliere, o almeno di correggere, o almeno di affievolire, ciò che era troppo cattolico in senso tradizionale nella Messa e, lo ripeto, avvicinare la Messa cattolica alla Messa calvinista».
Se ne deduce quindi che i critici del Vaticano II non hanno evidentemente torto nell’affermare che la messa nuova è ispirata al rito protestante, poiché è stato proprio il pontefice dell’epoca a chiamare diversi pastori protestanti per elaborare una messa in tutto e per tutto più simile a quella dei luterani, sempre alla ricerca di una Chiesa in comunione e non in opposizione all’eresia luterana, com’era stato invece nei secoli precedenti.
Il luteranesimo si proponeva di creare un falso cristianesimo, e tale proposito non poteva essere raggiunto senza colpire il cuore della fede cattolica, ovvero la messa di sempre, il Vetus Ordo, vero e proprio spauracchio dei vari pontefici post-conciliari, soprattutto degli ultimi.
Ratzinger e Bergoglio: entrambi contro la tradizione
Ora i documenti pubblicati dalla giornalista Diane Montagna mettono in luce due elementi che appaiono a questo punto semplicemente inconfutabili.
Il primo indica una assoluta mancanza di opposizione da parte dei vescovi al rito antico, né tantomeno si riscontrava una qualche loro opposizione al motu proprio di Benedetto XVI, il Summorum Pontificum, che nel 2006 aveva liberalizzato, per così dire, la celebrazione del Vetus Ordo.
Francesco si era semplicemente trincerato dietro un inesistente dissenso dei vescovi verso il rito antico per scaricare sulle spalle dei suoi sottoposti una decisione che in realtà era solo e soltanto sua.
Il secondo elemento che emerge in maniera inoppugnabile dai documenti è che Ratzinger prese la sua decisione, non mosso da una qualche passione o affetto per il rito antico, bensì per una esigenza alquanto diversa, ben più fredda e calcolatrice, quale quella di disinnescare l’opposizione crescente alle riforme del Vaticano II.
Le carte che sono adesso a disposizione di tutti mostrano in tutta evidenza che i due pontefici condividevano gli stessi obiettivi, soltanto si proponevano di raggiungerli attraverso vie molto differenti.
Il teologo tedesco aveva difatti una mente molto diversa da quella di Bergoglio, e già lo aveva dimostrato ai tempi del Concilio Vaticano II.
In quegli anni, Joseph Ratzinger era un giovane sacerdote entusiasta delle idee riformatrici del Vaticano II, e fedele braccio destro di una delle menti del Concilio, il teologo Karl Rahner, che partecipò attivamente e intensamente alla stesura dei documenti conciliari.
A sinistra, Rahner, al centro, Joseph Ratzinger
Il giovane Ratzinger non sceglieva lo scontro frontale con i tradizionalisti, ma piuttosto preferiva dissimulare il suo modernismo, come si può vedere, ad esempio, nel documento del 1963, “La sacra liturgia”, non direttamente redatto dal teologo tedesco, ma al quale egli diede un notevole contributo.
Nel documento in questione, non si intaccava esplicitamente la struttura del Vetus Ordo, ma intanto si facevano già alcune concessioni e aperture che prepareranno il terreno alla messa nuova varata da Paolo VI nel 1969.
Nonostante quello che si ostinano a pensare alcuni ratzingeriani, Benedetto XVI non è mai stato un tradizionalista né tantomeno un modernista redento, una sorta di leggenda metropolitana smentita dagli atti e dalle dichiarazioni dello stesso Ratzinger.
E’ fuori discussione che il cardinal Ratzinger sia stato uno dei più strenui oppositori, o persecutori, del compianto arcivescovo francese Marcel Lefebvre che non esitò a dire che la Chiesa sorta dal Concilio non era più al servizio della fede cattolica, ma era diventata sua nemica, in quanto espressione della massoneria ecclesiastica che ormai si era infiltrata ovunque.
Monsignor Lefebvre
Lefebvre non aveva timore a definire pubblicamente quello che molti altri cardinali, vescovi e sacerdoti vedevano, e non aveva timore a dire che la chiesa purtroppo si era abbandonata all’apostasia.
Lo fece, ad esempio, anche nel 1986 quando Wojtyla diede mandato ai suoi sodali della comunità di Sant’Egidio, la celebre o famigerata lobby immigrazionista “cattolica”, di organizzare il controverso incontro interreligioso di Assisi, al quale parteciparono rabbini, pastori protestanti, imam e monaci buddisti.
Ad Assisi, Wojtyla stava gettando le fondamenta della nuova religione teosofica che i padri del Concilio volevano costruire, e il pontificato dell’ex arcivescovo di Cracovia lavorò alacremente per erodere la tradizione e lasciare il posto a questa falsa chiesa di carattere ecumenico.
