Il procuratore Tinebra e la massoneria che ha seppellito la verità sulle morti di Falcone e Borsellino

29/06/2025

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Di Cesare Sacchetti

A distanza di molti anni, 33 per la precisione, numero fortemente simbolico, iniziano ad aprirsi improvvisamente cassetti e armadi che erano rimasti chiusi per molto tempo.

In quei luoghi c’erano degli scheletri molto ingombranti e scomodi, così pericolosi che potevano e possono far saltare tutti i fragilissimi equilibri della ormai famigerata Seconda Repubblica.

E’ così che in questi giorni si è appreso in seguito agli sviluppi dell’inchiesta del PM di Caltanissetta, Salvatore De Luca, che il procuratore Giovanni Tinebra che condusse l’inchiesta sulla strage del 19 luglio 1992 di via D’Amelio, che costò la vita al giudice Borsellino e agli uomini della sua scorta, era un massone.

Non un libero muratore iscritto agli elenchi del Grande Oriente d’Italia, ma una di quelle logge coperte riservate ai membri più importanti e potenti di questa associazione segreta.

Il precedente dell’inchiesta (insabbiata) di Agostino Cordova

Sembra di essere improvvisamente tornati indietro nel tempo, quando proprio nel 1992, l’allora magistrato della procura di Palmi, Agostino Cordova, aveva iniziato una inchiesta per risalire ai nomi degli iscritti di queste logge coperte che costituivano e costituiscono il livello superiore della massoneria, quello che determina veramente gli indirizzi di tale potente setta.

Il procuratore Agostino Cordova

Che la massoneria avesse dei compartimenti riservati era già noto nel’1800, quando un ex massone di alto grado, il calabrese Domenico Margiotta, rivelò come Albert Pike, Gran maestro della loggia del distretto meridionale di Charleston, negli Stati Uniti, il suo fidato alleato Giuseppe Mazzini, e l’allievo prediletto di quest’ultimo, Adriano Lemmi, appartenessero tutti al cosiddetto rito palladiano, una delle alte sfere della libera muratoria la cui esistenza è conosciuta a pochissimi, e quei pochissimi sono i veri signori occulti che governavano le logge di tutto il potente.

Talmente influente è il potere di queste superlogge che il citato Lemmi riuscì a diventare grazie ad esse, e grazie al contributo della massoneria ebraica B’nai B’rith, Gran maestro del Grande Oriente d’Italia nei primi anni dell’Italia post-risorgimentale unita, composta in amplissima parte tutta da liberi muratori.

Il procuratore Cordova era risalito all’esistenza di almeno tre logge segrete coperte che apparentemente costituivano la centrale direttiva di tutta la massoneria italiana dislocate in tre città italiane quali Roma, Firenze, nel cuore della Toscana fortemente massonica, e Milano.

In un articolo scritto dal giornalista Pantaleone Sergi per Repubblica nel 1992 si narra la piega che stava prendendo una inchiesta che, se fosse arrivata a compimento, avrebbe potuto cambiare, sicuramente in meglio, le sorti dell’Italia dopo il golpe di Mani Pulite.

Nell’articolo si legge quanto segue.

“Le logge segrete, dopo la scoperta della P2, non sono scomparse. Ogni obbedienza avrebbe le sue. Una farebbe capo a Firenze, l’altra a Milano (ed entrambe sarebbero nate dalle ceneri della P2), una terza sta a Roma e sarebbe guidata da un ex gran maestro. Tre strutture parallele e segrete, dunque, costituite in violazione della legge Anselmi, per fare affari con il concorso dei tanti fratelli. A rendere ancor più inquietante il quadro della situazione sarebbe la “struttura lombarda” alla quale aderirebbero nomi eccellenti, ma veramente eccellenti, della politica e della finanza.

