di Cesare Sacchetti In Spagna, lo chiamano grande “apagon”, ovvero il termine nella lingua...
Le pressioni di Israele sul conclave e i rapporti tra ebraismo e cattolicesimo
Di Cesare Sacchetti
Se si dà uno sguardo agli organi di stampa, il conclave, uno degli eventi più antichi e dal più alto fascino spirituale della storia, è ridotto a poco più di un mercato delle vacche.
Ci sono sulle pagine dei quotidiani i volti dei cardinali con le frecce verdi e rosse ad indicare il loro presunto gradimento nel collegio cardinalizio, che in realtà non sembra corrispondere al vero, ma piuttosto ai desideri dei proprietari della carta stampata che vorrebbero un Francesco II.
Sono in molti dalle parti della massoneria laica ed ecclesiastica a manifestare nervosismo in questi giorni perché pare crescere la consapevolezza che il prossimo pontefice difficilmente sarà un altro come Jorge Mario Bergoglio.
Non c’è alcuna certezza infatti che il continuum bergogliano e modernista prosegua, quando invece si manifestano piuttosto sempre più segnali contrari.
Ad esempio, proprio ieri è giunta la notizia che il cardinal Parolin, il porporato appoggiato più di tutti dal mondo sionista ed ebraico, avrebbe sofferto uno scompenso pressorio che avrebbe richiesto un’ora di assistenza medica.
I principali organi di (dis) informazione si sono guardati bene dal riportare la notizia per proteggere il loro candidato, ma gli altri cardinali sono con ogni probabilità già informati di quanto accaduto, e quindi la candidatura dell’ex segretario di Stato di Francesco può considerarsi a tutti gli effetti bruciata.
E’ un bel grattacapo per Israele e la massoneria perché gli altri candidati modernisti, Zuppi su tutti, non sembrano in grado di raccogliere almeno 40 o 45 voti subito come avrebbe potuto fare Parolin, e questo complica certamente i piani di chi vuole continuare con un altro pontefice assoggettato ai voleri del sionismo e della massoneria ecclesiastica.
L’errore però che non si deve commettere è quello di considerare Jorge Mario Bergoglio come una sorta di “incidente di percorso” su un “perfetto cammino” della Chiesa post-conciliare,
In tal caso chi ancora si rifugia dietro tale convinzione allora illude soltanto sé stesso o forse in cuor suo spera di ritornare alla situazione che c’era prima di Francesco, magari ai tempi di Wojtyla e Ratzinger, dove la massoneria faceva il bello (quasi mai) e il cattivo tempo, anche se ai seguaci della cosiddetta “ermeneutica della continuità” scoccia alquanto ammetterlo.
Se non si affronta la rivoluzione conciliare che ci fu dentro la Chiesa negli anni dei due infausti pontificati di Roncalli e Montini, entrambi adepti della massoneria, è impossibile comprendere le cause della crisi della Chiesa, e tantomeno provare a risolverle.
Similarmente, se non si comprende quanto accaduto ai tempi del Vaticano II, non si può comprendere come i rapporti tra cattolicesimo ed ebraismo siano drammaticamente mutati, tanto da aver partorito una Chiesa, quella post-conciliare, che di fatto ha concesso benefici speciali agli ebrei, dispensadoli dalla salvezza attraverso Cristo come affermava lo stesso Joseph Ratzinger nel suo dialogo con il rabbino Folger e in altre occasioni.
Affermare che la cosiddetta idea delle radici giudaico-cristiane è una espressione della modernità post-conciliare non è altro che una evidenza fattuale, e allora per vedere qual era il volto del cattolicesimo prima che qualcuno lo deformasse occorre fare un viaggio a ritroso nel passato.
Il sionismo e San Pio X
Occorre ripartire, dal principio, dall’incontro, ad esempio, tra il compianto papa San Pio X e l’emissario del sionismo internazionale, Theodor Herzl.
Theodor Herzl
Herzl è considerato a tutti gli effetti il padre “spirituale” del sionismo perché la sua opera, Lo Stato ebraico, è stata la prima nell’epoca moderna a sottolineare la “necessità” che il popolo ebraico avesse bisogno di una nazione a parte per “vivere in sicurezza”, anche se nell’epoca di Herzl, molti ebrei già vivevano molto bene nell’’Europa Occidentale ed erano parte della borghesia più prospera e ricca che si era così tanto espansa dopo la rivoluzione francese.