Non ci fu mutamento alcuno nemmeno sotto il pontificato di Ratzinger, che anche nel suo periodo da cardinale mai aveva ripudiato la sua fervente attività da modernista ai tempi del Vaticano II, come disse egli stesso in una intervista nel 1990, e come dimostrò anche durante gli anni del suo papato.
Benedetto XVI resterà nella storia probabilmente oltre che per le sue dimissioni, per aver concepito la cosiddetta ermeneutica della continuità, una incerta teoria dottrinale che tenta di coniugare il magistero della Chiesa pre-conciliare con quello della Chiesa post-conciliare, una impresa pressoché impossibile poiché il secondo è in aperto contrasto con il primo.
Non si vide nessun cambiamento delle posizioni giovanili di Ratzinger sul Concilio nemmeno per ciò che riguarda i rapporti con l’ebraismo, e un episodio di qualche anno fa aiuta a comprenderlo ancora meglio.
Don Tullio Rotondo aveva affermato che gli ebrei non possono salvarsi senza la fede in Cristo, ma Ratzinger sentì il bisogno di correggerlo, riprendendo già quando da lui detto nel corso del dialogo con il rabbino Folger, al quale disse espressamente che il popolo ebraico godeva di una sorta di dispensa speciale.
Si può vedere dunque come la posizione di Ratzinger su tale questione non si discosti né da Nostra Aetate, né dai suoi predecessori che hanno tutti assegnato una delega speciale agli ebrei, ai quali non hanno fatto alcun favore rafforzando in loro l’errore che essi sono diversi dal resto del genere umano e degni di salvezza soltanto per la loro “privilegiata” genetica.
I documenti usciti in questi giorni mostrano e confermano soltanto che le differenza tra Ratzinger e Bergoglio erano tutt’al più estetiche, ma che nella sostanza nessuno dei due si opponeva alla deriva modernista e massonica del Concilio.
C’era chiaramente una differenza di vedute sulla modalità del raggiungimento di fini comuni, e sotto certi aspetti papa Francesco è stata una “benedizione” proprio perché ha consentito a molti cattolici di vedere fino a che punto la Chiesa era contaminata e qual era il punto di destinazione ultimo del Vaticano II.
Bergoglio è stato il papa della “rivelazione”, così che tutti hanno potuto vedere che non si è giunti a tale papato per un incidente di percorso o per l’improvvisa manifestazione di una variabile impazzita, ma perché c’è stato un processo studiato a tavolino nel corso di più di mezzo secolo che ha portato a tale risultato.
Non si può dare torto dunque al giornalista cattolico, S.D. Wright, quando nel suo interessante e approfondito articolo afferma che Benedetto XVI scelse un approccio più conciliante per sopprimere le resistenze al Vaticano II, mentre Francesco nella sua irruenza da caudillo non esitò a far emergere tutta la sua ostilità, e si potrebbe dire odio, nei confronti della messa antica e di chi non voleva accettare la nuova religione del Vaticano II.
Le prossime decisioni di Leone XIV
Sicuramente solleva più di una riflessione che tali documenti, rimasti chiusi per anni dentro il Vaticano, siano usciti proprio ora all’inizio del pontificato di Leone XIV, che forse ha dato la sua autorizzazione a far conoscere tali verità in vista delle sue prossime mosse.
Alcuni tradizionalisti o “tradizionalisti” cattolici non hanno esitato a definire papa Prevost come un altro Giovanni Paolo II o addirittura come un successore di Bergoglio, nonostante si intravedano già dei segnali di discontinuità sia riguardo la dottrina, si veda la condanna della convivenza e delle coppie gay, sia verso la struttura della curia, con l’allontanamento degli uomini di Sant’Egidio, quale monsignor Paglia, del braccio destro di Bergoglio, don Villalon, e del possibile prossimo siluramento di un altro fedelissimo di Francesco come il cardinale Tucho Fernández, sparito da qualche tempo a questa parte.
L’estate sarà un periodo di profonde riflessioni per papa Leone XIV perché le prossime nomine che ha in mente di fare e la sua prima probabile enciclica faranno davvero capire da che parte vuole andare questo pontificato, che non sembra affatto gradito alla massoneria ecclesiastica e ai potenti dei vari circoli del mondialismo.
Papa Leone XIV a Castel Gandolfo
Nonostante le citazioni iniziali nei suoi discorsi di Francesco, più diplomatiche che dottrinali, è già palpabile una differenza profonda tra Francesco e Leone sia nella catechesi, pressoché inesistente con Francesco, sia in alcune antiche forme che con Prevost vengono ripristinate, a partire dall’uso del latino, da tempo dimenticato nelle celebrazioni.