Nell’inchiesta è coinvolta sia la massoneria che ha riconoscimenti internazionali, sia quella che non li ha. L’indagine della procura di Palmi sulle logge parallele punta adesso, infatti, al vertice del Grande Oriente d’Italia. Il sostituto procuratore Francesco Neri ha avuto accesso alle memorie riservate dei computer della massoneria e si è trovato sotto gli occhi nomi impensabili. Neri e il procuratore Agostino Cordova hanno deciso di spingere ancor più sull’acceleratore, nuove perquisizioni sono state effettuate, altre sono state disposte.

Sotto osservazione c’è tutto il gotha della massoneria di Villa Medici del Vascello il vertice che si riconosce nella corrente chiamata “Arco reale di Gerusalemme”. Dentro ci sono nomi eccellenti tra i fratelli muratori: tra di loro, è trapelato, ci sono l’avvocato Augusto De Megni, personaggio di spicco dell’economia umbra (nonno e omonimo del bambino rapito da una banda di sardi),. L’interesse dei giudici di Palmi si è poi rivolto a un ex gran maestro aggiunto, ai tempi in cui Armando Corona guidava il Goi. Si tratta dell’ingegnere Ettore Loizzo, cosentino, ex esponente del Pci, che ha optato per il grembiulino e il compasso quando il partito gli impose una scelta.”

La massoneria coperta protetta da quella ufficiale

Appare subito evidente il legame con il Grande Oriente d’Italia, la cui sede è a palazzo Giustiniani a Roma, che sapeva con ogni probabilità dell’esistenza di tali logge così come sapeva certamente dell’esistenza della loggia massonica P2 che era affiliata al GOI stesso.

Se si legge un rapporto scritto dalla DIGOS nel 1989, si apprende tale fatto con molta facilità.

La P2 aveva infatti una sua succursale a Bologna, la loggia  P21 associata ad un’altra loggia clandestina nota come Zamboni De Rolandi, entrambe riconosciute come appartenenti al Grande Oriente d’Italia per espressa volontà dell’ex Gran maestro del GOI, Giordano Gamberini, in carica dal 1961 al 1970.

Non c’era alcuna distinzione, come si può vedere, tra massoneria ufficiale e massoneria coperta, poiché la prima sapeva e proteggeva la seconda, ma all’epoca né la magistratura né la stampa si premurarono di far notare che la massoneria era composta da più livelli, e l’intero suo apparato costituiva una grave minaccia per l’indipendenza e la sovranità dello Stato.

Sullo stesso identico falso presupposto si basa la celebre Legge Anselmi che mette al bando le società segrete, ma non riconoscendo la natura segreta ed eversiva di tutta la massoneria, si consente al piano segreto della libera muratoria di continuare a operare in piena tranquillità.

Stesso identico errore commisero i magistrati calabresi che avevano in mano questa esplosiva inchiesta quando affermarono, come fece il collaboratore del magistrato Cordova, Francesco Neri, che si espresse in tal senso sulla massoneria ufficiale e quella coperta.

“Va fugata l’idea, ha sostenuto Neri, che “la massoneria sia tutta un qualcosa di illegale. Voglio sottolineare che siamo in democrazia e l’associazionismo è una delle espressioni più alte della libertà individuale. Per questo non vogliamo sparare nel mucchio. La nostra indagine vuole essere un momento di verifica esclusivamente sul piano giudiziario. E mi pare che gli stessi vertici della massoneria ce ne abbiano dato atto. Credo infatti che sia un’occasione storica per la stessa massoneria: da questa verifica giudiziaria potrebbe uscirne a testa alta o ripulita”. Ma come mai – gli abbiamo chiesto – la procura di Palmi si trova a indagare a tappeto su un fenomeno che non è solo calabrese? “Abbiamo una linea investigativa che ci porta in tutta Italia”. Niente di più ed è inutile insistere.”

La massoneria non né usci ovviamente né con la testa alta né con una immagine ripulita perché non era questo quello che gli interessava.

Gli interessava subito insabbiare una pericolosissima inchiesta che se fosse arrivata alla sua tappa finale avrebbe rivelato che ogni apparato dello Stato è infiltrato dalla massoneria e che l’indagine che conduce oggi il procuratore De Luca si trova di fronte agli stessi identici problemi di 30 anni prima.