Herzl in realtà e i suoi benefattori dell’alta finanza askenazita avevano, e hanno in mente, un’idea più spirituale che politica perché nella filosofia del sionismo messianico la rinascita di Israele serve in qualche modo a preparare la venuta del futuro moschiach da loro tanto atteso che un giorno dovrà entrare e governare l’umanità nel terzo tempio di Gerusalemme.
Una delle sette sioniste più famigerate e potenti al mondo, Chabad Lubavitch, spiega nel suo sito ufficiale come il terzo tempio sarà la futura casa del moschiach, il quale, un giorno, imporrà il suo dominio a “tutte le nazioni che lotteranno per il Nuovo Ordine Mondiale”.
Questa la pura essenza dello stato ebraico. Non un piano per mettere in sicurezza gli ebrei, che sono stati trasferiti come bestiame in Palestina spesso contro la loro volontà e non una necessità espressa da larga parte degli ebrei comuni che ormai erano integrati da tempo nei Paesi europei dove si erano trasferiti da secoli.
Herzl però ben sapeva che per consentire al sionismo di avere più successo sarebbe stato necessario non avere contro la Chiesa Cattolica, ed è per questo che chiede udienza al pontefice di quel tempo.
Il fondatore del sionismo giunge così a Roma il 26 gennaio del 1904 e racconta di questo incontro con San Pio X nei suoi diari personali.
Pio X
Non appena arriva al cospetto del Santo Padre, il giornalista austriaco si rifiuta subito di baciare la mano del pontefice nonostante così gli avesse consigliato il conte Berthold Dominik Lippay, il nobile austriaco che quell’udienza gli aveva procurato.
San Pio X, nonostante la rudezza di Herzl, non si scompone più di tanto e, conoscendo già l’argomento del quale l’esponente sionista voleva parlargli, va subito al punto.
“Noi non possiamo sostenere questo movimento [sionista]. Non potremo impedire agli Ebrei di andare a Gerusalemme, ma in nessun caso possiamo sostenere la cosa. Anche se non è sempre stata santa, la terra di Gerusalemme è stata santificata dalla vita di Gesù Cristo. Come capo della Chiesa io non posso dirvi altro. Gli Ebrei non hanno riconosciuto Nostro Signore, e per questo noi non possiamo riconoscere il popolo ebraico». […]
Ancora più netto è San Pio X quando Herzl nel corso del dialogo prova a giocarsi la carta del pietismo riguardo alle cosiddette persecuzioni contro gli ebrei, ma il pontefice autore della Pascendi è altrettanto fermo quando gli risponde in tal modo.
“«Sì» – mi disse – «ma noi, e in particolare io, come capo della Chiesa, non possiamo farlo». Due sono i casi che possono presentarsi: o gli Ebrei rimangono fedeli alla loro credenza e continuano ad attendere il Messia, che per noi è già venuto; e in questo caso essi negano la divinità di Gesù e noi non possiamo fare alcunché per loro; o essi vanno in quelle terre senza alcuna religione, e in questo caso noi possiamo sostenerli ancora meno. La religione ebraica è stata la base della nostra, ma essa è stata rimpiazzata dalla dottrina di Cristo e da allora noi non possiamo più riconoscere la sua esistenza. Gli Ebrei, che avrebbero dovuto essere i primi a riconoscere Gesù Cristo, fino ad oggi non l’hanno fatto.»
Non è difficile immaginare che secondo i canoni del “cattolicesimo” liberale uscito dal Concilio, uno dei più grandi pontefici sarebbe liquidato come un volgare “antisemita”
Il papa però allora non fece altro che riaffermare il magistero di sempre della Chiesa. Difese e ribadì quelle verità sulle quali si fonda questa istituzione da 2000 anni a questa parte.
L’assalto in quell’occasione è stato respinto, ma il mondo sionista non si diede per vinto perché la sua opera di infiltrazione della Chiesa non era terminata purtroppo quel giorno, ma era appena agli inizi.
Le origini delle radici giudaico-cristiane: gli Amici Israel
Si arriva così agli anni’20 del secolo scorso, quando i pontefici erano ancora fermi nel difendere i dogmi della Chiesa di sempre ma intanto un nuovo nemico si era infiltrato nelle fila di questa istituzione.