Sulla liturgia, papa Leone ha lasciato intravedere nei suoi primi discorsi una critica alla perdita del senso del mistero nelle moderne messe, una posizione che sembra suggerire una imminente pacificazione con il mondo tradizionalista, e forse anche qualcosa di più, se si considera il fatto che Prevost da sacerdote risulta aver celebrato con il rito antico, a dimostrazione che egli stesso si sente vicino alla tradizione.
Se Leone è un papa vicino alla tradizione e animato da sincere intenzioni di fare del bene alla Chiesa, allora è inutile stare lì su di lui con il fucile puntato e “richiamarlo” per non mettere subito a posto le cose.
Si fa fatica a comprendere cosa farebbero al posto del Santo Padre i vari aspiranti pontefici che ci sono in giro, se si pensa che Leone è circondato da un clero composto da diversi massoni, pederasti, comunisti militanti, e apostati di vario genere.
Leone è come il padrone di una casa che è stata messa a soqquadro dai ladri e nella quale adesso ogni cosa è alla rinfusa e distrutta.
Quella casa è chiaramente la Chiesa nelle condizioni presenti.
Il papa ha dichiarato espressamente che lui vuole ricostruire la Chiesa, e allora gli si deve dare almeno la possibilità di farlo.
Uno dei suoi amici, il priore agostiniano padre Moral, ha dichiarato che papa Leone sente molto il peso della sua responsabilità.
Sulle spalle del successore di Pietro, pesa il compito di dover rimettere assieme i frammenti di questa Chiesa che dopo 60 anni di Concilio stenta a riconoscersi allo specchio.
Dopo l’estate, inizierà lo scontro vero, e i nemici che adesso già tramano contro Leone XIV usciranno ancora di più allo scoperto.
Il Santo Padre ha bisogno di tutto l’aiuto possibile nel suo cammino e della protezione di Maria.
Il nome stesso che ha scelto il papa, Leone il pontefice che ebbe la famosa visione della Chiesa caduta nell’apostasia, lascia presagire che questo pontificato sarà probabilmente uno di quelli che resterà nella storia.
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Buongiorno, Cesare. Sebbene i tuoi dati, che sono una vera testimonianza storica, mi fossero sconosciuti, NON SONO SORPRESA da ciò che affermi. Perché se osservi attentamente ciò che molti cattolici fanno oggi: yoga, ginnastica a suon di rumori forti che NON sono musica, corsi di qualsiasi tipo di assurdità virale, prenotazione ai centri vaccinali per iniettarsi sporcizia nel loro flusso sanguigno, ecc. ecc., allora ti rendi conto che quella che un tempo era la Chiesa ora non è altro che la sua ombra. E questo è dovuto a quegli “architetti” che menzioni. Il tuo riassunto è eccellente, e diventa una testimonianza della progressiva caduta di un’antica istituzione nelle mani dei pirati mafiosi della pseudo spiritualità. Vedremo quali nuovi venti di resurrezione arriveranno con il nuovo Papa. Da Mendoza, Argentina: un grande saluto.
Ciao Isabel, ti ringrazio.
Speriamo che lo Spirito Santo guidi Papa Leone XIV nel suo difficile cammino. Faccio i complimenti al dottor Sacchetti per l’articolo che, come di consueto, squarcia tanti veli di ipocrisia e di silenzi che impediscono alla stragrande maggioranza di noi una interpretazione fattuale degli accadimenti. Detto questo, vorrei porre una domanda…premesso che su questo specifico argomento sono piuttosto digiuno e acclarato che la massoneria ha svolto un ruolo fondamentale nello snaturare la vera natura della Chiesa Cattolica a partire dal Concilio Vaticano II, mi chiedevo se in tempi passati, invece, ci furono tentativi da parte dei Papa dell’epoca ad un riavvicinamento tra la Chiesa Cattolica e quella Ortodossa.
Salve Claudio, ti ringrazio. A dire il vero, non saprei. Non credo però nei termini nei quali pare lo voglia fare Leone. Mi informo meglio e ti dico.
Sì certo, l’ultimo tentativo fu proprio quello di Leone XIII (a parte il tentativo farlocco di Paolo VI con il patriarca Atenagora che non ebbe seguito).
Infatti, leggendo Gv.17,3 : “ Questa è la vita eterna: “che conoscano te, l’unico vero Dio, e colui che tu hai mandato, Gesù Cristo”, non si capisce proprio dove abbiano vistio i papi(?) del concilio questa “dispensa speciale” concessa al popolo ebraico….
Hanno creato una nuova religione, Bruno, e non è quella cattolica.