A dirlo fu lo stesso procuratore Cordova l’anno successivo quando disse apertamente che era ormai diventato impossibile fare delle inchieste che toccassero le zone d’ombra della massoneria per il semplice fatto che i vari uomini in divisa, sia di alto livello che di rango intermedio, erano iscritti alle logge e quando gli si chiedeva di prelevare gli iscritti alla massoneria o facevano spallucce, o negavano persino l’esistenza delle logge stesse oppure passavano nelle mani degli inquirenti liste vecchie di 10 anni pur di non rivelare chi era iscritto alla libera muratoria, nel timore forse di rivelare di essere loro stessi uomini fedeli a tale organizzazione.

Sotto la divisa c’era e c’è il massone, ma anche sotto la toga c’era e c’è il massone, e oggi il fatto che si è avuta la conferma che il magistrato di Caltanissetta, Tinebra, era un massone iscritto ad una loggia coperta dimostra, ancora una volta, come la natura della democrazia liberale sia inguaribilmente massonica.

Tinebra aveva l’agenda rossa di Paolo Borsellino?

Secondo quanto riferisce il procuratore De Luca, Tinebra, morto 8 anni fa, era iscritto ad una loggia chiamata Terzo Oriente, una struttura definita in tutto e per tutto simile alla P2, e soltanto una delle varie logge segrete coperte dalla massoneria ufficiale.

Tinebra sarebbe stato l’uomo che ha lavorato all’insabbiamento della verità sulla strage di via D’Amelio ma non lo avrebbe fatto di certo da solo.

Ad aiutarlo sarebbe stato l’ex poliziotto della Squadra Mobile, Arnaldo La Barbera, il quale avrebbe passato al magistrato nisseno un appunto al magistrato che riferiva quanto segue.

“In data odierna, alle 12, viene consegnato al dottore Tinebra uno scatolo in cartone contenente una borsa in pelle e una agenda appartenenti al giudice Borsellino”.

Si tratta della famosa agenda rossa di Paolo Borsellino? Non si hanno ancora certezze al riguardo, ma la possibilità che si tratti dell’agenda nella quale il magistrato di Palermo annotava tutti i pensieri e le considerazioni sulle sue inchiesta pare molto elevata.

Attorno a tale documento, si è costituito un vero e proprio culto di sedicenti professionisti dell’Antimafia quali Marco Travaglio e Michele Santoro che ne hanno parlato in continuazione, senza però mai mettere insieme i puntini che mostrano il fortissimo legame tra l’omicidio Falcone e Borsellino e soprattutto senza mai nemmeno menzionare di striscio i probabili veri mandanti.

Si è preferito piuttosto parlare di stallieri mafiosi quali Mangano pur di far credere che il mandante occulto di quegli attentati fosse Silvio Berlusconi, un personaggio che aveva certamente delle contiguità con uomini della mafia, ma che non aveva certo né i mezzi né le possibilità né le reali motivazioni per attuare un simile doppio colpo.

Non è certo ad Arcore che conducono le tracce degli attentati, ma lontano dall’Italia, negli ambienti atlantici, a partire dall’esplosivo che non era nemmeno uno di quelli usato tipicamente dalla mafia, ma da ambienti militari anglo atlantici.

Un enorme quantitativo di esplosivo, 15 quintali di tritolo, attraversa l’Italia e arriva a Capaci e viene sistemato sotto il viadotto che verrà poi fatto saltare in aria al passaggio della scorta di falcone.

Sistemare una tale quantità di esplosivo implica un traffico di mezzi pesanti, un via vai di uomini che è impossibile che non siano stati visti dai Carabinieri e dalla Polizia stradale di zona, e già questo denota come questo attentato abbia avuto degli appoggi di alto livello ai piani superiori dello Stato.

Giovanni Falcone nei suoi ultimi giorni di vita non stava indagando né sugli appalti né sulla mafia.