L’anno è il 1925, ed è qui che in seno al cattolicesimo nasce una associazione dal nome Opus sacerdotale Amici Israel.
A fondarla sono due preti olandesi assieme a una loro connazionale convertita al cattolicesimo, Maria Francesca Van Leer, che avrà un ruolo molto importante negli anni a venire nell’ambito dei rapporti tra ebraismo e cattolicesimo, come si vedrà in seguito.
A fare parte di questa associazione sono diversi cattolici laici , ma soprattutto non pochi esponenti della Chiesa, se si pensa che tra le sue fila si trovavano almeno 3000 sacerdoti, 300 arcivescovi e ben 19 cardinali.
Il simbolo di Amici Israel
La Amici Israel può essere considerata a tutti gli effetti come la madrina della cosiddette “radici giudaico-cristiane” perché i suoi associati si propongono di “normalizzare”, per così dire, i rapporti tra ebraismo e cattolicesimo.
I vari prelati che ne fanno parte pubblicano le loro idee in un pamphlet dal titolo Pax Super Israel che non sfugge agli occhi delle riviste cattoliche, allora realmente cattoliche, che all’epoca ne diedero tale descrizione come racconta Maurice Pinay nella magistrale opera “Complotto contro la Chiesa”.
« Essi affermano che non si deve parlare di conversione degli ebrei, ma soltanto del loro ingresso nella Chiesa, come se gli ebrei non debbano prima, per ottenerlo, ripudiare i loro errori. Rifiutano la qualificazione di popolo deicida data agli ebrei e di città deicida data a Gerusalemme, come se gli ebrei non avessero contribuito alla morte di Gesù e come se la liturgia non li chiamasse perfidi. « Incrimina i Santi Padri in quanto colpevoli di non aver compreso il popolo ebreo ; come se questo non fosse colpevole di persistere volontariamente nell’ebraismo. « Infine — continua la rivista suddetta — sottolineano la nazionalità ebrea di Gesù Cristo e fanno osservare che i cristiani, a mezzo della Santa Comunione, si uniscono sempre con gliebrei e contraggono con loro una parentela di sangue ».
In pratica, costoro sono stati a tutti gli effetti gli anticipatori del futuro Vaticano II, e Pio XI per risolvere la questione si rivolse prima alla Congregazione dei Riti, soppressa da Montini nel 1969, ma in questa c’era il cardinale Schuster, membro della Amici Israel, che ovviamente diede parere favorevole alle richieste del suo gruppo, ma a fermare lo sdoganamento dell’ebraismo ci pensò il Sant’Uffizio nel 1929, attraverso il decreto di scioglimento della Amici Israel.
Gli esponenti del mondo ebraico però non si diedero per vinti.
Dopo la seconda guerra mondiale, Jules Marx Isaac, un ebreo francese iscritto alla massoneria, chiese alla Chiesa di togliere ancora una volta la preghiera del Venerdì Santo che includeva l’espressione “Oremus et pro perfidis Judaeis”.
Pio XII, così detestato dal mondo ebraico, nonostante tutti i suoi sforzi per salvare gli ebrei durante la guerra, diede una risposta semplice come quella che Pio X diede a Herzl diversi anni prima.
Papa Pacelli rispose che perfidis non significa letteralmente “perfidi” ma “senza fede” e quindi non c’era alcuna ragione perché la Chiesa rimuovesse quella espressione, che anzi era una preghiera per il popolo ebraico di convertirsi e di accettare finalmente Cristo come Messia e vero Dio.
Roma cambia linea: l’era di Roncalli e del Concilio
Roma resta ferma e salda fino a quando sul soglio pontificio non sale Angelo Roncalli divenuto papa Giovanni XXIII nel 1958 dopo un conclave segnato da forti vizi di irregolarità per via delle minacce di morte giunte al cardinal Siri, eletto non una ma tre volte papa.
A indire il Concilio è proprio il “papa buono”, già patriarca di Venezia, massone del Grande Oriente di Francia, simpatizzante del mondo comunista e, secondo i recenti documenti declassificati dalla CIA, persino un informatore al servizio dell’agenzia di intelligence di Langley.