Era impegnato a condurre una delicatissima inchiesta sui fondi neri che passavano dal PCUS al PCI italiano, una massa di 985 miliardi di lire, finita poi in un dedalo di società gestite da Botteghe Oscure attraverso le famigerate cooperative rosse.

Giovanni Falcone

I soldi venivano lavati e poi riciclati tramite queste società, e ciò dimostra che il PCI che si fregiava del titolo di campione dell’antimafia era un partito pienamente parte e attivo nel fenomeno mafioso che prendeva soldi dall’estero e li riciclava poi in attività di vario tipo.

A scriverlo era persino il Corriere della Sera in un articolo firmato da Marco Nese il 4 giugno del 1992, quando il giornalista del quotidiano di via Solferino rivelava che nelle carte dell’inchiesta di Falcone c’erano i documenti che dimostravano come il PCI fosse colpevole di gravi reati finanziari, così grossi che avrebbero spazzato via l’appena nato PDS dopo la famosa svolta della Bolognina del 1989 messa in atto da Achille Occhetto.

L’articolo “dimenticato” del Corriere della Sera del 4 giugno del 1992

Non bisognava però disturbare il manovratore e allora era necessario eliminare il giudice Falcone che avrebbe fatto saltare in aria il piano dell’inchiesta eterodiretta dagli Stati Uniti, Mani Pulite, che voleva togliere di mezzo tutti i partiti della Prima Repubblica e lasciare campo libero al PDS, già designato come referente privilegiato di Washington negli anni precedenti il golpe giudiziario di Milano.

Il giudice Falcone che era stato attaccato e vilipeso dalla magistratura per le sue posizioni troppo lontane dagli interessi corporativi delle toghe, aveva già dal 1991 accettato l’incarico di direttore generale degli affari penali quando l’anno successivo gli si presentò l’opportunità di collaborare con il procuratore russo, Stepankov, per scoprire chi stava trafugando l’oro di Mosca.

Falcone non fece in tempo a condurre la sua inchiesta.

Andava ucciso in una maniera tale che fosse trasmesso un messaggio a tutti coloro che avessero provato a seguire le sue orme.

A capire cosa era accaduto al suo fraterno amico era stato quasi certamente proprio lui, Paolo Borsellino, che, secondo quanto è stato rivelato nel libro “Strettamente riservato” scritto dall’ex ministro del Bilancio, Paolo Cirino Pomicino, stava indagando a sua volta sui fondi neri del PCI.

In quell’agenda potevano esserci forse i nomi degli uomini di Botteghe Oscure che erano colpevoli di gravi reati finanziari.

Paolo Borsellino sarebbe potuto arrivare fino in fondo. Aveva tutte le capacità investigative per scoprire l’enorme riciclaggio che stava avvenendo tra Mosca e Roma, ma non fece in tempo a fare nulla.

Venne fermato il 19 luglio del 1992, ma il sistema aveva bisogno di insabbiare la verità sui mandanti di quel delitto ed è qui che si attivarono La Barbera e Tinebra che istradarono il primo processo Borsellino su una falsa pista tramite le false dichiarazioni di pentiti come Vincenzo Scarantino, Salvatore Candura e Francesco Andriotta attraverso il contributo di uomini in divisa come Mario Bo, Fabrizio Mattei e Michele Ribaudo.

La strage di via D’Amelio

Tale gruppo si è mosso per insabbiare la verità, ma non è stata un’azione decisa soltanto da alcune isolate mele marce, ma da una struttura, da un apparato, ben organizzato e ben infiltrato che ha agito per coprire nomi eccellenti, della politica nazionale e con ogni probabilità anche di quella internazionale.

La tempistica però è quanto mai singolare.

E’ spontaneo chiedersi come mai soltanto ora si sia entrati nel territorio che tutti sapevano essere quello che aveva coperto e ordinato gli omicidi Falcone-Borsellino, ovvero quello della massoneria.

Secondo quanto si legge nelle carte dell’inchiesta trapelate fino ad ora, il pool di De Luca avrebbe fatto presto a scoprire che Tinebra apparteneva ad una loggia coperta dopo le perquisizioni alle sue tre abitazioni, due a Caltanissetta e una a Catania.