Papa Roncalli
Roncalli sembra avere una chiara missione. Deve portare la rivoluzione dentro la Chiesa e si adopera fin dal primo momento per aprire le porte a delle riforme di stampo ecumenico che mettono ogni religione sullo stesso piano e sono, per loro stessa natura, apostatiche in quanto negano le fondamentali verità cattoliche.
Soprattutto però Roncalli vuole cambiare completamente l’asse dei rapporti tra cattolicesimo ed ebraismo.
Vuole fare, in altre parole, quello che non riuscirono a fare i membri di Amici Israel, ma stavolta la partita è molto diversa perché è il pontefice stesso che è dalla parte di chi vuole costruire una falsa chiesa.
Giovanni XXIII così, molto prima di Giovanni Paolo II, fa una passerella nel marzo del 1962 con la sua auto davanti alla sinagoga di Roma da lui benedetta a far capire chiaramente che i tempi erano cambiati.
Ancora prima di questo gesto altamente simbolico però Roncalli si stava già adoperando per costruire il tipo di Chiesa che piaceva agli ambienti ebraici, e aveva già dato mandato al suo fedele braccio destro, il cardinale Augustin Bea, di incontrarsi con un influente sionista come Nahum Goldmann, allora capo del Congresso Ebraico Mondiale.

In primo piano, Nahum Goldmann
A Roncalli stava molto a cuore la questione della revisione dei rapporti tra Chiesa ed ebraismo, e fa trasmettere a Goldmann il messaggio che se il Congresso Ebraico Mondiale gli avesse chiesto di affrontare questo tema, lui certamente avrebbe inserito questa richiesta nelle discussioni del Concilio Vaticano II.
Goldmann accetta e a scrivere la bozza del famigerato documento Nostra Aetate è proprio il Congresso da lui presieduto, e al quale apparteneva anche la citata Maria Francesca Van Leer, membro della sciolta associazione Amici Israel.
In Nostra Aetate in pratica si dissolve tutta la precedente posizione della Chiesa sull’ebraismo perché in tale documento sparisce la secolare accusa di deicidio contro il popolo ebraico accompagnata da una condanna del cosiddetto “antisemitismo”, e il Sant’Uffizio presieduto dal buon cardinal Ottaviani non riuscì nemmeno a intervenire perché Roncalli si premurò di escluderlo da ogni decisione al riguardo.
Il concilio dunque inizia così. Non sono i dottori della Chiesa Cattolica a scrivere i suoi documenti.
Sono gli esponenti dei vari movimenti sionisti ed ebraici.
Il “papa buono” però non aveva ancora portato a termine la sua opera.
Nei suoi ultimi anni del suo breve e devastante pontificato si adoperò per chiedere ancora una volta il parere della comunità ebraica su cosa andava fatto nel Concilio da lui inaugurato.
A rivelare questo retroscena molto poco noto è stato lo storico ebreo, Lazare Landau, sulle pagine della rivista francese Tribune Juive.
“In una gelida notte dell’inverno 62-63, fui invitato a una riunione straordinaria del “Centro Comunitario per la Pace”, tenutasi presso la Sinagoga di Strasburgo. Al termine dello Shabbat, i Direttori ricevettero in segreto, in una cantina dell’edificio, un inviato di Giovanni XXIII, Yves Congar [un frate domenicano che ebbe un’influenza decisiva sulle misure “progressiste” adottate dal Concilio nel suo complesso]. Eravamo in dieci. Congar, a nome di Giovanni XXIII, ci chiese cosa ci aspettassimo dalla Chiesa cattolica, riguardo alla millenaristica “questione ebraica”. Rispondemmo di volere la completa riabilitazione degli ebrei, riguardo alla morte di Cristo. “Nostra Aetate” fu una rivoluzione totale, come mi disse in seguito Congar, nella dottrina della Chiesa, riguardo agli ebrei.”
Roncalli quindi per decidere la linea dottrinale da seguire nella “sua” Chiesa non ascoltava i “suoi” cardinali come, ad esempio, Ottaviani. No. Mandava in segreto richieste ai vari esponenti del mondo sionista ed ebraico per stabilire come la Chiesa dovesse porsi rispetto alla religione ebraica.