Si sarebbe potuto arrivare anche prima a tale verità che è sempre stata lì, ma evidentemente prima determinate zone non potevano essere nemmeno avvicinate, mentre adesso si aprono quegli armadi e quei cassetti che come si diceva in precedenza erano prima chiusi a doppia mandata.

Soltanto la lettura dell’attuale momento storico consente di comprendere come mai ora si inizi ad arrivare ad alcune verità nascoste del passato.

La forza che aveva in mano il sistema politico italiano per conto delle potenze angloamericane, la citata massoneria, si sta letteralmente spaccando in mille pezzi.

Le due storiche massonerie italiane, quella del GOI di Palazzo Giustiniani e quella del Rito Scozzese di piazza del Gesù si sono separate in una violenta disputa che è ancora in corso e che vede massoni del GOI lasciare le vecchie logge per trasferirsi nella Grande Loggia Regolare d’Italia o nel Rito Scozzese.

E’ un tutto contro tutti e c’è in corso un feroce scontro anche per accaparrarsi l’enorme patrimonio del Grande Oriente d’Italia, pari a 300 milioni di euro.

Se la libera muratoria italiana è attraversata da tali faide, non sorprende che ora vengano improvvisamente riaperti alcuni casi come quello di Garlasco, quello del mostro di Firenze e ora quello della strage di via D’Amelio.

Ogni singolo caso irrisolto o strage della repubblica di Cassibile sembra essere legato dal filo rosso della massoneria e dei padroni d’Oltreoceano che ora si sono separati dall’anglosfera e ne hanno determinato la inevitabile caduta.

Alcune inchieste vengono aperte perché qualche magistrato ora ha più libertà di azione rispetto al passato mentre altre perché si vuole colpire l’avversario che appartiene alla sponda opposta, ma il risultato finale non cambia.

La repubblica di Cassibile si sta autofagocitando.

Il tempo dei segreti sembra essere stato sostituito da quello delle verità.

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3 Commenti

  1. carmine andrea caruso

    I Siciliani già conoscevano i colpevoli e se ne discuteva ai bar. la DC. e la politica in generale sapeva tutto, l’intero stato sapeva tutto e noi povere pecorelle smarrite credevamo alla TV e ai quotidiani. Tutto sommato un pò come la finta pandemia.

    Rispondi
  2. davide

    Tratto da Repubblica.it – 4 dicembre 2008 intervista di Klaus Davi a Licio Gelli:
    «Con la P2 avevamo l’Italia in mano. Con noi c’era l’Esercito, la Guardia di Finanza, la Polizia, tutte nettamente comandate da appartenenti alla Loggia.»
    No comment!
    Un caro saluto a tutti.

    Rispondi
  3. Frank

    Si sa da decenni che la Magistratura, i piani alti della Magistratura, è nelle mani della massoneria, o segui le loro linee guida oppure finisci a sbucciare patate da qualche parte. Nulla di nuovo. Per la strage di via d’amelio era ed è possibile capire da dove partì il segnale telefonico che innescò l’esplosione; chi deve saperlo lo sa. Eppure cercarono di “affogare” chi poteva dimostrarlo. Non ci riuscirono, ma è stato zittito e messo in un angolo.
    Questo paese è molto strano e fra le città che citi ne manca una, che già ai tempi della nascita di Alta Vendita e dell’Unità d’Italia, di epoca risorgimentale era, mai citata, il fulcro dal quale partiva la tela del ragno.
    Una città/zona nella quale non doveva succedere mai nulla, anche se così pregna di luoghi esoterici.

    Ci sono chiese che hanno, al loro interno e negli altari laterali, le tombe di famiglie “normali” e le tombe dei nobili sono sistemate davanti all’ingresso principale della chiese, dove tutti potevano passare e calpestare… Eppure ancora oggi, nessuna parla di questa zona e nessuno viene a indagare, se non per “cose normali”, o quasi…

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