Dire a questo punto che Giovanni XXIII prendesse ordini dai leader dei vari movimenti sionisti non è certo una qualche provocazione, ma soltanto una costatazione di fatto.
I semi della rivoluzione attuale sono stati pertanto tutti piantati in quel tempo.
Quanto accaduto dopo nella Chiesa è una conseguenza di quanto si è verificato allora.
Il successivo pontificato di Montini che ha ricevuto subito i massoni ebrei del B’nai B’rith e quelli ancora di Giovanni Paolo II entrato nella sinagoga nel 1986 per pronunciare la famigerata frase dei “fratelli maggiori” sono la diretta conseguenza del Vaticano II, perché questo concilio ha di fatto eretto una chiesa modernista ed ecumenica che ormai di cattolico ha purtroppo poco.
Bergoglio non arriva, come si vede, dal nulla. Arriva da un lungo processo di infiltrazione e questo spiega perché la fine del suo pontificato è così tanto temuta, nonostante alcune dichiarazioni critiche, dallo stato di Israele che non vuole che la Chiesa torni sulla via smarrita di un tempo, uno scenario, ad esempio, alquanto temuto dal rabbino Riccardo Di Segni.
Se è certamente vero che sono molteplici le potenze che cercano di influenzare il conclave e basterebbe appunto ricordare la storia dei conclavi del 1958, del 1963 e del 2013 nei quali i servizi americani e francesi si adoperarono per sbarrare la strada a Siri è indubitabile che le stesse forti pressioni sono state esercitate da ambienti come il B’nai B’rith e il Congresso Ebraico Mondiale che volevano sul soglio di Pietro un pontefice che facesse le loro volontà.
La storia del Concilio Vaticano II è in fin dei conti questa.
E’ la storia della conquista di una religione, quella ebraica, verso un’altra, quella cattolica.
Il conclave del 2025 è particolarmente importante anche per questo e si spiega così l’agitazione dello stato ebraico che sembra essersi messo già all’opera per sbarrare la via ad alcuni cardinali da esso particolarmente temuti e che potrebbero forse riportare la Chiesa verso le verità abiurate di un tempo.
I giochi però sono completamente aperti come si diceva in un precedente contributo perché nella sua foga di influenzare il futuro conclave, Bergoglio ha combinato diversi pasticci e creato porporati che non sono affatto progressisti.
Non c’è dunque nulla di scontato, ma i porporati quando entreranno nella cappella Sistina sotto le magnifiche volte di Michelangelo dovrebbero ricordarsi che non sono lì per fare la volontà di Israele o delle varie massonerie.
Sono lì per fare la volontà dello Spirito Santo.
Si spera che questa volta gli prestino finalmente ascolto.
C’è bisogno presto di un papa cattolico e di un papa che recuperi il tesoro dimenticato per troppo tempo della tradizione.
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Buongiorno, Cesare. Sono stata PIACEVOLMENTE arricchita da tutte le informazioni fornite, in particolar modo da quelle relative all’espressione “I NOSTRI FRATELLI MAGGIORI” Non sono mai stata d’accordo con questa espressione, poiché gli ebrei NON MI HANNO MAI RAPPRESENTATA come FRATELLI o come MAGGIORI, e oggi, MENO DI MENO. È un privilegio poterti sempre leggere, perché parli con conoscenza e sai chiamare le cose con il loro nome. Preghiamo affinché la cattedra di Pietro sia occupata da un vero cattolico e che non sia un travestito filo-ebreo. Da Mendoza, Argentina: un grande saluto.
Ciao Isabel, ti ringrazio per gli apprezzamenti e ovviamente preghiere affinché il prossimo pontefice metta fine a 60 anni di eresie
Ottimo articolo come sempre. Sicuramente, il nostro dott. Sacchetti nel fanta papa vincerebbe di sicuro. Il sottoscritto nella formazione dei papabili ho nominato Pizzaballa a ruolo di Capitano : captatio benevolentiae !
Grazie Gaetano. Hai fatto bene. Ottima scelta.
Ciao Cesare.Sara’ una casualità, ma da Bergamo a Bergamo il nuovo Papa potrebbe essere la chiusura del cerchio.Da Roncalli il massone a Pizzaballa il restauratore e nel mezzo la farsa pandemica scoppiata proprio li.Tre coincidenze?
Chissà che non sia proprio così, Massimo.